Grazia Deledda è un’autrice nota, principalmente, per i suoi romanzi, in particolar modo per essere stata la prima donna italiana a vincere il premio Nobel per la letteratura, nel 1926, traguardo di fondamentale importanza se si tiene in considerazione la sua provenienza isolana (Sardegna) ed il fatto di aver vissuto in un’epoca che non premiava in modo particolare le donne. Autrice di numerosissimi romanzi, tra cui si ricordano Cenere (1900), Canne al vento (1913), Elias Portolu (1920), e di altrettante novelle, la Deledda è meno conosciuta come autrice di poesie. Tra il 1887 ed il 1900, la scrittrice si è dedicata anche alla stesura poetica. Purtroppo, i critici si sono soffermati pochissimo sulla poesia di Grazia Deledda, liquidandola semplicemente nei termini di una “fase giovanile”.
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I primi passi di Grazia Deledda con la poesia
A soli 22 anni, la Deledda scriveva un componimento in lingua sarda dal titolo America e Sardigna, che si riporta con annessa la traduzione in italiano:
O limbazu chi ammentas su romanu
durche faeddu de sa patria mea, tristu
comente cantu ‘e filumena chi in sas
rosas si dormit a manzanu,
cola su mare, e cando in sa fiorida
America nche ses a tottus nara chi
s’isula ‘e Sardigna isettat galu de
esser iscoperta e connoschida…(America e Sardegna – O linguaggio che ricordi il romano, dolce favella de la patria mia, triste come canto di filomena, che fra le rose si addormenta in sul mattino, – varca il mare, e quando nella fiorita America sei, di’ a tutti che l’isola di Sardegna aspetta ancora di essere scoperta e conosciuta…)
Questi versi giovanili (ed inediti), sebbene si possano definire scoordinati tra loro per via di una musicalità quasi assente, a tratti acerba, recano al proprio interno una importante riflessione culturale circa il concetto di lingua e di multiculturalismo.
Poesia messaggera
In tutti i suoi testi, l’autrice sarda ha sempre trattato argomentazioni che potessero mettere in luce la Sardegna con i suoi misteri, paesaggi, tradizioni, nel prospetto di avviare un dialogo tra il Continente (la penisola italiana) e la Sardegna, riscoprendo e riscattando la terra sarda dalla fama poco raccomandabile di cui godeva. Si ricordi che la Deledda ha vissuto in un periodo in cui la Sardegna era ancora considerata una terra “barbara”, non solo per via di una cultura autonoma ed indipendente, percepibile fin dalla lingua parlata.
È interessante, a proposito di questa poesia, notare che la Deledda si rifaccia ad un poeta a lei molto caro, ovvero Guido Cavalcanti, perseguendo il topos della lingua messaggera. Infatti, nella ballatetta di Cavalcanti (Perch’i’ no spero di tornar giammai) la poesia ha il compito di rendersi intermediaria tra il poeta e la sua donna, al fine di far pervenire notizie tristi sul suo conto.
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Non è un caso che la scrittrice si rivolga direttamente alla lingua sarda, intesa come messaggera per la sua vicinanza al latino, al fine di poter solcare i mari e manifestarsi ai linguaggi altrui, facendosi conoscere e scoprire nella sua complessità e nella sua interezza.
La lingua evidenzia la necessità di confronto culturale con il Continente, di integrazione ed anche di accettazione della diversità: si potrebbe parlare di inclusione esclusiva, mantenendo in tutti i suoi tratti la propria identità.
Dalla Sardegna per una svolta culturale
Nelle sue poesie Grazia Deledda, oltre a sovvertire tematicamente il sistema culturale, utilizza un tipo di scrittura che rompe la continuità con qualsiasi tipo di linguaggio accademico, ricorrendo all’innesto tra il sardo e l’italiano. Questa stessa operazione rende manifesta la missione della scrittrice di creare una letteratura sarda non chiusa in sé stessa ma rivolta a tutta la nazione.
Nella sezione Paesaggi di Sardegna, ricerca un movimento poetico attorno al tema della sua terra, la poetessa intona un inno alla Sardegna, facendo emergere diversi temi appartenenti alla tradizione dell’isola. La poesia paragonata ai mandorli fioriti delinea un solido legame tra Natura (Sardegna) e Cultura, all’interno del quale è il gesto del narrare a rendere tangibile la speranza: la cultura sarda trova spazio nel legame con la poesia.
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La libera formazione culturale della Deledda si discosta da qualsiasi automatismo e costrizione, nel prospetto di ri-pensare un tipo di arte autonoma, aderente ai suoi luoghi ed alla sua gente. Grazia Deledda nelle sue poesie rielabora il suo spirito primordiale risalendo ai mitologemi della Sardegna. Sarà la narrativa a dar una voce più forte a queste riflessioni maturate nei versi giovanili, rielaborando un mondo in cui il soggetto vive le sue passioni, timori, colpe e tradizioni.
«Rude e pensosa», la poesia di Grazia Deledda
Come osservato da Mercede Mundula, riguardo la Deledda poetessa:
Se per ogni artista è indelebile l’impronta delle prime sensazioni, queste lasceranno solchi tanto più profondi quanto più grande è in essa la virtù di eccitare la sensibilità». Questa stessa “virtù di eccitare la sensibilità”
Questa stessa “virtù di eccitare la sensibilità” prefigura la possibilità di narrazione culturale di genti ben disposte al dialogo ed allo scambio, descrivendo una Sardegna che non è più terra isolata, bensì immagine di un contesto continentale più ampio e già affermato.
Questo impegno culturale della Deledda evidenzia la necessità di rintracciare, proprio all’interno dei suoi versi, le prime riflessioni in merito alla dialettica Cultura-Natura, non gettandosi direttamente suoi testi narrativi col rischio di avere una visione parziale dell’autrice.
Non bisogna tralasciare come la questione culturale dialoghi con il folklore nella sua valenza Storica: questo «delitto di un volume di poesie» racconta lo splendore caratteristico delle tradizioni originali sarde, nel sogno di vedere la sua isola, se non più conosciuta, almeno liberata dalle calunnie d’oltremare, rendendola partecipe della Storia.
Nella prima lettera all’editore Emilio Treves, la scrittrice affermava: «sono anche assai giovane e forse perciò ho anche grandi sogni: ho anzi un solo sogno, grande, ed è di illustrare un paese sconosciuto che amo molto intensamente, la mia Sardegna!»
Un sogno, quello della Deledda, che prosegue tutt’ora e che dovrebbe rivivere anche attraverso la sua poesia, importante missione di diffusione culturale che necessita di essere applicata e riprodotta in riferimento a qualsiasi tipo di argomento che segnali l’urgente inclusione nel ciclo della Storia.
Paola Puggioni
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