La suggestiva location di Palazzo Braschi, gioiello dell’architettura tardo settecentesca e sede del Museo di Roma dal 1952, ospita la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia, inaugurata il 27 ottobre 2021 e visitabile fino al 27 marzo 2022, realizzata in occasione dei 110 anni dalla premiazione di Gustav Klimt all’Esposizione Internazionale d’arte di Venezia del 1911. L’esposizione, a cura di Franz Smola, curatore del Museo del Belvedere di Vienna, Maria Vittoria Marini Clarelli, Sovrintendente Capitolina ai Beni Culturali, e Sandra Tretter, vicedirettrice della Klimt Foundation di Vienna, attraverso un ricco corpus espositivo di circa 200 opere, tra dipinti, manifesti, disegni, oggetti di design e sculture provenienti dai principali musei viennesi e da prestigiose collezioni private, punta a un racconto corale della Secessione Viennese attraverso l’iter umano e artistico di Gustav Klimt (1862-1918), che ne fu uno dei principali interpreti, e dedicando uno spazio anche ad artisti oscurati dalla sua fama, come Carl Moll e Koloman Moser, e agli artisti italiani che ne furono influenzati.
Il ruolo di Vienna, culla mitteleuropea della cultura
Varcando la soglia di Palazzo Braschi il visitatore si trova immerso nell’atmosfera ovattata della Vienna fin de siècle, in bilico tra tradizione e istanze di rinnovamento, decadentismo e modernità.
La rivoluzione culturale che investe la capitale austriaca tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 si propaga in tutti i settori, dalla letteratura alla musica, fino ad arrivare all’architettura e agli oggetti di design, in accordo con la concezione di opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk) espressa da Richard Wagner nel saggio Arte e Rivoluzione (1849), volta a scardinare la gerarchizzazione delle arti, affermando la fusione delle stesse come espressione profonda dell’identità di un popolo.
Sono gli anni della scoperta dell’inconscio da parte di Sigmund Freud, che avrà un influsso fondamentale sulla letteratura modernista e sull’arte, indagando tematiche considerate scabrose, come le pulsioni sessuali e i desideri latenti.
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In questo fertile retroterra culturale si inserisce Gustav Klimt, che nel 1897 fonda insieme ad altri venti giovani artisti la Secessione Viennese, movimento in aperta polemica con l’Accademia delle Belle Arti di Vienna, detentrice del monopolio dell’attività artistica viennese, giudicata incapace di adeguarsi agli importanti cambiamenti in atto nella società.
La Secessione Viennese si fa interprete dello zeitgeist, lo spirito del tempo, avviando un proficuo dialogo tra arte, architettura e design e iniziando un percorso costellato di polemiche e scandali, a partire dalla pubblicazione sulla rivista Ver Sacrum nel 1898 del primo Manifesto del gruppo, esposto in mostra, raffigurante un Minotauro incalzato da un Teseo nudo, archetipo del conflitto generazionale, i cui genitali furono prontamente censurati dall’autorità.
Gustav Klimt pittore di donne in mostra a Roma
La mostra si dipana seguendo un ordine cronologico, dagli esordi del giovane Klimt, segnati dai primi prestigiosi incarichi che lo vedono coinvolto nella decorazione di alcuni luoghi simbolo di Vienna, come il Burgtheatre e il Kunsthistorisches museum, fino al successo come ritrattista presso l’alta borghesia austriaca, con uno specifico focus sui ritratti delle signore benestanti della società viennese, tra i quali il celebre Ritratto di Amalie Zuckerkandl (1917-1918).
Tema prediletto da Klimt, il ritratto femminile, caratterizzato dall’estrema naturalezza e dalla discreta sensualità delle modelle, consente all’artista di sperimentare varie tecniche, dal fotorealismo delle prime opere allo sfumato impressionistico, sempre partendo da una solida base disegnativa.
Tuttavia è nei soggetti allegorici, biblici e mitologici, che Klimt si rivela maestro dell’erotismo, come nell’iconica Giuditta (1901) non a caso scelta come immagine promozionale della mostra. L’eroina biblica è ritratta in una voluttuosa estasi cagionata dalla decapitazione di Oloferne, la cui testa appare in secondo piano rispetto al maestoso protagonismo della Giuditta seminuda.
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Le donne di Klimt riflettono il cambiamento sociale della figura femminile nella società, rivelandone aspetti fino a quel momento taciuti, ovvero ambizione, desiderio, forza e autodeterminazione, senza però perdere delicatezza e vulnerabilità.
Una particolare attenzione è rivolta al ruolo di Klimt come Presidente della Secessione, di cui viene sottolineata la natura plurima ed eterogenea attraverso l’esposizione di pregiati oggetti di artigianato e di design in vetro e altri materiali realizzati da architetti, scenografi e designer, in linea con il decorativismo tipico dell’Art nouveau.
In mostra a Roma le opere perdute di Klimt e l’«Allegoria del fregio»
Attraverso l’ausilio delle più moderne tecnologie informatiche il visitatore della mostra a Roma potrà per la prima volta conoscere il colore originario delle tre opere realizzate da Klimt tra il 1899 e il 1907 per l’Aula magna dell’Università di Vienna, raffiguranti le allegorie di Filosofia, Medicina e Giurisprudenza, andate tragicamente distrutte in un incendio nel 1945 e conosciute esclusivamente tramite fotografie in bianco e nero. Grazie a un algoritmo di machine learning, creato nell’ambito di un progetto di Google Arts & Culture in collaborazione con il Belvedere di Vienna, si è giunti alla ricostruzione in digitale delle tre Allegorie, restituite nei loro splendidi colori.
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L’esperienza immersiva del visitatore prosegue nella Sala del fregio dell’Allegoria, dove il mastodontico fregio di 34 metri, realizzato da Klimt per illustrare visivamente sensazioni e percezioni prodotte dall’ascolto della Nona Sinfonia di Beethoven, è fedelmente riprodotto restituendo l’impressione di un tuffo nella Vienna che fu.
Il rapporto con l’Italia e le ultime opere di Gustav Klimt
L’ultima sezione della mostra è incentrata sul rapporto tra Klimt e l’Italia, protagonista di numerosi viaggi del pittore, dal soggiorno a Ravenna nel 1903, da cui ebbe inizio il «periodo aureo» dell’artista, affascinato dalla profusione di oro e dal minuto descrittivismo dei celebri mosaici, alla partecipazione alla Biennale di Venezia del 1899 e a quella del 1911, che lo vedrà protagonista con una sala dominata dal dipinto Le amiche, esposto in mostra, e dal ben più scandaloso Bisce d’acqua II, fino al soggiorno sul Lago di Garda nel 1913, che darà grande impulso al filone paesaggistico della sua pittura.
Il viaggio nell’onirico e sensuale mondo di Gustav Klimt in mostra a Roma termina con una perfetta chiusura ad anello attraverso due dipinti manifesto raffiguranti, ça va sans dire, le onnipresenti figure femminili: La sposa (1918), opera rimasta incompiuta a causa dell’ictus che colpì Klimt a soli 56 anni, allusione alla beatitudine amorosa della futura sposa, e il Ritratto di Signora (1916-17), finito alla ribalta della cronaca per via della sua sparizione dalla Galleria Oddi Ricci di Piacenza nel 1997 e ritrovato dopo 23 anni.
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