Marzo 1986. Silvio Berlusconi atterra con il suo elicottero a Milanello, storico campo d’allenamento di quella che è divenuta da poco una sua proprietà: l’AC Milan. Questo evento segna di fatto uno spartiacque della storia del club rossonero: nei trent’anni di presidenza Berlusconi il Milan vincerà tutto in Italia e in Europa diventando uno dei club più prestigiosi al mondo. Si avvicenderanno molteplici fuoriclasse in campo (Van Basten, Savicevic, Shevchenko, Kaka) e in panchina (Sacchi, Capello, Ancelotti) che porteranno il Milan a vincere ben cinque Coppe dei Campioni (prima) o Champions League (poi). Lo spartiacque per la storia del club, però, non riguarda solamente il rettangolo di gioco: ciò che è da tenere presente è che Berlusconi arrivando cambiò radicalmente la percezione della gente nei confronti del club rossonero.
Riguardo ai derby cittadini la retorica calcistica spesso alimenta miti abbastanza verosimili. All’interno di una città, infatti, due o più fazioni si dividono il tifo calcistico e Milano, ovviamente, non fa eccezione. Il Milan è la squadra più antica, fondata nel 1899 da Herber Kiplin, fondatore e primo allenatore della storia del club rossonero. Proprio a lui si deve la scelta dei colori sociali: «Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari». Meno di dieci anni dopo, alcuni dirigenti del Milan, in disaccordo con il restante nucleo della dirigenza, scelsero di fondare una nuova squadra calcistica milanese. Nel marzo del 1908, all’interno del ristorante meneghino L’Orologio, infatti, nacque l’FC Internazionale. I colori del club vennero scelti da Giorgio Muggiani, pittore e socio-fondatore: «Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma: il nero e l’azzurro sullo sfondo d’oro delle stelle. Si chiamerà Internazionale perché noi siamo fratelli del mondo».
Fin dalla nascita si possono intuire alcuni indizi che si riveleranno fondamentali per comprendere la storia (antica e recente) dei due club. Innanzitutto è interessante soffermarsi sulla biografia dei due fondatori. Herbert Kiplin nasce in Inghilterra, figlio di un macellaio di Nottingham; fin da piccolo lavora in una fabbrica tessile inglese fino a quando si accorge di essere un discreto giocatore di football. Comincia a muovere i primi calci nella squadra della sua città e successivamente, nel 1891, si trasferisce a Torino per lavoro (sempre nel ramo tessile). Cerca di coniugare la sua passione per il calcio con i ritmi lavorativi fino a quando si stabilisce in pianta stabile a Milano, dove sul finire del secolo decide di fondare il Milan Cricket e Football Club: già dalla scelta del nome si può intuire la derivazione britannica. Kiplin è un figlio della working class inglese, è un uomo del popolo, un proletario, morto nel 1916 probabilmente in seguito a un massiccio uso di alcolici. Giorgio Muggiani fin dalla nascita si presenta come una quasi perfetta antitesi di Kiplin. È il rampollo di una agiatissima famiglia di commercianti milanese, trascorre gli anni giovanili formandosi in un ricco collegio svizzero a San Gallo, dove, fra le altre cose, Giorgio si appassiona notevolmente di calcio. Rientrato a Milano agli inizi del ‘900 diventa socio di quella che è l’unica squadra calcistica del capoluogo lombardo. In disaccordo con la dirigenza, come si è detto, insieme ad altri 43 ex soci fonda l’FC Internazionale. Oltre al nero sceglie appositamente il blu per opporsi drasticamente al rosso dei (futuri) cugini cittadini: era l’epoca in cui si usavano unicamente matite di due colori, per l’appunto il blu e il rosso. Giorgio Muggiani è quindi un artista (sarà uno tra i disegnatori italiani più celebri nel periodo fra le due guerre) di chiara estrazione altolocata. La differenza fra i due club appare evidente: patrizi contro plebei, proletariato contro borghesia.
Così è stato per tanti anni raffigurato il derby di Milano. I casciavit contro i bauscia. Per i non avvezzi al dialetto milanese, la traduzione non è complicata. I casciavit sono i cacciaviti, per rimarcare il carattere operaio del club rossonero; bauscia, invece, è una terminologia ancora in voga a Milano e si può tradurre con “sbruffone”, una manifestazione di superiorità dettata da un rango sociale molto elevato. Erano gli anni in cui allo spettacolo del calcio si poteva assistere soltanto in un modo: recandosi, fisicamente, allo stadio. E per quanto riguarda la metropoli lombarda lo stadio è sempre stato uno solo per entrambe le tifoserie: San Siro, la Scala del calcio. Il rango sociale del tifoso medio interista faceva sì che, ad ogni, derby, si poteva andare al futuro Stadio Giuseppe Meazza con la muturéta, la motoretta; questa fortuna, invece, era estranea al tifoso rossonero, il quale, al contrario, doveva per forze di cose spostarsi con i mezzi pubblici: da qui la definizione di tranvée, tranvieri. Fino agli anni ’60, gli anni d’oro del dualismo Mazzola – Rivera che fece anche le (s)fortune della nazionale italiana, il derby della madonnina rappresentava un vero e proprio scontro sociale. I casciavit contro i bauscia, i muturéta contro i tramvée.
Milano, rispetto a quella particolare epoca storica, è drasticamente cambiata. La metropoli si è fatta molto più complessa dal punto di vista urbano e, complice il grande fenomeno immigratorio, la realtà relativa al tifo calcistico è divenuta maggiormente sfumata. Addirittura fuori dalla circonvallazione esterna e nelle aree dell’hinterlaand è molto probabile che i tifosi juventini eguaglino di numero interisti e milanisti. Un ulterioriore drastico cambiamento che ha rivoluzionato la “sociologia” del tifo milanese deriva, come si è detto all’inizio, dall’acquisto del club rossonero da parte di Silvio Berlusconi. I valori operai che contraddistinsero il Milan fin dalla nascita del club furono messi da parte; al contrario i rossoneri cominciarono ad esaltare la grandeur del club, i trionfi, i grandi calciatori acquistati a peso d’oro. Diciamolo con simpatia: Berlusconi è un perfetto esempio del bauscia milanese, termine che storicamente ha sempre indicato il tifoso medio interista. Questa inversione di valori e il cambiamento globale della città ha reso il derby di Milano meno interessante per comprendere il carattere sociale della popolazione milanese; ciò non toglie che San Siro, due volte all’anno, quando si colora di rosso, nero e blu è sempre e comunque uno spettacolo straordinario.