Il quarto capitolo di Che cos’è la filosofia? (tr. it. A. De Lorenzis, a cura di C. Arcuri, Einaudi, Torino 2002), una splendida lettera d’amore rivolta al pensiero, è dedicato, da Gilles Deleuze e Félix Guattari, al concetto di geofilosofia.
L’idea fondamentale è quella di fornire un paradigma di lettura della filosofia -e, in primis, della sua, storia- attraverso l’utilizzo di concetti provenienti dalla geografia, secondo uno schema già adottato da Deleuze in Differenza e ripetizione, dove l’uso massiccio di concetti della biologia e della fisica fornisce il supporto per lo sviluppo teoretico del discorso.
Terra e territorio
Il capitolo si apre, immediatamente, con la distinzione della “terra” dal “territorio“, identificati come i due fuochi intorno a cui il pensiero si realizza. Questo schema è già all’opera, secondo Deleuze e Guattari, in un autore come Kant, in cui la bipartizione fra soggetto e oggetto è solo un’approssimazione della vera dicotomia terra-territorio, che emerge con forza quando il filosofo di Königsberg afferma di voler compiere in filosofia la medesima rivoluzione che Copernico ha portato avanti in astronomia. Ciò «mette il pensiero direttamente in rapporto con la terra» (G. Deleuze F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, cit., p. 77).
Per comprendere in che modo terra e territorio si costituiscono reciprocamente bisogna considerare i due movimenti fondamentali che li interessano: deterritorializzazione e riterritorializzazione. Il primo è uno spostamento dal territorio alla terra mentre il secondo segue il percorso inverso.
La terra «non è un elemento tra gli altri: riunisce tutti gli elementi in un’unica presa» (ibidem); il territorio vi sta sopra e compie i suoi continui movimenti sopra e attraverso essa. Sarebbe tuttavia un errore pensare al “territorio”, o alla molteplicità dei territori (gli autori affermano «i movimenti di deterritorializzazione non vanno disgiunti dai territori che si aprono altrove»; ibidem), come ad un gioco di macchie sulla superficie immutabile della terra. Ciò significherebbe riaffermare la cattiva approssimazione soggetto-oggetto, per evitare questa incomprensione gli autori introducono tre direzioni attraverso cui è possibile teorizzare i movimenti di territorializzazione.
Viene distinta una deterritorializzazione relativa e una deterritorializzazione assoluta. Quest’ultima avviene, per così dire, in profondità, la deterritorializzazione assoluta riconsegna la terra al piano d’immanenza (altro concetto cruciale del testo) e la riterritorializzazione successiva «sarà posta come creazione di una nuova terra a venire» (ivi., p. 81). Le deterritorializzazioni relative possono essere di vario tipo «geografiche, storiche e psicosociali» (ibidem), precedono quelle assolute e hanno due direzioni diverse: orizzontale, o di immanenza, e verticale, o di trascendenza.
«Qui interviene una grande differenza, a seconda che la deterritorializzazione relativa sia di trascendenza o di immanenza» (ibidem), la differenza fra movimento orizzontale e verticale rimanda, infatti, alle differenti costituzioni politiche. Ciò permette, agli autori, di introdurre un’ulteriore distinzioni fra Impero e Città che, nell’ottica della geofilosofia, permette a Deleuze e Guattari di interrogare un’antica e discussa questione: la genesi greca della filosofia.
La Grecia e la nascita della filosofia
La domanda circa l’origine e la natura greca della filosofia è stata ampiamente affrontato da celebri autori antecedenti Deleuze a Guattari: Hegel, Hölderlin, Nietzsche, Weber, Husserl e Heidegger. Ognuno di loro ha posto la domanda sugli elementi peculiari della Grecia antica e dell’individuo greco che hanno permesso la nascita della filosofia.
Secondo Deleuze e Guattari nell Grecia di Eraclito, Parmenide e Platone è all’opera un duplice movimento di deterritorializzazione. Da un lato la polis si costituisce con una deterritorializzazione orizzontale che, opponendosi alla deterritorializzazione verticale dell’Impero Persiano, costituisce un ambito di immanenza, ovvero un ambiente in cui i tre elementi «che sono le condizioni di fatto della filosofia» -immanenza, amicizia e opinione, possibili in un contesto fratturato e democratico e impensabili in un impero- fioriscono.
Questa deterritorializzazione relativa-orizzontale corrisponde ad una deterritorializzazione assoluta del piano d’immanenza. «L’originalità dei Greci va rintracciata piuttosto nel rapporto fra il relativo e l’assoluto» (ivi., p. 82); infatti, secondo Deleuze e Guattari, la Grecia riesce a sdoppiare l’immanenza e a costruire un nuovo piano popolato da concetti.
In ciò risiede anche un carattere peculiare della filosofia Greca-Occidentale rispetto ai pensieri delle altre parti del mondo. Gli autori non negano che si possa parlare di una filosofia cinese, indiana, ebraica o islamica; esse sono pienamente filosofie che, però, si basano su un piano d’immanenza prefilosofico. I greci sono riusciti a sdoppiare questo piano e a fare un piano puramente filosofico al di sopra di quello prefilosofico.
