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renato guttuso

Guttuso e Marta Marzotto: passione bollente tra dipinti e incontri segreti

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Come Caravaggio s’innamorò delle sue modelle e Amedeo Modigliani sposò Jeanne Hébuterne, così Renato Guttuso divenne folle d’amore per Marta Marzotto, quando nel 1960 la conobbe da Rolly Marchi, curatrice delle sue mostre. Il comunista e la contessa, il pittore amico di Togliatti e la figlia del ferroviere sposata al rampollo della dinastia tessile veneta.

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Helmut Newton, Countess Marta Marzotto in her garden with her Portrait by Renato Guttuso, Christie’s, Paris
Renato guttuso
Marta Marzotto e Renato Guttuso

Nella casa di Piazza di Spagna a Roma, prestata dal gallerista Romeo Toninelli, iniziarono i pomeriggi d’amore, nell’afoso rovente di una Capitale assolata, col vulcanico sgorgare di una passione unica e tenera, vissuta tra mille sensi di colpa per i tradimenti e la contemporanea consapevolezza dell’impossibilità di vivere l’uno senza l’altro. Il legame tra Renato e Marta rappresentò a lungo l’archetipo della fusione tra l’intellettuale di sinistra e la rappresentante dell’alta borghesia, la tendenza di un radicalchicchismo nostrano all’epoca non ancora dominante. Al di là di qualsiasi percezione esteriore, l’amore di Guttuso per la Marzotto si nutrì dell’intensità di un pensiero fisso, impossibile da scacciare dalla mente anche se “immorale” agli occhi del mondo.

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L’elegante bellezza bionda della contessa più desiderata dagli uomini divenne leggenda immortale quando l’artista decise di fissarla su tela, in disegni, tempere e oli, o ancora in opere da museo, come quella in cui di spalle, dall’alto della sua fierezza, scaccia con un gesto dell’anca le chiacchiere vuote degli intellettuali da salotto. Guttuso fu per Marta il secondo amore, quello che in un’intervista a Cesare Lanza definì «di un erotismo al limite della pornografia».

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È così che nei suoi quadri, quelli di un’arte «che il popolo doveva capire», la bella contessa è icona sensuale sospesa in uno spazio senza tempo, abbandonata su un lenzuolo stropicciato d’amore, ninfa in un bosco che ha accolto le bellezze di un adulterio “sano” perché fa battere il cuore.

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Poi s’innamorò di Lucio Magri, freddo, distaccato, razionale, depresso. Niente più magma e bollori come con Guttuso, con cui del resto non finì mai. Gli incontri in Piazza di Spagna e altrove continuarono, proseguì l’amore rovente, finché nel 1987 il pittore sanguigno del comunismo morì, rendendo la figlia di un ferroviere musa eterna, da ammirare nei musei del mondo come una sposa immortale.

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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