Dal racconto sociale alla riflessione deontologica. A man is dead è una pellicola che in poco più di un’ora sfoglia pagine di una storia su più passi: prima francese, poi europea ed infine mondiale. Prova di maturità di un autore, Olivier Cossu, che, dopo questa anteprima italiana, sarà d’obbligo continuare a seguire.
«un homme est mort…»
Brest, 1950. La rabbia della classe operaia esplode in un conflitto che si riversa lungo strade invase da un boato dagli echi bellici. Lo scontro pone la città in assedio e dalla coltre grigia di una manifestazione sindacale l’immagine si sposta sul grigiore di un funerale. Un uomo è morto, un uomo ha sparato, qualcuno ha sbagliato. La rabbia dei manifestanti, la violenza delle forze dell’ordine: elementi chimici di una bomba che sporca di sangue le animazioni di un film che su quest’inizio stende confuse vie di un ottimo climax.
Éduard Mazé, questo il nome del giovane ragazzo di cui osserviamo il corpo disteso sullo sterrato. Un colpo alla testa l’ha fermato, scatenando però una tregua dentro cui si consumano dolori e riflessioni indagate dall’interessante pellicola di Oliver Cossu. Una città fredda quella che ne ospita le nette e decise animazioni. Un agglomerato di muri che si fa nebbia grigia imperscrutabile, talmente fitta da impedirci di distinguere le abitazioni crollate da quelle in ricostruzione. La cornice (o prigione?) perfetta per un ritratto generazionale in demolizione.
«…qui n’avait pour défense
Que ses bras ouverts à la vie»
Tratto da un fumetto e a sua volta da una drammatica storia vera, A man is dead è il toccante racconto di un periodo post guerra, in cui una generazione priva di padri combatte per un futuro nebbioso almeno quanto il passato. Un tempo delineato secondo la forma di un vicolo cieco, illuminato però dall’attenta animazione di questa storia, che con l’espediente di un improvvisato cinema itinerante, ideato dal protagonista per mostrare al popolo la condizione dei lavoratori francesi, trova lo spazio congeniale per una riflessione sociale tratteggiata dalla giusta emotività.
Tre i personaggi di maggior spessore e interesse: il piccolo Zef, rabbioso giovane colto nei propri caratteri particolari e simbolicamente generazionali; la città di Brest, spazio del racconto e limbo valido per l’intera condizione europea dell’epoca; e il cinema. Quest’ultimo impegnato lungo tutta la pellicola a narrare, attraverso l’espediente già citato, i primi due temi, riuscendo però a presentare anche una riflessione problematica sul codice deontologico dei cineasti nascenti.
«Cosa è giusto mostrare? Un funerale o una madre in lacrime? Una prigione reale o quella vissuta dai lavoratori?» Sono domande poste ed irrisolte, esattamente come tutte quelle introdotte dall’epoca presentata. Insieme sintomatiche prima di una società che impara a specchiarsi nelle nuove arti e poi, in un ordine comunque sempre arbitrario e confuso, di un’arte, il cinema, che in quella Francia così disperata diventerà strumento di indagine e oggetto di analisi.
Dal mondo degli spot pubblicitari alla regia di un importante film d’animazione sulla vita iraconda di una generazione figlia della guerra. La carriera di Olivier Cossu sembra definirsi con la stessa nitidezza delle sue animazioni, lasciandoci sperare che possa continuare a trovare i fondi per affinare le nuove vie dell’animazione francese.
«Un uomo è morto e aveva a sua difesa
solo le braccia che apriva alla vita
Un uomo è morto e aveva per sua via
solo quella dove s’odiano i fucili
Un uomo è morto e continua la lotta
contro morte contro silenzio»