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Fiori giapponesi in un'illustrazione
Fiori giapponesi in un'illustrazione

Giappone in fiore: tra Hanami, Ikebana e antiche simbologie

Il fiore di ciliegio costituisce le fondamenta della cultura giapponese, rendendo il periodo della fioritura ancora più magico.

4 minuti di lettura

La fioritura dei ciliegi, coi loro petali volteggianti nella brezza primaverile, è uno dei momenti più suggestivi, quasi feerici, per chiunque si rechi in Giappone. Ma oltre alla bellezza – che certo gioca un ruolo chiave – il fiore possiede un peso culturale che non è facile riscontrare nella realtà ipertecnologica e iperantropomorfizzata del secolo corrente.

Lo Hanami – l’ammirazione della fioritura

Oltre a seguire lo spostamento delle nubi e a prevedere l’arrivo dei venti, l’Agenzia Metereologica Giapponese si dedica anche allo studio del clima più propizio per la fioritura degli alberi. Questo perché i giapponesi praticano lo Hanami (hana significa “fiori”, mi invece “guardare”), tradizione millenaria che comporta passeggiate per i parchi e per le strade allo scopo di contemplare gli alberi in fiore. I fiori più apprezzati sono quelli del sakura – il ciliegio – ormai emblema del paese del Sol Levante, rinomati in tutto il mondo e protagonisti indiscussi delle fotografie di ogni turista.

Ciliegi (sakura) in fiore davanti al monte Fuji
Sakura in fiore davanti al monte Fuji © Photo by Freepik: tawatchai07

Rituale tipico del periodo Hanami – che può durare da marzo a maggio, a seconda delle regioni – è quello dello Yosakura (“fiore di ciliegio notturno”), l’osservazione serale delle fioriture che, illuminate con apposite luci, esplodono di tinte di rosa, lilla e viola.

L’origine e il significato dell’usanza dello Hanami sono da ricercarsi nel buddhismo: l’ammirazione dei fiori, forme di vita affascinanti e caduche al tempo stesso, spinge a una riflessione sull’esistenza, nonché a una sorta di compartecipazione commossa alla nascita e alla morte di ogni essere vivente. In giapponese questo sentimento si chiama mono no aware – “pathos delle cose”.

L’Ikebana – l’arte della composizione floreale

Dall’adorazione per i fiori e in virtù delle loro profonde connotazioni simboliche, in Giappone è nata la disciplina dell’Ikebana, ossia la composizione floreale. Originatasi nel periodo Nara (710-784) per l’abbellimento degli altari buddhisti, soltanto dopo il XII secolo l’Ikebana divenne un’arte indipendente dalla sfera religiosa, per poi acquistare importanza e diffondersi soltanto durante il periodo Meiji (1868-1912). In particolare, durante quest’ultima epoca, la composizione floreale era, insieme al cucito e alla cerimonia del tè, uno dei requisiti precipui di ogni donna giapponese di rispetto.

Ikebana illustrato in un manoscritto giapponese
Principi di ikebana in un manoscritto antico

L’Ikebana sfrutta la geometria dei fiori, che vengono assemblati spesso e volentieri in maniera asimmetrica, facendo risaltare non solo i loro petali colorati, ma anche elementi quali steli e foglie. Contrariamente alle composizioni di tradizione occidentale, prevalgono il minimalismo sull’abbondanza, il gioco di linee e forme sullo sfoggio multicolore. In ultima istanza, tuttavia, lo scopo dell’Ikebana è uno solo: onorare il legame che unisce uomini e natura.

Lo Hanakotoba – il linguaggio dei fiori

Per quanto non esclusivo della cultura nipponica – ma anzi presente in quasi ogni popolo della terra, con le sue sfumature e i suoi riti – il linguaggio dei fiori ha tutt’oggi in Giappone una valenza significativa. Esiste persino un termine specifico per indicarlo: hanakotoba, dove hana è “fiore” e kotoba è “parola”. Il corrispondente occidentale dello hanakotoba è la florigrafia, della quale persistono poche nozioni, perlopiù rimasugli: la rosa rossa implica passione, la margherita purezza, la calla amicizia, eccetera.

