Fulvio Roiter e Venezia rappresentano un legame indissolubile. Se si pensa alla città lagunare, le immagini emblematiche che affiorano alla mente – le case affacciate sui canali, le cupole e le architetture gotiche, il gioco dei riflessi sull’acqua, i ponti e le calli, gli scorci più suggestivi e gli spettacolari tramonti con il profilo inconfondibile dei suoi monumenti – sono state già scattate da Fulvio Roiter nei suoi 60 anni di carriera.
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Vivere una giornata a Venezia con una fotocamera significa, consciamente o meno, ispirarsi a Roiter: ricercare l’inquadratura più romantica e pittorica, la stessa poesia e lo stesso interesse che Fulvio Roiter non ha mai perso. Dopo ogni viaggio in giro per il mondo per i suoi reportage fotografici, Roiter tornava “a casa”, il fulcro del suo lavoro, il suo campo di ricerca, il luogo rassicurante perché conosciuto ma da riscoprire ogni volta con intatta passione.
«Dicono che l’abitudine distrugga l’occhio: dove vivi finisci con il non vedere niente. Può darsi, ma non vale per me: mi salva l’emozione – sono ancora in grado di emozionarmi – e la curiosità delle persone, delle cose, dei paesaggi».
«Io sono stato geneticamente programmato per fare il fotografo»
Approcciatosi alla fotografia da ragazzino, ha cominciato a scattare immagini con una Welta regalatagli dal padre dopo le medie. Era la natura nei dintorni di Meolo, suo paese natale, piccolo centro dell’entroterra veneziano, il soggetto preferito. Aveva imparato anche a sviluppare e stampare le foto da sé. A 23 anni, nel 1949, diventò socio del Circolo Fotografico La Gondola – nato due anni prima – su invito di Paolo Monti, intellettuale, fotografo e suo illustre fondatore insieme a Giorgio Bresciani, Gino Bolognini e Luciano Scattola, e in seno al quale si formarono grandi talenti della fotografia italiana del dopoguerra, uno su tutti Gianni Berengo Gardin.
La sua passione non era però vista di buon occhio dalla famiglia. Nel 1953 suo padre lo mise davanti a una scelta: o lavorare nel campo della chimica, naturale prosecuzione dei suoi studi e della specializzazione in idrocarburi, oppure la fotografia doveva diventare fonte di reddito, “lavoro vero”. Davanti a quell’ultimatum, Fulvio Roiter chiese e ottenne dal padre la possibilità di giocarsi il tutto per tutto in un viaggio fotografico, destinazione Sicilia.
In un mese, macinò 2mila chilometri in sella a un Garelli Mosquito. Al suo ritorno scelse 40 fotografie e le inviò alla casa editrice svizzera La Guilde du Livre. Dopo un incontro a Losanna, l’editore Albert Mermoud e Roiter si accordarono per una serie di immagini dedicate a Venezia. L’anno successivo fu realizzato il suo primo libro fotografico, Venise à fleur d’eau, che arrivò a vendere 15mila copie, gli diede notorietà e inaugurò il sodalizio tra l’uomo geneticamente programmato per essere fotografo e la città più fotogenica al mondo.
La ricerca di una identità artistica
In piena epoca post-bellica, nel momento più florido del neorealismo, Fulvio Roiter ricercava una propria cifra stilistica. Da una parte, immortalava e documentava la realtà che aveva di fronte, ma faceva attenzione anche all’estetica e alle simmetrie. Il risultato era una composizione equilibrata, una magistrale e rigorosa regolazione di luci ed ombre, la delicatezza nel definire le forme e i corpi, inseriti in spazi aperti e ariosi.
«Mi ha sempre affascinato la quotidianità, quello che noi chiamiamo il banale, che ci portiamo dentro. Non esiste un prontuario delle cose che si possono fotografare: è la realtà che ci sorprende. La differenza è quando e come. Bisogna avere una specie di terzo occhio, la capacità di coordinare il cervello e l’occhio».
Nel 1956, a 30 anni, Fulvio Roiter vinse il prestigioso Premio Nadar per il fotolibro Umbria, Terra di San Francesco (Ombrie, Terre de Saint François, ancora in lingua francese per la losannese La Guilde du Livre).
Negli anni successivi, Roiter non lavorò più esclusivamente in bianco e nero, conservando comunque il rigore nel tarare i contrasti e i chiaroscuri, anche tra tinta e tinta. Nel 1977, la città lagunare fu ancora una volta protagonista: Essere Venezia (Magnus Edizioni, Udine) fu stampato a colori, in quattro lingue, in formato orizzontale, con una tiratura di quasi un milione di copie. Un grande successo editoriale che lo ha lanciato sulla scena internazionale e gli è valso il Grand Prix ai Rencontres de la Photographie di Arles.
La mostra
Fulvio Roiter, Fotografie 1948-2007 è la prima retrospettiva in omaggio all’artista dopo la sua scomparsa, avvenuta il 18 aprile 2016. Allestita da La Casa dei Tre Oci, curata da Denis Curti, la mostra ripercorre i 60 anni della sua carriera con 200 fotografie. Oltre Venezia, regina indiscussa della sua produzione, si potranno ammirare i reportage fotografici da New Orleans, Belgio, Portogallo, Andalusia e Brasile
L’esposizione è divisa in 9 sezioni che rispecchiano un periodo della sua vita e le varie fasi artistiche della sua produzione: L’armonia del racconto, Tra stupore e meraviglia: l’Italia a colori, Venezia in bianco e nero: un autoritratto, L’altra Venezia, L’infinita bellezza, Oltre la realtà, Oltre i confini, Omaggio alla natura, L’uomo senza desideri.
Il percorso espositivo si arricchisce di videoproiezioni, spettacolari ingrandimenti e una ventina di libri originali nei quali, oltre a esibire sulle pagine l’opera di Fulvio Roiter, sono presentate le recensioni e le valutazioni dei tanti autori e critici che hanno voluto scrivere sul suo lavoro, tra cui Alberto Moravia, Roberto Mutti, Fulco Pratesi, solo per citarne alcuni.
Sede mostra: Venezia, Giudecca, Casa dei Tre Oci
È visitabile fino al prossimo 26 agosto, tutti i giorni dalle 10-19, chiuso il martedì.
Aperture straordinarie: 24 e 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, 14 e 15 agosto.
Per ulteriori informazioni: tel. +39 041 24 12 332 – info@treoci.org – www.treoci.org.