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Giustizia climatica: cronaca di una protesta

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Pier Paolo Pasolini in Scritti corsari, opera edita da Garzanti nel 1975, traccia una linea decisiva tra progresso e sviluppo. L’estratto di questo brano, recuperato da un intervento che l’autore fece alla Festa dell’Unità nell’estate del 1974, fornisce quelle che sono le basi del discorso relativo alla richiesta di giustizia climatica nel mondo.

Bisogna farla una buona volta una distinzione drastica tra i due termini: “progresso” e “sviluppo”. Si può concepire uno sviluppo senza progresso, cosa mostruosa che è quella che viviamo in circa due terzi d’Italia; ma in fondo si può concepire anche un progresso senza sviluppo, come accadrebbe in certe zone contadine se si applicassero nuovi modi di vita culturale e civile anche senza, o con un minimo di sviluppo materiale. Se volete capire meglio lo sviluppo dovete invece leggere il discorso di Cefis agli allievi di Modena e vi troverete una nozione di sviluppo multinazionale o transnazionale come dicono i sociologi- fondato fra l’altro su un esercito non più nazionale, tecnologicamente avanzato, ma estraneo alla realtà dei propri paesi.

Pierpaolo Pasolini, Scritti corsari, 1975

Parlare di clima ed emergenza climatica non può che ricondurci alla diade apparentemente sinonimica di progresso e sviluppo. Il 2 ottobre in Piazza Cairoli a Milano hanno sfilato diecimila persone per manifestare contro l’evento della PreCOP che si teneva nei pressi di Citylife, chiedendo giustizia climatica. Le loro voci, mosse all’unisono, cercavano di sovrastare esponenti di scienza e politici rinchiusi negli alti grattacieli milanesi. L’immagine più significativa dell’evento non è stata tanto la potenza della massa, che Pasolini avrebbe sicuramente contestato – riportandoci al testo dei Capelloni – quanto piuttosto al silenzio finale del corteo per la giustizia climatica. L’attimo in cui qualcosa sta per accadere, in cui si percepisce che qualcosa sta cambiando e da una situazione di stallo si sta per passare al cambiamento. È questo corteo che si ammutolisce per capire, per comprendere, per ascoltare il rumore bianco delle persone rinchiuse dentro i palazzoni di Citylife che conducono le loro esistenze senza occuparsi di ciò che accade fuori, senza rendersi conto della necessità della giustizia climatica.

Milano, 2 ottobre 2021

Ricapitolando con ordine gli eventi è necessario riavvolgere il lungo nastro del tempo per comprendere le tappe di un evento straordinario dal punto di vista sociale.

La manifestazione a Milano del 2 ottobre per la giustizia climatica

Nei palazzoni riflettenti della capitale lavorativa del nord Italia si sono rinchiusi i leader di cinquanta paesi per prepararsi all’evento di Glasgow riportato in agenda per il 31 ottobre che segnerà, secondo le previsioni, importanti date per contrastare il surriscaldamento del pianeta e la questione della giustizia climatica. Davanti a tale immensità politica e architettonica un gruppo di ragazzi, giovanissimi e non, si è ritrovato con megafoni e striscioni per essere ascoltato. È la potenza di una voce che non è ascoltata a muovere forse le coscienze più intime. Mentre il Presidente del Consiglio Mario Draghi sta parlando in una delle sale del potere, in strada diecimila persone armate con la sola forza della musica, della parola e del bene, scendono per le strade urlando «Giustizia climatica ora!» e il suo discorso preparato e scritto con cura necessita una pausa. L’esterno che sovrasta l’interno come un’onda anomala. È l’urlo disperato di una generazione, quella che per poco tempo ha visto la propria vita trasformata dal progresso e dallo sviluppo di cui anni prima parlava Pasolini.