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Nel Giappone odierno, invece, i fiori parlano ancora, e a gran voce. Senza dubbio l’araldo dello hanakotoba è il sakura, ossia il ciliegio giapponese (Prunus serrulata), un albero che ammanta le strade con un’incantevole pioggia di petali rosa tra i mesi di marzo e maggio. Si narra che, in origine, il ciliegio avesse dei fiori bianchi; solo dopo che dei samurai furono seppelliti ai suoi piedi per ordine dell’imperatore, i fiori acquistarono una tinta porporina, avendo assorbito il sangue dei guerrieri caduti. Il sakura simboleggia la bellezza e la caducità della vita umana, due concetti indissolubilmente legati e al centro delle riflessioni malinconiche dei praticanti di Hanami.

Fiore di ume (pruno) in un parco a Tokyo
Fiori di ume in un parco di Tokyo © Photo by iStock: Masaaki Ohashi


D’aspetto molto simile al ciliegio e non meno ricco di suggestioni è l’ume, ovvero il pruno (Prunus mume, talora denominato anche albicocco giapponese). A differenza del “cugino” sakura, quest’albero sboccia durante l’inverno e i suoi fiori, che fanno capolino tra la neve, sono un simbolo di speranza e rinascita. Così vividi nelle loro gradazioni di bianco e rosa, così eleganti eppure così resistenti alle asprezze della stagione fredda, i fiori del pruno rappresentano forza e coraggio. Tuttavia, la sua fama non è soltanto simbolica, bensì anche pratica: dalle prugne dell’ume nascono due preparazioni tipiche giapponesi, l’umeboshi e l’umeshu. Il primo – delle prugne in salamoia, da abbinare al riso o da cui ricavare una salsa per la carne; il secondo – un liquore attorno di non più di venti gradi, da gustare in diversi modi, non da ultimo come base per cocktail.

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Nel chiudere il trittico dei fiori giapponesi per eccellenza, non possiamo non menzionare il kiku – il crisantemo. Mentre nella nostra cultura questo fiore è legato alla morte e orna pertanto la maggior parte dei nostri cimiteri, in Giappone il kiku assume una valenza opposta. Esso celebra la giovinezza e la longevità poiché – come il mume resiste alle condizioni più ardue di gelo e aridità, motivo per cui la stessa famiglia imperiale lo ha scelto come simbolo della sua casata. Il crisantemo è addirittura al centro della festività del Kiku no sekku, ovvero il “Giorno dei crisantemi”, celebrato il 9 di settembre: la corolla di questo fiore, infatti, somigliante al disco solare, genera un calore simbolico che prepara all’arrivo del primo freddo riscaldando corpi e animi delle persone.

Una flori-cultura?

In Giappone persiste una cultura floreale che in molti paesi – non da ultima, l’Italia – è svanita da tempo, lasciando dietro di sé poche e lievi tracce. I fiori si incontrano dovunque: nelle celebrazioni solenni, nelle cerimonie del tè, nei quadri, nelle stampe, nelle fantasie dei kimono e della carta washi. Non sono soltanto testimoni del passato e vantano anzi un ruolo attivo nel presente – lo abbiamo visto con le pratiche dello Hanami e dell’Ikebana – configurandosi infine come una specie di segnaletica culturale del paese del Sol Levante.

«Oh, guarda!»
e null’altro da proferire,
dinanzi ai ciliegi in fiore
del monte Yoshino.

Yasuhara Teishitsu, 1610-1673
(traduzione di I. Iarocci)

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Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all'Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. Viale del tramonto, La finestra sul cortile e Ritorno al futuro sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l'animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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