Giovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840, in un contesto sociale e politico in continua evoluzione. L’Unità d’Italia alle porte influenzerà prepotentemente tutto il suo percorso privato e letterario, rendendolo probabilmente l’icona di spicco di tutto il verismo.
Già dai primi anni di liceo, Verga ha modo di sviluppare i suoi primi ideali repubblicani, scoprendo i testi dei grandi del passato quali Dante Alighieri, Francesco Petrarca e Alessandro Manzoni. È però durante l’università che capisce definitivamente che la strada che da intraprendere nella sua vita non può che essere dedita alla letteratura e al giornalismo politico.
Nel 1861 fonda tre settimanali, purtroppo destinati ad avere breve vita. Il primo di questi, dal titolo eloquente, è Roma degli Italiani grande esempio dello sconfinato patriottismo che lo investe al tempo.
Stabilitosi a Firenze dopo la morte del padre nel 1865, entra in contatto con un nuovo mondo letterario, conoscendo professori e scrittori. Questo periodo lo porta al compimento dei suoi primi romanzi, vale a dire Una peccatrice e Storia di una Capinera.
Sarà però il periodo milanese a cambiare Verga dal profondo, a sconvolgere i suoi ideali e di conseguenza tutta la sua successiva produzione letteraria. Giovanni Verga passa circa vent’anni nel capoluogo lombardo, pur trascorrendo comunque lunghi soggiorni nella sua terra natale. È probabilmente questo susseguirsi di cambi di realtà a compromettere irrimediabilmente il suo patriottismo e a far dilagare in lui un sempre più acceso pessimismo. Quando lo scrittore siciliano giunge a Milano nel 1872 il contesto sociale e politico è in continua evoluzione. Con l’Unità d’Italia sono stati aboliti gli stati regionali, centralizzando il potere. A causa di un diffusissimo analfabetismo e di forti problemi economici, la nuova Italia è da subito assediata da questioni irredimibili. L’Unità poi ha nettamente favorito le regioni del Nord: la Lombardia e il Piemonte vengono spinte nella corsa all’industrializzazione, che dalla fine dell’Ottocento al primo decennio del Novecento ha investito tutti i grandi Stati europei, e non solo.
Il Meridione però non vede lo stesso “input al progresso”: il prezzo di questa nuova civiltà risulta carissimo alle terre verghiane. Le regioni del Sud vengono abbandonate a loro stesse, diventando il granaio d’italia. I meridionali si trovano investiti da nuove leggi, nuove tasse, senza la presenza amica di uno Stato solido: ecco che nasce la questione meridionale.
A Milano dunque Giovanni Verga assiste a questa fortissima spinta all’industrializzazione, legata a doppio filo con lo sviluppo della proletarizzazione e con la sua conseguenza naturale: la lotta di classe. Entra poi in contatto con molti intellettuali, tra cui gli Scapigliati che hanno reso Milano il cuore pulsante della vita letteraria italiana. Non a caso proprio qui fa la conoscenza di Luigi Capuana ed è proprio grazie a questa amicizia fraterna che Verga entrerà a far parte della corrente verista.
Il verismo vede come suo genitore il naturalismo francese e con lui condivide il rapporto tra uomo e ambiente e lo studio dei meccanismi psicologici. Ne differisce però nettamente con un forte senso pessimistico, sentimento completamente estraneo al naturalismo. Il verismo infatti, tratta principalmente due questioni: la questione regionale, che sottolinea quanto ancora le singole regioni italiane mantengano un’identità tutt’altro che nazionale e, conseguentemente, la sopracitata questione meridionale. Non è un caso infatti che tutti le penne veristi fossero originarie del Sud, consce ormai del fallimento dell’Unità d’Italia e profondamente affrante per la crisi della loro terra. Dunque questi scrittori avvertono il peso di dover informare tutto il proprio pubblico circa le condizioni del meridione, perseguendo lo scopo primario di rendere nota la povertà e l’arretratezza su cui moltissimi preferivano non soffermarsi.
Verga da uomo siciliano che tanto ciecamente ha creduto in una causa che riteneva giusta e proficua per la sua gente è partito dalla sua terra ed ha scoperto un mondo nuovo, il sistema economico e spesso anche morale della borghesia settentrionale, ed è arrivato a condannarlo completamente. L’aver perso ogni illusione lo rende in grado di scoprire i numerosi malfunzionamenti causati dall’industrializzazione, vedendo la realtà nella sua interezza e portandolo a provare un senso di sconfitta e fatalismo.
L’autore a Milano scrisse quindi il suo celebre Ciclo dei vinti all’interno del quale compaiono, tra gli altri, I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo. Questo titolo racchiude il senso più profondo delle opere che contiene: Verga vuole mostrare che il senso della vita e della società, per definizione in continua evoluzione, è la lotta, una lotta individuale e di classe, ma l’evoluzione naturale sarà sempre a spese dei singoli (ed ecco il pessimismo verista) rendendoli quindi dei vinti.
In questi testi ormai lo scrittore è vicino al mondo popolare, compiendo così un gesto incredibilmente innovativo: per la prima volta il personaggio plebeo di cui si va a parlare non è legato ad un paesaggio bucolico, ma viene raccontato nel suo coraggio scatenato da tortuose sofferenze. Troviamo in Verga una comprensione rassegnata della realtà, descritta come impossibile da sconfiggere. I valori del patriarcato e della “religione della famiglia” si dimostrano collante dell’eroismo dei vinti.
La tecnica narrativa dell’autore siciliano è il suo fiore all’occhiello: l’opera sembra essersi scritta da sé poiché lo scrittore al suo interno è invisibile. Secondo Verga il lettore, per non sentirsi estraneo ai fatti ma al loro interno, non deve trovare antefatti della storia nei primi capitoli del libro, ma deve direttamente assistere alla scena e seguirne lo svolgimento. Per creare «l’illusione completa della realtà» si deve quindi lasciar che gli attori si svelino per quello che sono col susseguirsi della trama.
Nel 1893 Giovanni Verga rientra stabilmente a Catania dove muore il 27 gennaio 1922. In questi ultimi anni continua a pubblicare alcune novelle, che si dimostrano il proseguimento stanco di un uomo ormai mangiato dalla realtà e dal suo stesso pessimismo.
Margherita Vitali
Immagine di copertina: commons.wikimedia.org
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