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Chi era presente all’evento può affermare con certezza che la presenza tra file dei manifestati di Greta Thunberg segna uno spartiacque tra un prima e un dopo, tra uno sciopero e una manifestazione capace di far vibrare le finestre dei palazzi. Non è più una questione privata, ma diventa collettiva, nell’accezione francese del termine collectivité, e cioè la qualità di ciò che è di tutti.

Le generazioni presenti, dalla bambina di quattro anni in sella alla bici del padre, al signore anziano che indossa una maglietta con la scritta “Non esiste un piano B”, ci ricordano la potenza delle grandi manifestazioni degli anni tra il 1968 e il 1972. Di tempo ne è trascorso da quella fiumana di persone, sono cambiate le situazioni e le proteste, ma il binomio protestanti-forze dell’ordine è sempre rimasto uguale

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A colpire chi si trovava quel giorno in strada sono stati gli scudi e i manganelli della Digos, le facce incattivite e il comando di restare calmi e pronti agli ordini, come cani addestrati a combattere contro i propri simili. Scene pietose di pestaggi, di violenza gratuita, di forza collettiva delle armi dello stato che finanziamo noi stessi pagando le tasse. Resistere sembra diventata una priorità in un anno difficile e complesso come questo 2021 e l’unico modo pacifico che è rimasto è quello di scendere nelle piazze e urlare, ballare e baciarsi davanti agli striscioni, sventolando in alto le borracce. Questo è stato l’anno in cui i sacrifici svolti dai lavoratori sono stati tanti e in molte occasioni non c’è stata nemmeno la possibilità di manifestare. I giornalisti hanno ricevuto qualche spintone nella mattinata del 2 ottobre davanti alla PreCOP, le forze dell’ordine avanzavano senza riconoscere e distinguere che i manifestanti che si muovevano verso di loro avevano tute bianche e mani alzate. Dita che tendono al cielo in segno di resa, con il solo desiderio di avanzare per parlare, dialogare ed essere ascoltati. Risiede in questa visione il senso della manifestazione, il senso di cambiare il mondo ora perché un domani tutti possano avere un futuro più dignitoso, basato sul rispetto del pianeta che ci sta ospitando, perché di fatto la giustizia climatica è più urgente che mai.

giustizia-climatica
Milano, 2 ottobre 2021

Quel che rimane a seguito di un camp organizzato non è solo la voce di chi, fuori dalle stanze del potere, proponeva soluzioni, ma anche il profondo desiderio di essere per una volta ascoltati. Succedeva a Firenze, meno di un mese fa, che dopo le vicende dei lavoratori della GKN insorgere pareva essere diventata l’unica prerogativa per resistere a questo ambiente, a questo mondo. La loro voce è stata ascoltata, anche se in modo parziale, mentre quella dei giovanissimi ancora fatica a trovare una propria collocazione.

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Ci chiediamo dunque quanto tempo ci resti da vivere su questo pianeta senza morire soffocati dagli agenti inquinanti delle grandi aziende, quanto può essere importante l’influenza del singolo in una collettività. Tante volte ci siamo interrogati senza ricevere altro che risposte violente.

Lo stesso Pasolini in Petrolio denunciava la collusione di alcune di queste aziende con i sistemi dello stato, mettendo in luce traffici illeciti e mafiosi; forse per questo è stato ammazzato brutalmente e senza pietà. Ci chiediamo dunque quanti ancora dovranno perdere la vita, soffocati dall’ Eternit in Piemonte, dagli scarichi illeciti dell’Ilva a Taranto e dalle esalazioni di rifiuti tossici in Lombardia e Campania, prima di essere ascoltati.

Questo è il momento di capire la netta distinzione tra progresso e sviluppo, affinché si possa apprendere che uno Stato può anche dialogare con i suoi cittadini, che un futuro migliore può ancora esistere, bisogna solo costruirlo, attraverso la pace, attraverso la speranza, con la sola viva forza della voce. Giustizia climatica ora.

Chiara Frisone

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