Fulminacci (nome d’arte di Filippo Uttinacci) è un cantautore di 21 anni nato e cresciuto nella periferia di Roma. Il suo interessantissimo album d’esordio La vita veramente, uscito lo scorso aprile per Maciste Dischi e distribuito da Artist First, contiene nove tracce sorprendenti che potrebbero aver scritto le prime righe di una nuova pagina della musica italiana.
«La vita veramente»: un album come tanti?
Nella pentola del cantautorato italiano di oggi bolle fondamentalmente un grande casino di artisti diversi (ma non così tanto) nati a partire dall’anno zero, che per comodità facciamo corrispondere all’esordio di un certo Edoardo D’Erme (Calcutta). Non a caso La vita veramente è uscito per l’etichetta indipendente che ha già portato al successo protagonisti dell’indie e dell’indie-pop italiano come Gazzelle, i Canova, Galeffi e molti altri. È dunque legittimo, al primo ascolto, temere che Fulminacci sia solo uno dei tanti in grado di aggiungersi al party di Maciste, nonché l’ennesimo esponente della “scuola romana” che canta di sfighe su synth e chitarra. Fortunatamente, non è questo il caso.
Vincitore della Targa Tenco come miglior opera prima e del Premio M.E.I. come album d’esordio dell’anno, Fulminacci è un tipo un po’ all’antica che si rifà più agli anni ’90 che ai giorni d’oggi. Ci è chiaro a partire dai tre singoli che anticipano il disco, che sono la chiave per entrare nel suo mondo fatto di tangenziali, tradimenti, sigarette, ascensori, semafori, che diventano il pretesto per dischiudere aneddoti su amori, preoccupazioni, sogni. Accanto all’ironia e alla dolcezza, c’è un’originalità cristallina per quanto riguarda il modo tutto suo che Fulminacci ha di interpretare composizioni e metriche richiamandosi ad una musica d’autore che tutti abbiamo già avuto nelle orecchie.
Il risultato è un album estremamente vario. Ci sono tracce più pop e blues che provano a filosofeggiare, ci sono tracce senza ansia, come Davanti a te o Tommaso, con un synth che fa capolino di tanto in tanto senza sovrastare mai la chitarra acustica. Ci sono tracce più indie, come I nostri corpi, soffice e malinconica, o Una sera, che ci racconta viaggi sull’Aurelia e non mancano le tracce nervose o incazzate come La vita veramente o Borghese in borghese, che è forse la vera perla del disco.
Sono vent’anni che ci sono ma non sono nessuno
Sono dieci anni che suono, sono tre anni che fumo
Sono tre giorni che ho sonno, sono tre docce che sudo
Questo lo so però non so se ho messo il sale nel sugo
Sono sicuro di sì, però non voglio assaggiare
«Io canto ma non è che, non è che canto proprio eh»
Fulminacci è giovanissimo ma concreto, sincero, versatile, pieno di intuizioni. Il suo punto di forza è sicuramente la scrittura: conosce le lezioni dei cantautori antichi e meno antichi, così come un gusto per le parole e un modo sapiente di usarle di almeno vent’anni fa. Scrive testi intelligenti che non hanno età e che con un linguaggio semplice e diretto arrivano dritti al punto e viaggiano indisturbati su arrangiamenti, strutture e armonie leggere ma non banali.
Lo ascolti e dici «aspetta, mi ricorda qualcuno», ma non ne vieni fuori perché Fulminacci è un po’ come prendere il primo Daniele Silvestri, proiettarlo in un futuro in cui possa sedersi qualche ora al bar con Willie Peyote, Niccolò Contessa, Brunori Sas e vedere cosa ne esce. Se vogliamo invece scomodare grandi nomi del passato possiamo pensare a Rino Gaetano o Giorgio Gaber, quantomeno in termini di ironia e trasparenza.
Un progetto che ha l’attitudine giusta, che si guarda intorno e si adatta con estrema facilità a qualunque contesto e ascoltatore, mantenendo una personalità forte, in questo senso Fulminacci non è né indie né pop né quello che sta nel mezzo: è una novità.
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