In una realtà segnata dal consumismo d’oltranza e da un amalgama di individui stereotipati in leggins e t-shirt Levi’s, Gucci sembra prendere una posizione opposta, diventando la voce fuori dal coro in un sistema che tende a massificare e mercificare l’individuo. Sotto la guida di un direttore creativo atipico e a tratti geniale, il marchio fiorentino lancia una nuova pagina Instagram, Gucci Beauty, che, nel linguaggio neo tolkeniano del web, identifica una vetrina di prodotti cosmetici. Ma l’impressione che si ha aprendo questa pagina è sorprendente. Una galleria d’arte universale, dove i dipinti dei più importanti musei del mondo vengono riuniti sotto un unico tetto. Si trova l’Infanta Maria Teresa di Spagna di Diego Velázquez, con i suoi antiestetici tratti che il mondo di oggi snobba. C’è l’androginia provocatoria di Monna Vanna di Dante Gabriel Rossetti, che sotto una mascolinità accentuata cela il seme della femminilità.
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Ciò che Gucci fa con questa nuova, ironica e mal celata (se mai ci fosse stata l’intenzione di nasconderla) critica ai canoni di bellezza moderni, è scuotere le coscienze atrofizzate del popolo pseudo-modaiolo e della setta del Dio denaro. La domanda che sembra sorgere da quei volti enigmatici spiattellati dopo secoli nel più grande museo della storia, sembra essere solo una: perché?
Perché, nonostante gli standard estetici contemporanei, il mondo si incanta ancora davanti al nostro sguardo? Perché, noi donne dalla fronte ampia, dal naso aquilino, dalle curve prosperose, siamo ancora belle e sensuali agli occhi di chi snobba una giovane con le smagliature? È forse per il talento dell’artista nel rappresentare i nostri tratti? O forse siamo noi, nel nostro orgoglio di essere diverse, che trasmettiamo l’unico ideale estetico immortale, che è l’amore per se stessi? Non è facile rispondere a questa domanda senza scadere in un turbinio di frasi fatte e convenzionali, ma ci si può provare.
Forse, l’intento dietro Gucci Beauty è quello di celebrare l’amore per l’individualità, che trascende il tempo, che mina l’estetica e fa tremare le sue fondamenta. Non vi è bellezza senza identità, non vi è stile senza originalità, e questo i grandi artisti lo sanno. Sicuramente, la trovata pubblicitaria farà esultare e saltare sulla sedia i businessmen che controllano le vendite del brand, e, a chi di cultura ci vive e non ci mangia, questo colpo basso fa un po’ male. Ma al tempo stesso, non si può non provare un brivido di gioia nel rendersi conto che, manovra economica o meno, l’arte sta riprendendo il posto che le spetta nella ridefinizione della bellezza, che altro non è se non il trionfo dell’irripetibile unicità di ognuno di noi.
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