La storia dell’uomo è da sempre legata a due grandi temi: la vita e la morte. E la seconda è quella che ha catturato più spesso l’attenzione di artisti, poeti e intellettuali. Giovanni Segantini è stato tutte e tre le cose insieme. Artista di fatto, padre del divisionismo insieme a Gaetano Previati; poeta perché nelle sue lettere ci trasporta nel suo mondo con parole dolci e senza tempo; intellettuale poiché ha gettato le basi di una rivoluzione artistica partendo dai dettami dell’impressionismo, riuscendo ad unire le innovazioni scientifiche alla sua grande passione per la Natura.
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Ma come tutti gli uomini, racconta la realtà usando la sua esperienza di vita come metro di paragone, accompagnandoci nelle pagine della sua vita (complessa, malinconica, costellata di avvenimenti tragici) regalandoci la sua versione della storia.
Segantini e il suo tempo
L’arte è un atto politico, sempre. Segantini se ne serve per giudicare, per sentenziare su cosa sia giusto o sbagliato. E non tutto quello che racconta nei suoi quadri è dolce e malinconico come potremmo immaginarcelo.
Esiste un tema che fatica a digerire, a narrare senza cadere nella trappola del giudizio non richiesto, soprattutto perché è un tema che non tocca l’uomo, ma la donna. Si tratta della scelta di non diventare madre. Un tema forte, contemporaneo, che ciclicamente torna a mettere in discussione un diritto che si pensava fosse già stato ampiamente – e non senza difficoltà – conquistato decenni fa, ma che si ritrova debolmente protetto.
Giovanni Segantini: la vita
Non si può parlare di un artista senza leggere il contesto in cui vive. Giovanni Segantini nasce ad Arco di Trento nel 1858, da una famiglia con una precaria condizione economica e rimane orfano della madre a soli 8 anni. Da quel momento la sua vita è fatta di fughe, prigionie, spostamenti repentini ed obbligati. Suo padre non sa come gestire un figlio senza punti di riferimento e spera che lasciarlo alla sorellastra possa alleviare le sue agonie. Ottiene l’effetto contrario. Arrestato per ozio e vagabondaggio, trova nelle lezioni serali dell’Accademia di Brera uno sfogo e un riparo dalla sua vita errabonda. E conosce Bice Bugatti, l’amore della sua vita.
Lei è ciò che ha sempre cercato nella madre che non ha mai avuto, cagionevole e mai presente nella vita del giovane pittore trentino. Bice gli donò quattro figli e fu madre protettiva e molto amata.
Nelle sue tele le donne sono protagoniste, dipinte come madri perfette, pronte ad abbracciare, coccolare ed allattare i propri figli. Una vera e propria ossessione la sua: madonne laiche, sedute su grandi alberi nodosi, che richiamano alle iconografie mariane d’oltralpe, oppure stanche contadine che cadono addormentate con il loro pargolo, accoccolate attorno al chiarore di una lampada nel caldo di una stalla.
Le Cattive Madri, 1894
Ma esiste una serie di dipinti dove la donna è simbolo di peccato, morte, infertilità ma anche indipendenza, intraprendenza, libertà di opinione, pretesa di rispetto. Si tratta del cosiddetto Ciclo del Nirvana, grandi oli su tela ispirati al testo Nirvana, redatto dal librettista Luigi Illica. Il brano selezionato da Segantini racconta la condanna che devono subire le donne che decidono di non essere madri.
L’artista dona corpo e colore alle parole del poeta nell’opera Le Cattive Madri (1894, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna). Ecco quindi che da una landa desolata e congelata, si ergono alberi contorti, simili a cordoni ombelicali, da cui spuntano teste di bambini che chiamano a gran voce le rispettive madri, le traggono a sé e queste, allattando i figli che hanno rifiutato in vita, potranno raggiungere il Nirvana.
Or ecco fuori della vallea livida appaion alberi! Là da ogni ramo chiama forte un’anima che pena ed ama; ed il silenzio è vinto e la umanissima voce che dice: Vieni! A me vieni, o madre! Vieni e porgimi il seno, la vita. Vien, madre!... Ho perdonato!... Là fantasima al dolce grido vola disiosa e porge al ramo tremulo il seno, l’anima. Oh, portento! Guardate! Il ramo palpita! Il ramo ha vita! Ecco! E il viso d’un bimbo, e il seno succhia avido e bacia! Poi bimbo e madre il grigio albero lascia cadere avvinti... Là su Nirvana irradia! Là su il figlio con seco tragge la perdonata Madre... I monti varcano le due fantasime!... Varcan l’angoscia de le nubi e volano dove è Nirvana. Oh, umana questa fede che dimentica e che perdona.
Segantini si immagina la natura testimone di questo castigo come il Purgatorio Dantesco, glaciale e sterile e le sue parole lo confermano: «Quando voli castigare le cattive madri, le vane sterili lussuriose, dipinsi i castichi in forma di purgatorio» (“Ver Sacrum”, 5, 1899[4])
Segantini sceglie di dare voce al suo dolore di orfano, esaltando il potere materno incarnato nella perfetta compagna Bice Bugatti, che aveva portato a termine egregiamente il compito che spetta alle donne, ovvero essere madri.
«Amai e rispettai sempre la donna in qualunque condizione essa sia pur che abbia viscere di Madre.», queste sono le parole dell’artista, che lasciano intendere il grande vuoto lasciato dalla perdita della madre e la sua ricerca spasmodica di riempire quella voragine fredda e gelida, come la landa desolata di Illica.
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Le Lussuriose, 1891
Giovanni non si capacita di come una donna possa scegliere di rinnegare la maternità.
E non dipinge solo le Cattive Madri, ovvero coloro che abortiscono e si avvalgono di contraccettivi per non procreare; ma si azzarda anche a rappresentare Le Lussuriose (1891, Walker Art Gallery, Liverpool), che si uniscono all’uomo solo per soddisfare i propri piaceri sessuali.
Queste, saranno condannate a vagare nella tormenta del silenzio, «in vallea livida per ghiacci eterni / dove non ramo inverda o fiore sbocci».
Sono opere che raccontano il dolore di un figlio rimasto orfano, non per scelta dell’amata madre, ma per la storia scritta da un crudele destino, che diventa l’ossessione artistica di Giovanni Segantini.
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Cosa possiamo imparare?
Siamo alla fine del 1800, e non possiamo peccare di presentismo criticando l’operato di un uomo ancorato al suo secolo, dove le donne erano mere dispensatrici di vita, angeli del focolare relegate ad un’esistenza passiva e inerme. Possiamo tuttavia partire dalle parole di Giovanni Segantini e tentare di costruire un mondo affine ad uno dei più grandi traguardi del nostro secolo: la libertà di scelta.
Dietro la decisione di non accogliere la maternità ci possono essere mille motivazioni diverse, e sono tutte inattaccabili perché provengono dalla riflessione di una donna, essere senziente che ha il diritto di decidere del proprio corpo. Possiamo avvicinarci a quelle donne incastonate tra rami nodosi a guisa di artigli e tentare di liberarle con le forbici della libertà del secolo breve, che spesso ci dimentichiamo di avere raggiunto.
L’arte è un atto politico, sempre. Ed essere padroni del proprio corpo e della propria esistenza è la più grande rivoluzione a cui possiamo aspirare.
Chiara Anna Delmiglio
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L’articolo è stato scritto da Annachiara Del Miglio, Guida Turistica Abilitata e Operatore Didattico Museale, che ringraziamo molto per la collaborazione. Potete trovare i suoi lavori su www.weearttour.com e seguirla sui social.