Vi sono forti dubbi sulla validità della qualifica di «genio», posto che questa etichetta abbia qualche senso, non vi è alcun dubbio che essa possa essere riferita a Georg Simmel: sociologo, filosofo, critico d’arte e letterario, non può essere ridotto a nessuna di queste quattro categorie. Autore fin de siècle, come numerosi suoi contemporanei, ha colto il senso di radicale disagio in cui si è trovata la modernità europea al termine del XIX secolo. In un suo breve e fulminante saggio, intitolato Le due forme dell’individualismo (Einaudi, Torino 2020), il filosofo berlinese ricostruisce in maniera vagamente grossolana, ma profondamente significativa, diverse concezioni di «individualismo» che la filosofia tedesca da lui considerata, a partire da Kant fino a Nietzsche, ha proposto.
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Il paradosso rivoluzionario
Georg Simmel esordisce con una tesi inquietante: la presunzione democratica di legare insieme libertà e uguaglianza è infondata. In questo senso, afferma il filosofo, «a sconfessare l’ideale di libertà e uguaglianza dal quale nasce la Rivoluzione francese, […], non è stata la forza dei fatti, ma una maggiore consapevolezza del suo carattere intrinsecamente contraddittorio» (Ivi., p. 394). Nel celebre motto rivoluzionario francese la Libertà sarebbe in aperta, inconciliabile, opposizione all’Uguaglianza; al punto che il tertium, la Fraternità, è stato aggiunto per cercare di tamponare questa contraddizione «perché quell’uguaglianza teorica tra individui che l’esercizio della libertà tende a revocare si poteva ristabilire solo grazie a una condotta espressamente altruista, cioè rinunciando per motivi etici a far valere i propri vantaggi naturali» (Ibidem). Di fronte a questa affermazione inquietante e retriva «noi democratici» potremmo fare una faccia inorridita, rifiutare in blocco la tesi e, con spregio, gettare Simmel nella lunga lista dei pensatori reazionari che la nostra filosofia «vanta». Tuttavia, Simmel non era affatto un oscurantista e, prontamente, ci offre una giustificazione di questa sua asserzione: spesso, le formulazioni verbali e teoriche si sottraggono all’antitesi vero-falso e diventano l’ombra di realtà pratiche storicamente situate.
La Rivoluzione francese in concetti
Così, una contraddizione tanto evidente come quella che vuole legare insieme «libertà» e «uguaglianza» acquisisce un senso pieno e totale nel quadro del XVIII secolo, età in cui gravava, su un’immensa massa di oppressi, il peso schiacciante e tirannico (per rappresentarlo si cita spesso una nota illustrazione) di un intero blocco di istituzioni, l’Ancien Régime. L’idea diffusa era: una volta eliminato questo macigno, la libertà sarà reale; per questo la Rivoluzione Francese ha proposto una liberazione «in generale» (è d’altronde l’epoca della provvidenza «generale», della giustizia «generale» e così via). La coagulazione teorica più evidente di questo fenomeno si rintraccia, secondo Simmel, in Kant e in Fichte. I due filosofi hanno proposto una teoretica ed un’etica tutta volta ad esaltare non tanto l’individuo «umano» quanto l’umanità «nell’individuo». Questa, dice Simmel, è la primigenia forma di individualismo.
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Il XIX secolo
Dopo di che, «nel XIX secolo questa diade libertà-uguaglianza, o individualità-uguaglianza […] si divarica in due tendenze del tutto divergenti» (Ivi., p. 397) una sarà la strada dell’uguaglianza priva di libertà e l’altra quella della libertà senza uguaglianza. Georg Simmel le indica entrambe: la prima è il socialismo, la seconda è l’individualismo che nasce romantico (con Goethe e Schleiermacher) e continua a scorrere nelle vene intellettuali tedesche fino a Nietzsche (di soli 14 anni più vecchio di Simmel, pressappoco un contemporaneo). Dice il filosofo berlinese «con Nietzsche, da ultimo, quella valorizzazione dell’essere individuale, e quindi della distinzione elementare tra uomo e uomo, si è trasformata nell’unico vero centro di gravitazione dell’interesse etico» (Ivi., p. 399). Il XIX secolo è l’epoca in cui il valore di un individuo non passa da ciò che esso «vuole» (come pensava Kant) ma da ciò che esso «è», dal suo differenziarsi dalla grande massa delle persone; così, Simmel identifica nel personaggio goethiano di Wilhelm Meister il prototipo dell’uomo ottocentesco che vuole far emergere la sua varietà e individualità unica e irriducibile.
Conclusione
I secoli, per una nostra costituzione mentale, si prestano ad essere naturali contenitori di epoche (si veda A. Badiou, Il secolo, tr. it. V. Verdiani, Feltrinelli, Milano 2006), anche Simmel ha tacitamente adottato questa linea; si è infatti parlato del XVIII secolo contrapposto al XIX. Tuttavia, tutto ciò è avvenuto in un articolo composto dal filosofo berlinese nel 1901 vale a dire l’ouverture di un terzo secolo. Il testo si conclude, infatti, con l’augurio (che in filosofia assume sempre gli inquietanti accenni della minaccia) che la nuova epoca sia in grado di costituire una terza forma di individualismo, in grado di sintetizzare positivamente le altre due che Simmel vuole fuse «in un concetto di livello superiore» (G. Simmel, op. cit., p. 401).
In questo compito che Simmel affida al suo secolo risuona, con vigorosa forza, l’essenza della sua filosofia della vita (Lebensphilosophie) ovvero l’insegnamento della necessità radicale di studiare e ricercare continuamente nuove forme entro cui organizzare la vita.
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