Sono antipatici ed arroganti, perlopiù chiusi e supponenti, storicamente ladri di patrimoni artistici e mangiatori seriali di burro. La diatriba con i francesi è lunga, antica e profonda ma c’è da riconoscere che su un punto ci battono ad occhi chiusi: quello della gestione della cultura.
Perché si può dire quello che si vuole, che il Louvre non esisterebbe se Napoleone non avesse rubato di tutto durante le sue campagne militari e che i pittori francesi venivano in Italia a cercare la luce ed i paesaggi migliori, ma basta mettere a confronto la gestione della cultura in Italia con quella francese per vedere come il primo sia nettamente inferiore al secondo.
Gestione della cultura: i dati a confronto
Secondo i dati dell’Eurostat del 2015, l’Italia ha speso 12 miliardi e 170 milioni nel settore culturale, pari a meno della metà degli investimenti francesi, che sono stati di 28,9 miliardi di euro. Tendenza che non è andata migliorando dato che, secondo dati relativi al 2017, i cugini d’oltralpe avrebbero speso in cultura l’1,4% del loro Pil a fronte dello 0,7% dell’Italia, la metà esatta insomma.
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C’è un altro dato importante da considerare in merito alla gestione della cultura: in Italia solo l’1,1% del guadagno del settore culturale viene reinvestito nello stesso, mentre in Francia, i guadagni ottenuti sono quasi interamente capitalizzati in cultura, producendo un circolo che ha totalmente rigenerato il settore, creando nuove offerte lavorative, rivalutando e promuovendo varie attività connesse. I musei sono pieni, all’avanguardia, con programmi e laboratori educativi, accessibili anche al pubblico con handicap e la visita al museo, lo spettacolo a teatro o l’uscita al cinema, fanno parte del quotidiano dei francesi, in città come in campagna.
Inoltre, in Italia nel 2018 i musei risultavano essere circa 4.000, in Francia solo 1.900, eppure in Francia il settore culturale arriva a coprire da solo circa il 4% del Pil, da noi lo stesso settore arriva sì a coprire il 5,4% del Pil nazionale, ma sulla base di una rete museale pari a circa il doppio di quella dei nostri cugini d’oltralpe. Insomma possiamo considerarci dei miliardari che non sanno gestire il proprio patrimonio. Perché qui non si tratta di dover rendere fatturabile a tutti i costi il nostro patrimonio culturale, ma di renderci almeno conto di quanto potrebbe valere se solo fosse gestito più saggiamente. Perché oltre a tutto ciò, l’Italia possiede una ricchezza culturale e ambientale unica al mondo. Sono 54 i siti che rientrano nella lista UNESCO dei patrimoni mondiali dell’umanità, contro ad esempio i 44 della Francia. Viviamo praticamente in un museo a cielo aperto.
I lavoratori dello spettacolo
E se parliamo di settore culturale non possiamo non allargare lo sguardo e non considerare anche la categoria dei lavoratori dello spettacolo. Categoria che da noi, negli ultimi anni, ha cercato in vari modi di farsi sentire dal governo e soprattutto dal Mibact, senza però ottenere troppe risposte.
Mentre in Francia, anche per quanto riguarda il settore dello spettacolo, ci superano di gran lunga in termini di gestione della cultura. Esiste infatti, ormai dagli anni ’30, la categoria degli “intermittenti dello spettacolo” che include i lavoratori della televisione, del cinema, del teatro, ma anche i musicisti, i danzatori, e coloro che lavorano nel circo.
A tutti gli “intermittenti” spetta un regime di indennità di disoccupazione particolare, pensato per ovviare alla complicata situazione che gli si presenta, ovvero lavorare per esempio un mese per preparare uno spettacolo teatrale, o per tre giorni per realizzare uno spot pubblicitario, e rimanere in attesa, poi, di un altro impiego. Si è quindi costruito, intorno a questa intermittenza di lavoro, un regime specifico che assicura la continuità del reddito dentro una discontinuità dell’impiego.
Il regime permette ai lavoratori dello spettacolo, che generalmente usufruiscono di contratti a durata determinata, di alternare i periodi lavorativi con l’assurance chômage, ovvero l’assicurazione di disoccupazione. Un diritto che il lavoratore accumula nei mesi attraverso il pagamento dei contributi relativi ai contratti di lavoro, e non quindi un “beneficio”. Dunque, per accedere a questo regime il lavoratore dello spettacolo deve totalizzare 507 ore di lavoro nell’arco di 10 mesi e su questa base ottiene il diritto a otto mesi di disoccupazione.
Insomma, il settore della cultura è in Francia un settore riconosciuto, sostenuto e molto più solido del nostro. Lo dimostrano anche gli atteggiamenti avuti in questi ultimi tempi di emergenza sanitaria.
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È curioso notare come nei 60 minuti di conferenza del Presidente Giuseppe Conte del 26 aprile gli studenti italiani non abbiano nemmeno ricevuto una parola. La settimana scorsa invece, Edouard Philippe, Primo Ministro francese, nel suo discorso volto ad illustrare le nuove norme della fase 2, che prenderà avvio a partire dall’11 maggio, ha trattato come primo punto proprio la scuola, ancora prima delle aziende, delle fabbriche, dei commerci e dei trasporti, mettendo l’accento sulla disuguaglianza sociale che la scuola a distanza ha comportato nelle ultime settimane.
Mentre in Italia, il settore culturale è stato completamente dimenticato, in Francia non è successo. Emmanuel Macron, largamente criticato negli ultimi mesi per la riforma del lavoro, e attaccato soprattutto dal settore culturale, ha dichiarato che si sta lavorando ad un “piano di aiuto specifico per questo settore duramente toccato”. Il Presidente francese si è riunito in videoconferenza con i rappresentanti dei vari settori artistici per ascoltarne le necessità ed ha annunciato che la commissione nominata appositamente per trattare le necessità del settore culturale si sta interrogando sul fatto che si possa «andare un po’ oltre in questo deconfinamento, cercando di essere inventivi». Ma soprattutto ha annunciato l’allungamento del diritto degli intermittenti dello spettacolo fino all’agosto 2021, per ovviare alla perdita di ore capitalizzabili che i lavoratori stanno subendo, e che continueranno a subire, rendendogli impossibile l’accesso alla disoccupazione.
In Italia invece, in seguito alle proteste, legittime o no, della CEI, le messe potranno riprendere a partire dal 18 maggio, mentre per quanto riguarda teatri, cinema, finanziamenti e contratti nella cultura, ancora non una parola.
Insomma, forse la chiave sta proprio li, nell’essere un po’ più inventivi e nel rendersi conto dell’enorme patrimonio di cui disponiamo. Sembrava che l’avessimo finalmente capito, che tutti quegli spot pubblicitari alla televisione che ci mostravano il nostro Bel Paese, le sue piazze, i suoi palazzi e le sue fontane ci avessero in qualche modo svegliato, facendoci capire di non darlo più per scontato. E invece no, forse era pura retorica, anche un po’ stucchevole. Ed il settore della cultura, i suoi lavoratori e tutto il suo potenziale rimangono in fondo alla lista, una delle categorie più dimenticate. Quindi peccato, un’altra occasione persa.
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