Tutti noi sentiamo il Giappone e le sue meraviglie come un luogo familiare pur non avendolo mai visitato. Conosciamo il loro cibo, l’arte, lo sport, i prodotti per la TV e persino alcune parole in giapponese. Sappiamo tutti il significato dei termini arigato, sakura, kimono e ninja, ma ci illudiamo di poter capire il Giappone, una cultura millenaria ricca di luci e ombre.
Ho visitato il Giappone nel marzo 2019; per la prima volta nella mia vita, avrei conosciuto da vicino quel paese di cui tanto avevo letto nei libri e nei manga. Prima tappa: Tokyo. La capitale del Sol Levante fa parte delle cosiddette megalopoli: agglomerati urbani continui, solitamente con più di 40 milioni di abitanti. L’area urbana di Tokyo ne conta circa 37.
È quindi facile perdersi in questa moltitudine di umanità che si muove all’unisono, pretendendo lo stesso da voi. Il primo impatto con il Giappone è stato verso l’assoluta e quasi eccessiva cortesia del suo popolo, molto spesso accentuata da un’estrema timidezza verso il prossimo. A Tokyo ci si sente piccoli, soli, ma mai intimoriti. L’impressione è quella di dover essere leggeri e delicati per interagire con i giapponesi, come per paura di spaventarli. Il tutto sta nel rispettare il loro amore per le file ordinate, per le corsie dove camminare e per il mantenimento delle distanze. I primi giorni capiterà di sbagliare, ricevendo occhiate sgomente dai passanti, ma come tutte le cose, è solo questione di abitudine.
Nell’affollata capitale del Giappone non si può fare a meno di visitare le meraviglie simbolo di Tokyo: l’immenso incrocio di Shibuya, il quartiere dei divertimenti: discoteche, centri commerciali e love hotel si mischiano in un caleidoscopio di colori, offuscato dalla pioggia che ha accompagnato quasi ogni giorno della mia permanenza in Giappone. Tokyo non è fatta solo di rumorose sale giochi e buffi negozi di action figure disinibite, come se ne trovano a decine ad Akihabara, il cuore della cultura otaku, ragazzi e uomini giapponesi particolarmente appassionati di manga, anime e videogiochi. Tokyo è anche grandi parchi silenziosi, magnifici templi e angoli di Giappone feudale sopravvissuti in mezzo ai grattacieli. Si possono ammirare i ciliegi in fiore al parco Ueno, respirare il fumo degli incensi al tempio Sensō-ji mentre si elargisce un’offerta, meravigliarsi di vedere ragazze in kimono che fanno acquisti nei piccoli negozi di Asakusa, mentre sullo sfondo svettano le moderne abitazioni della città più grande del Giappone.
Lasciata Tokyo e i suoi contrasti, il mio viaggio prosegue fino a Osaka, città meno turistica ma non meno importante nel panorama economico e culturale del Sol Levante. Il mezzo scelto per il viaggio è lo Shinkansen, il treno più veloce al mondo, con un andamento di crociera di 262 km/h. Oltre che estremamente veloce, il “treno proiettile” risulta perfettamente puntuale, cosa che a questo punto del viaggio quasi smette di stupire. Come non sorprende quasi più la cordialità estrema del controllore, che prima di richiedere i titoli di viaggio si scusa con i passeggeri, inchinandosi e togliendosi il cappello della divisa con le mani guantate di bianco.
Osaka è considerata “la cucina del Giappone”, grazie alla quantità di piatti tipici dello street food disponibili per le strade della città. Oltre alle gigantesche scodelle di ramen e al sushi, diffusi in tutto l’arcipelago, Osaka offre dalle sue bancarelle gli okonomiyaki, letteralmente “ciò che ti pare alla piastra”; delle frittelle di farina, uova e acqua su cui si aggiungono in cottura verza e strisce di bacon, sormontati da una generosa dose di salsa agrodolce e maionese. Una sola basta per un mese, ma ne vale assolutamente la pena. Un altro piatto irrinunciabile di Osaka è il takoyaki, palline di pastella all’uovo che racchiudono un cuore di polipo, condite con erbe e katsuobushi, scaglie di tonno essiccato. Un consiglio: mangiare con calma, sono un tranello al pari del pomodorino di fantozziana memoria.
L’ultima tappa del viaggio è Kyoto, l’antica capitale del Giappone. Un luogo cristallizzato nel tempo, immune ad ogni interferenza in cemento del XXI secolo. A Kyoto le donne passeggiano in kimono sotto i ciliegi, gli abitanti si spostano esclusivamente in bicicletta, e tutta la città sembra pervasa da un grande senso di pace, forse anche grazie alle centinaia di templi, dove il rumore assordante dei pachinko e la frettolosità di Tokyo diventano ricordi lontani. L’antica capitale è il luogo perfetto dove conoscere quel lato fatto di pura estetica dei giapponesi. Si possono ammirare luoghi come il tempio Kinkakuji, conosciuto anche come il Padiglione d’Oro. Un insieme di natura e costruzione umana talmente perfetto da risultare irreale, come se ci si trovasse a camminare dentro una stampa del periodo Edo.
Nonostante le decine di luoghi meravigliosi all’interno della città, come il tempio Kiyomizudera, o il quartiere storico di Sannenzaka, il luogo più famoso di Kyoto si trova a qualche minuto di treno dal centro; si tratta del Fushimi Inari Taisha, il Tempio dalle Mille Porte. Si tratta di un complesso shintoista, caratterizzato dalla presenza di migliaia di porte rosse dette torii, simbolo del passaggio dal mondo terreno a quello spirituale. Il percorso che si dipana sulla collina del Fushimi Inari è guidato da questi portali sacri, donati da fedeli privati e da aziende giapponesi, tutti desiderosi di ingraziarsi il dio Inari, protettore dell’abbondanza e dei commerci. Oltre ai torii, lungo il cammino che porta alla cima è possibile vedere numerose statue della volpe, animale sacro e messaggero del dio. Alcune portano con sé una chiave; è la chiave del granaio dove è riposto il riso, il più importante tesoro per il Giappone feudale.
La spiritualità è un lato della cultura giapponese importante quasi come il senso dell’estetica con cui affrontano ogni lato della vita. Non è raro vedere giovani ragazzi e ragazze in meravigliosi abiti tradizionali pregare al tempio o portare addosso amuleti sacri, come non è raro che anche il più scettico degli occidentali rimanga affascinato dai rituali complessi di preghiera e purificazione richiesti nei luoghi sacri, come quello del lavaggio delle mani o del suono della campana. Piccoli gesti carichi di significato e di sacralità.
Il Giappone, con le sue meraviglie, i suoi luoghi magnifica bellezza, la fredda e ostentata cortesia, i grattacieli e i templi, rappresenta un insieme di contraddizioni e mescolanze tra le più belle e fragili del mondo. Al tramonto, a Kyoto si possono vedere le maiko, le apprendiste geishe, camminare frettolosamente verso le case da tè in legno e carta di riso, con i sandali laccati che battono sul terreno in pietra. Nello stesso istante a Tokyo si accendono le luci di Shinjuku, il quartiere delle boutique internazionali e dei locali alla moda, dove, dopo ore di estenuante lavoro, gli abitanti della capitale corrono a ubriacarsi di saké e shōchū. Due facce della stessa moneta, su cui è impresso un elegante fiore di ciliegio.
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