Ogni anno a inizio maggio la città di Orléans, nel pieno delle assolate campagne francesi, si anima per celebrare una giovane donna. O un’eretica. O una santa. O una portastendardi. O un’eroina nazionale. Scegliete pure, perché Giovanna d’Arco (o Jeanne la pucelle – la pulzella, che significa ragazza nubile – come si fece sempre chiamare in vita) è ancora tutto questo.
Quando Jeannette arrivò qui con un contingente militare, nel maggio 1429, permise la fine di un complesso assedio in cui il controllo della città era diviso tra i Francesi e gli Inglesi – con i loro alleati Borgognoni –, impegnati nella Guerra dei cent’anni. Gli armati le erano stati affiancati direttamente da Carlo, delfino di Francia (l’erede al trono), in quel momento estromesso con un sotterfugio dalla successione a favore del figlio del re d’Inghilterra. La drammatica situazione francese, con l’intera fascia settentrionale del regno e parte della costa atlantica occupate, poteva essere risolta solo con l’intervento di Dio. O di una giovane da Lui mandata.
Le date che ci servono per riflettere su Giovanna d’Arco non sono solo quelle dell’inizio e della fine della sua breve vita, cominciata nel tuttora minuscolo villaggio di Domrémy (in Francia orientale) nel 1412 e terminata diciannove anni dopo sul rogo a Rouen, il 30 maggio 1431. Nel 1456, più di vent’anni dopo il processo per eresia che l’aveva condannata a morte, Jeannette fu dichiarata innocente da tutte le accuse: iniziò così l’esaltazione anche storica di questa figura già celebrata in vita, che divenne beata nel 1909, santa nel 1920 e infine patrona di Francia – seconda solo alla Madonna – nel 1944.
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I tratti fondamentali della vita straordinaria di Giovanna d’Arco appartengono alla cultura di tutti: una fanciulla in età puberale cominciò a sentire le voci dell’arcangelo Michele – non a caso il protettore dei Valois, legittima dinastia sul trono francese in quel momento –, di santa Caterina e di santa Margherita; i tre entro qualche anno la iniziarono ad esortare nientemeno che a salvare la Francia dagli occupanti inglesi. La famiglia di Giovanna non era composta solo da sempliciotti come la immaginiamo, dato che proprio grazie alle amicizie di un parente riuscì a presentarsi alla corte di Carlo. Nonostante le voci contrarie di alcuni influenti consiglieri e comandanti, costui decise che il contingente di soldati diretto a Orléans per risolvere l’assedio della città l’avrebbe seguita (pur senza averla dotata di autorità ufficiali). I capelli corti, l’armatura bianca, uno stendardo, Jeannette era vestita più da monaca guerriera che da uomo. La liberazione della città fu l’inizio di una serie di vittorie che durò per tutta la stagione della guerra – culminata nell’incoronazione di Carlo a Reims – finché Giovanna fu ferita a Parigi all’inizio dell’autunno.
Con la ripresa delle ostilità l’eroina francese continuò a muoversi alla guida di piccoli gruppi di soldati, sospinta dal furore delle folle e delle truppe, fino alla fine del maggio 1430, quando Jeannette venne catturata dall’esercito borgognone a Compiègne mentre combatteva insieme a un contingente. Cinque mesi dopo, a ottobre, fu venduta agli inglesi. Le alte sfere del potere francese non si mossero: non c’era più bisogno di Giovanna, la situazione della guerra iniziava lenta ma inesorabile a sbilanciarsi a favore di Carlo VII. Nel gennaio 1431 iniziò così il processo per eresia che la vedeva imputata, forse l’unica arma con cui fosse possibile colpire un personaggio tanto insolito. Il margine tra la santità e l’eresia, come prova la storia di Giovanna, era quasi impercettibile. A sentire le voci erano in tanti nel Medioevo, e spesso le monache trovarono proprio nel misticismo e nella sua trasmissione scritta e orale un potente strumento di espressione personale o artistica. Era ben diverso però essere chiuse in un monastero o guidare un esercito nazionale alla riscossa. Non si mettano in dubbio la sincerità di Jeannette né la sua fede (chi lo faceva già ai tempi non le impedì di raggiungere gli straordinari successi per cui è passata alla Storia); ma è forse sensato iniziare a concepire certi fenomeni come uno straordinario mezzo di espressione ed emancipazione, al posto di continuare a mascherarli dietro al candore delle protagoniste, alla loro giovane età o agli ideali che condividevano.
Come tutt’oggi spesso accade, il processo a Giovanna del 1431 era solo rivestito dalla patina dei principi religiosi; dietro erano nascoste questioni politiche, ammantate di valori per colpire là dove da sole non sarebbero riuscite ad arrivare. Chiamare in causa l’ortodossia era lo strumento per eliminare un nemico militare e ingombrante, non religioso. Lo dimostra anche il fatto che in Inghilterra l’Inquisizione non prese mai ampiamente piede. I giudici ecclesiastici non misero in dubbio che Giovanna stesse agendo autonomamente, né che fosse totalmente in possesso delle sue facoltà mentali: ciò che ufficialmente la trascinò sul rogo nel maggio 1431 fu l’attribuzione demoniaca delle voci che sentiva, il loro potere corruttore sulla mente di una fanciulla che ora andava eliminata a causa della sua vulnerabilità alle influenze di un soprannaturale maligno.
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Non a caso la revisione postuma del processo venticinque anni dopo sarebbe stata presieduta dai Francesi, quando l’esito della Guerra dei cent’anni era ormai scontato: nel 1456 la presenza inglese sul continente era limitata a piccole sacche di resistenza e al porto di Calais. Re Carlo VII, lo stesso che Giovanna aveva incontrato e spronato alla riconquista, che si era tirato indietro al momento di riscattarla dalle grinfie inglesi mentre la pulzella era prigioniera, la riabilitò. Non c’era traccia di eresia nelle azioni di colei che ormai era diventata poco più che cenere.
Non servono lunghe ricerche per renderci conto di quanto questa figura sia strumentalizzabile: possiamo usarla come esempio della determinazione femminile all’interno di un contesto avverso perché archetipicamente maschile come la guerra, o come emblema di strenua militanza cristiana. E accanto a tutto questo è stata proprio la sua forte componente patriottica a tutelarla intatta fino ad oggi. La Storia, come raramente fa, ci ha consegnato un personaggio che sembra possedere un’eredità intatta, vicina a ciò che percepivano i contemporanei.
Per saperne di più:
Colette Beaune, Giovanna d’Arco, Il Saggiatore, 2019.
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