Dal Musée d’Orsay di Parigi gli impressionisti hanno raggiunto Roma. Silenziosi e senza bisogno di presentazioni, con la potenza della loro arte son riusciti a invadere un Vittoriano che da anni non regalava una mostra degna di questo nome. L’esposizione, in realtà, ha un titolo riduttivo (Impressionisti. Tête à tête) che mal si addice al tema trattato – lo sviluppo del ritratto nella Francia dell’800 – novità assoluta quando si parla di Manet & Co; sono gli esempi accademici di Alexandre Cabanel e Léon Bonnat a guidare il visitatore in una galleria semi inedita di volti e personaggi che insieme compongono un affresco perfetto dell’allora società d’Oltralpe divisa tra vita mondana, domestica e sociale. Mancano i paesaggi, quell’Impressione, sole nascente che diede modo a Louis Leroy di coniare – involontariamente – il nome della corrente artistica che rivoluzionò un’epoca e Claude Monet, con il suo strascico di ninfee e fama ingombrante. Assenza giustificata, la sua, dalla concomitanza con l’eccezionale esposizione alla Gam di Torino che proprio dal Musée d’Orsay ha attinto la maggior parte delle opere del pittore francese. Inserito nei pannelli biografico-esplicativi che accompagnano i visitatori all’entrata della mostra, il grande artista affianca i ritratti di Edouard Manet, Pierre-Auguste Renoir, Frédéric Bazille, Camille Pisarro, Edgar Degas, Paul Cézanne, Auguste Rodin e Gustav Courbet. A completare la lista (tra lo stupore generale di un pubblico poco curioso) la colta Berthe Morisot, di cui sono esposte tele dal sapore intimo e familiare.
La collezione di volti, accessori e posture che si susseguono sulle pareti di un insolito azzurro scuro restituiscono una rappresentazione nitida della vita parigina di fine ‘800, segnata da mutamenti sociali, culturali e – appunto – artistici. Cinque sezioni per sessanta opere, un profluvio di sguardi e sensazioni uniche. La serie di dipinti e sculture che apre la mostra esalta la figura dell’artista stesso, ritratto, spesso e volentieri, da un collega appassionato, in un curioso – quanto raro – intreccio di omaggi e tributi. Bazille dipinge Pierre-Auguste Renoir in atteggiamento spavaldo con i piedi sulla sedia, Degas si autoritrae, il narciso Bazille torna a rappresentarsi in una sontuosa tela che immortala il suo atelier (frequentato da Manet, Renoir e Monet), in un’opera che conferma la reciproca stima e amicizia tra i padri della corrente impressionista.
È proprio Renoir ad aprire la sezione Ritrarre l’infanzia, tenera galleria di volti e giochi infantili, in cui riconosciamo Fernard Halpen bambino (e pensare che i genitori del pargolo disdegnarono il quadro…) e Julie Manet, dolcissima figlia di Berthe Morisot e Eugène Manet ritratta con un gatto in braccio che, anti realisticamente, sorride beato delle coccole della padrona. Interni sfarzosi e dettagli ben definiti si scorgono sullo sfondo dei ritratti familiari, ancor più evidenti nella sezione Intimità, impreziosita dal bellissimo Abito rosa di Fréderic Bazille che, come in una fotografia dai contorni sfumati, realizza su tela la schiena incurvata di una fanciulla castana la quale, con sguardo (probabilmente) perduto, ammira il panorama fasciata nel suo fresco vestito primaverile. Ma tappeti, quadri e vasi con fiori sono gli elementi predominanti di queste opere, per lo più gruppi “di famiglia in un interno” come i Debourg ritratti da Henri Fantin-Latour che dopo qualche anno dedicherà la sua tela alla bella Charlotte, elegante signorina in abito azzurro. Qui, seminascosto in una rientranza infelice, è esposto anche L’ortensia o Le due sorelle della Morisot, intima rappresentazione d’affetto tra colori pastello e gesti quotidiani.
Al piano sottostante le due sezioni Mondanità e Modernità si abbracciano e si compenetrano senza che si abbia l’impressione di un cambio di rotta: Il balcone di Manet con il cameriere in penombra sembra tendere la mano alla Donna con Caffettiera di Paul Cézanne, domestica mascolina che anticipa nei tratti e nelle fattezze il passaggio del pittore dall’impressionismo al cubismo (c’è anche esposto, significativamente, Il giocatore di carte, preludio del più famoso quadro che porterà l’artista verso «il cilindro, la sfera e il cono»). Il ritratto di M.me Charles Max di Giovanni Boldini si accompagna infine dolcemente alla Serra di Albert Bartholomé, dove il contrasto di luce e ombra regala l’effetto rassicurante di una persiana che si chiude, lasciando aperto uno spiraglio su una giornata nuova, tutta da cominciare.
La storia dell’Impressionismo passa da qui, dal grande assente Monet che, per la prima volta, ha lasciato un silenzio non assordante e Cezanne, nuovo ed intenso con la sua tavolozza che trascende i confini. E, se Parigi ha donato, Roma ha saputo, finalmente, raccogliere e seminare il prezioso tesoro di un movimento che, ancora oggi, continua ad affascinare.
[…] dato che l’artista si fece influenzare da moltissime correnti artistiche: l’Art Nouveau, l’impressionismo, il Decò, senza far mai mancare però un tocco davvero personale. Il risultato sono dei quadri […]