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Giovani, bisogna tentare un altro ‘68!

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A distanza di più di cinquant’anni, guardandoci indietro e riflettendo su quegli anni che sono stati tra i più effervescenti del secolo scorso, possiamo chiederci che cosa sia rimasto del ‘68 e, soprattutto, che cosa dovremmo fare oggi per provare a rendere compiuto quel tentativo di rivoluzione che è rimasto incompleto.

Ma perché in una situazione fortemente instabile come quella del 2020, alle prese con una pandemia che ha messo in crisi i nostri assetti economici, sociali e geopolitici, dovremmo tentare di  riattualizzare il ‘68? Non è forse già abbastanza precaria la nostra condizione? Non dovremmo sforzarci di ristabilire una situazione di sicurezza invece che aspirare al ritorno di uno spirito di contestazione il cui fine precipuo è esattamente quello della destabilizzazione?

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Sono dubbi leciti questi, che però forse emergono da una memoria molto corta che ha già dimenticato come durante i mesi più critici di diffusione del virus qui in Italia ci siamo detti che superato il momento peggiore avremmo avuto l’occasione di costruzione di una normalità nuova: più giusta, basata sull’uguaglianza, sulla solidarietà, sull’empatia e sulla fratellanza. Ebbene, sono proprio questi i valori di cui le contestazioni giovanili della seconda metà degli anni ‘60 si fecero portavoce, sfidando coraggiosamente il predominio politico e culturale di un economicismo che ancora oggi affligge la nostra società capitalista, imperialista e consumistica.

Giovani, bisogna tentare un altro ‘68

Ecco quindi un valido motivo per riferirsi al ‘68, per trarre da quel movimento, nella sua globalità e nelle sue declinazioni particolari, una fonte di ispirazione per cercare una risposta ai problemi del presente, che potremmo definire le evoluzioni storiche del sistema sociale, economico, politico e militare che già in quel periodo era affermato. Tra le rivendicazioni dei movimenti giovanili, universitari ed operai, troviamo la lotta per la liberalizzazione dei costumi, l’affermazione del principio di uguaglianza sostanziale nella società, l’opposizione al razzismo, al militarismo, alle tendenze colonialiste, inscritte nel generale panorama di una fortissima contestazione di qualsiasi dogmatismo ed autoritarismo, sia esso di destra o di sinistra.

Il ‘68 è stato rivoluzionario nella misura in cui per la prima volta si è costituita una protesta globale che ha messo in luce i disagi e le problematicità che il sistema capitalista, imperialista e classista inevitabilmente produce. Prima di questo momento non c’era mai stata una mobilitazione delle masse tanto ampia che riconoscesse ed esplicitasse, in maniera così lucida e cruda, il nesso tra gli orrori del mondo contemporaneo, come le guerre coloniali, la povertà dei ceti bassi, la segregazione razziale e via dicendo, e l’impostazione di potere autoritaria, dogmatica, oppressiva, culturalmente sterilizzante. È necessario oggi riconoscere ancora una volta come questo nesso tra strutture di potere e vicende tragiche dell’attualità sia più che mai vivo, per poterlo scardinare.

Giovani, bisogna tentare un altro ‘68

Potremmo individuare nella politica imperialista statunitense all’origine della guerra del Vietnam del secolo scorso, combattuta per una logica di interessi geopolitici volti ad allargare la propria sfera di influenza, la causa anche delle più recenti guerre del Golfo e della costante destabilizzazione in Medio Oriente, che gli USA operano anche appoggiando le azioni militari israeliane. Il pacifismo non dovrebbe essere un imperativo politico, oltre che morale, in un paese che nel 2019 aumentava del 5.3% del PIL gli investimenti per le spese militari (pari a 738 miliardi di dollari), pur non avendo una copertura sanitaria pubblica, la cui mancanza si è rivelata essere un fattore aggravante decisivo nella diffusione del COVID-19? Eppure la risposta statunitense a questa evidenza sembra essere quella del proseguimento nel potenziamento degli armamenti in ottica competitiva contro la superpotenza cinese.

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Potremmo anche riflettere sulla quantità di stati oppressi da un governo autoritario e liberticida che mira unicamente alla tutela degli interessi particolari della classe dirigente e che, corrotto, distribuisce le ricchezze alle personalità vicine ai vertici del potere: Bielorussia, Corea del Nord, Ungheria, Polonia, Turchia, Egitto, solo per ricordarne alcuni. Dovremmo anche evidenziare come il ‘68 abbia prodotto tra gli intellettuali numerosi critici nei confronti del modello comunista sovietico, i quali si rifacevano ad un marxismo non dogmatico, come quello trotskista o quello della Scuola di Francoforte. Critiche simili al centralismo oppressivo ed alla burocrazia del partito, che allora venivano rivolte al regime russo potrebbero forse oggi essere riattualizzate nei confronti della Cina di Xi Jinping.

Giovani, bisogna tentare un altro ‘68

Per quanto riguarda invece la persistenza di fenomeni sociali e culturali dal carattere sistemico, quali il razzismo, il sessismo, e l’omofobia, sembra evidente che il lavoro per raggiungere gli obiettivi che giustamente gli attivisti rivendicano sia ancora estremamente lungo. In Italia le opposizioni alla proposta di legge Zan, alla proposta di creazione di una commissione parlamentare contro razzismo ed intolleranza della senatrice a vita Liliana Segre, le evidenze di tentativi a livello regionale, in particolare della giunta umbra, di fare passi indietro sull’accessibilità all’aborto e la presenza dei cimiteri di feti su territorio italiano rendono lampante la drammatica arretratezza in cui il nostro paese ancora è fossilizzato, non solo di fatto, ma anche culturalmente e politicamente.

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Di fronte agli innumerevoli giochi di potere, tragedie, insidie e vessazioni che caratterizzano tuttora la nostra realtà socio-politica, da dove partire per tentare di opporvisi? Da dove trarre dei riferimenti culturali e storici da cui imparare e da declinare secondo le esigenze odierne specifiche? Probabilmente un movimento di scala globale, composto da giovani di svariata estrazione sociale, pacifista e desideroso di libertà reale e di uguaglianza è un buon punto di inizio.

Francesca Campanini

 


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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.