La fioritura dei ciliegi, coi loro petali volteggianti nella brezza primaverile, è uno dei momenti più suggestivi, quasi feerici, per chiunque si rechi in Giappone. Ma oltre alla bellezza – che certo gioca un ruolo chiave – il fiore possiede un peso culturale che non è facile riscontrare nella realtà ipertecnologica e iperantropomorfizzata del secolo corrente.
Lo Hanami – l’ammirazione della fioritura
Oltre a seguire lo spostamento delle nubi e a prevedere l’arrivo dei venti, l’Agenzia Metereologica Giapponese si dedica anche allo studio del clima più propizio per la fioritura degli alberi. Questo perché i giapponesi praticano lo Hanami (hana significa “fiori”, mi invece “guardare”), tradizione millenaria che comporta passeggiate per i parchi e per le strade allo scopo di contemplare gli alberi in fiore. I fiori più apprezzati sono quelli del sakura – il ciliegio – ormai emblema del paese del Sol Levante, rinomati in tutto il mondo e protagonisti indiscussi delle fotografie di ogni turista.
Rituale tipico del periodo Hanami – che può durare da marzo a maggio, a seconda delle regioni – è quello dello Yosakura (“fiore di ciliegio notturno”), l’osservazione serale delle fioriture che, illuminate con apposite luci, esplodono di tinte di rosa, lilla e viola.
L’origine e il significato dell’usanza dello Hanami sono da ricercarsi nel buddhismo: l’ammirazione dei fiori, forme di vita affascinanti e caduche al tempo stesso, spinge a una riflessione sull’esistenza, nonché a una sorta di compartecipazione commossa alla nascita e alla morte di ogni essere vivente. In giapponese questo sentimento si chiama mono no aware – “pathos delle cose”.
L’Ikebana – l’arte della composizione floreale
Dall’adorazione per i fiori e in virtù delle loro profonde connotazioni simboliche, in Giappone è nata la disciplina dell’Ikebana, ossia la composizione floreale. Originatasi nel periodo Nara (710-784) per l’abbellimento degli altari buddhisti, soltanto dopo il XII secolo l’Ikebana divenne un’arte indipendente dalla sfera religiosa, per poi acquistare importanza e diffondersi soltanto durante il periodo Meiji (1868-1912). In particolare, durante quest’ultima epoca, la composizione floreale era, insieme al cucito e alla cerimonia del tè, uno dei requisiti precipui di ogni donna giapponese di rispetto.
L’Ikebana sfrutta la geometria dei fiori, che vengono assemblati spesso e volentieri in maniera asimmetrica, facendo risaltare non solo i loro petali colorati, ma anche elementi quali steli e foglie. Contrariamente alle composizioni di tradizione occidentale, prevalgono il minimalismo sull’abbondanza, il gioco di linee e forme sullo sfoggio multicolore. In ultima istanza, tuttavia, lo scopo dell’Ikebana è uno solo: onorare il legame che unisce uomini e natura.
Lo Hanakotoba – il linguaggio dei fiori
Per quanto non esclusivo della cultura nipponica – ma anzi presente in quasi ogni popolo della terra, con le sue sfumature e i suoi riti – il linguaggio dei fiori ha tutt’oggi in Giappone una valenza significativa. Esiste persino un termine specifico per indicarlo: hanakotoba, dove hana è “fiore” e kotoba è “parola”. Il corrispondente occidentale dello hanakotoba è la florigrafia, della quale persistono poche nozioni, perlopiù rimasugli: la rosa rossa implica passione, la margherita purezza, la calla amicizia, eccetera.
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Nel Giappone odierno, invece, i fiori parlano ancora, e a gran voce. Senza dubbio l’araldo dello hanakotoba è il sakura, ossia il ciliegio giapponese (Prunus serrulata), un albero che ammanta le strade con un’incantevole pioggia di petali rosa tra i mesi di marzo e maggio. Si narra che, in origine, il ciliegio avesse dei fiori bianchi; solo dopo che dei samurai furono seppelliti ai suoi piedi per ordine dell’imperatore, i fiori acquistarono una tinta porporina, avendo assorbito il sangue dei guerrieri caduti. Il sakura simboleggia la bellezza e la caducità della vita umana, due concetti indissolubilmente legati e al centro delle riflessioni malinconiche dei praticanti di Hanami.
D’aspetto molto simile al ciliegio e non meno ricco di suggestioni è l’ume, ovvero il pruno (Prunus mume, talora denominato anche albicocco giapponese). A differenza del “cugino” sakura, quest’albero sboccia durante l’inverno e i suoi fiori, che fanno capolino tra la neve, sono un simbolo di speranza e rinascita. Così vividi nelle loro gradazioni di bianco e rosa, così eleganti eppure così resistenti alle asprezze della stagione fredda, i fiori del pruno rappresentano forza e coraggio. Tuttavia, la sua fama non è soltanto simbolica, bensì anche pratica: dalle prugne dell’ume nascono due preparazioni tipiche giapponesi, l’umeboshi e l’umeshu. Il primo – delle prugne in salamoia, da abbinare al riso o da cui ricavare una salsa per la carne; il secondo – un liquore attorno di non più di venti gradi, da gustare in diversi modi, non da ultimo come base per cocktail.
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Nel chiudere il trittico dei fiori giapponesi per eccellenza, non possiamo non menzionare il kiku – il crisantemo. Mentre nella nostra cultura questo fiore è legato alla morte e orna pertanto la maggior parte dei nostri cimiteri, in Giappone il kiku assume una valenza opposta. Esso celebra la giovinezza e la longevità poiché – come il mume – resiste alle condizioni più ardue di gelo e aridità, motivo per cui la stessa famiglia imperiale lo ha scelto come simbolo della sua casata. Il crisantemo è addirittura al centro della festività del Kiku no sekku, ovvero il “Giorno dei crisantemi”, celebrato il 9 di settembre: la corolla di questo fiore, infatti, somigliante al disco solare, genera un calore simbolico che prepara all’arrivo del primo freddo riscaldando corpi e animi delle persone.
Una flori-cultura?
In Giappone persiste una cultura floreale che in molti paesi – non da ultima, l’Italia – è svanita da tempo, lasciando dietro di sé poche e lievi tracce. I fiori si incontrano dovunque: nelle celebrazioni solenni, nelle cerimonie del tè, nei quadri, nelle stampe, nelle fantasie dei kimono e della carta washi. Non sono soltanto testimoni del passato e vantano anzi un ruolo attivo nel presente – lo abbiamo visto con le pratiche dello Hanami e dell’Ikebana – configurandosi infine come una specie di segnaletica culturale del paese del Sol Levante.
«Oh, guarda!» e null’altro da proferire, dinanzi ai ciliegi in fiore del monte Yoshino. Yasuhara Teishitsu, 1610-1673 (traduzione di I. Iarocci)
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