A partire da ciò, Deleuze e Guattari criticano coloro che hanno spiegato la nascita della filosofia nei termini di una necessità interna, come hanno fatto Hegel e Heidegger:
Noi neghiamo che la filosofia presenti una necessità interna , sia considerata di per sé, sia nella sua origine greca […]. E ciononostante, la filosofia fu una cosa greca […]. Affinché la filosofia nascesse è stato necessario un incontro tra l’ambiente greco e il piano di immanenza del pensiero. C’è voluta la congiunzione di due movimenti di deterritorializzazione molto diversi, quello relativo e quello assoluto, il primo dei quali operava già nell’immanenza. È stato necessario che la deterritorializzazione assoluta del piano del pensiero si adattasse e si collegasse direttamente con la deterritorializzazione relativa della società greca.
Ivi., p. 86
Oltre l’origine
Ovviamente, la filosofia riesce a separarsi dalla sua origine storico-geografica greca e a continuare a vivere anche quando quelle condizioni vengono meno. Tuttavia, si forma rapidamente un nuovo ambito di immanenza, un nuovo ambiente che la accompagna e la guida in una poderosa deterritorializzazione: il capitalismo. Nella forma del mercato mondiale, «il capitalismo trascina l’Europa in una fantastica deterritorializzazione relativa» (ivi., p. 89) e fornisce lo sfondo tanto per gli eventi storici della modernità quanto per la filosofia moderna, che vive tanto nella dimensione globale del capitalismo deterritorializzante quanto nella riterritorializzazione sullo Stato nazionale, da cui deriva, secondo Deleuze e Guattari, l’attenzione per la democrazia che attraversa la filosofia moderna.
«Il rapporto tra la filosofia moderna e il capitalismo è dunque dello stesso genere di quello della filosofia antica e della Grecia» (ivi., p. 91). Gli autori, tuttavia, sanno bene che la ricchezza della filosofia non è mai riducibile al contesto storico-geografico in cui la riflessioni si svolge e che ogni formulazione di pensiero non è mai -semplicemente- il riflesso di qualcos’altro. Anzi, c’è una tendenza comune, radicata tanto in Grecia quanto nell’Europa moderna: «la filosofia moderna […] non è amica del capitalismo più di quanto la filosofia antica non lo fosse della città» (ivi., p. 92).
Secondo Deleuze e Guattari ciò che collega realmente la filosofia con la propria epoca è l’utopia. Tramite la potenza del concetto -la cui creazione è dichiarata, in apertura, essere il cuore della ars filosofica- la filosofia «libera l’immanenza da tutti i limiti che il capitale ancora le imponeva» (ivi., p. 94). Nella modernità il concetto diventa il territorio della filosofia, i Greci «li contemplavano da lontano e li presentivano» (ivi., p. 97), il pensatore moderno elabora i concetti e li insedia nello spirito di una nazione. La centralità filosofica di questa, secondo Deleuze e Guattari, è stata sottolineanta da Nietzsche, la cui intera opera è attraversata da una preoccupazione di fondo per il carattere francese, inglese, italiano o tedesco della filosofia.
Il pensatore moderno elabora concetti che si territorializzano nella società e, al contempo, in forza del carattere socratico-critico della filosofia sottolineato in precedenza; li oppone ad essa: «la creazione di concetti fa appello di per sè a una forma futura, invoca una nuova terra e un popolo che non esiste ancora» (ivi., p. 102).
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Geofilosofia e storia
Avviandosi alla conclusione, gli autori portano pienamente a galla il tema del rapporto fra geofilosofia e storia. Fino ad ora, la storia -tanto quella della società che della filosofia- è stata il motivo che accompagnava in sottofondo le riflessioni sulla geofilosofia, senza andare direttamente ai ferri corti con essa.
La grande differenza fra il concetto filosofico considerato come geografia e come storia è il differente modo di rapportarsi all’evento. L’evento è colto, dalla storia, nel suo realizzarsi in stati di cose o nel vissuto. Diversamente la geofilosofia coglie l’evento «nel suo divenire» (ivi., p. 105), vale a dire sperimentazione. «Pensare è sperimentare» (ibidem), il pensiero è creazione di concetti, creatività vitale immanente.
Il rapporto della storia della filosofia con la sua natura sperimentale è spiegata con abbagliante chiarezza dagli autori:
La storia non è sperimentazione, ma soltanto l’insieme delle condizioni quasi negative che rendono possibile la sperimentazione di qualcosa che alla storia sfugge. Senza la storia la sperimentazione resterebbe indeterminata, incondizionata, ma la sperimentazione non è storica, è filosofica.
Ibidem
La geofilosofia, così, si delinea come un atteggiamento da adottare nei confronti della tradizione filosofica per poter, al contempo, costruire un pensiero vivente che sappia abbracciare pienamente un’epoca mantenendo, al contempo, la filiazione con l’illustre passato della storia della filosofia. Quest’ultima considerata non come una galleria di polverosi monumenti statici ma come un film (ciò ben si collega all’interesse di Deleuze per il cinema) che raccoglie tutti i movimenti -di deterritorializzazione e riterritorializzazione- del pensiero e della sua infinita ricchezza.
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