Free the nipple: quando la libertà deve partire dai vestiti

Articolo della newsletter n. 49 - Aprile 2025

5 minuti di lettura

“Free the nipple”: dall’inizio della campagna, al film con il titolo omonimo, alle star che vi hanno aderito, ai trend fashion che l’hanno accolto e reso una moda; una narrazione sul movimento che ha riscosso tanto clamore. La storia di una lotta per una libertà che sembra scontata, ma scontata non è. È ancora necessario combattere per raggiungerla? Assolutamente sì.

Malmö Pride 2016, Malmö, Sweden

Le origini

È arrivata solo nel 2012 ufficialmente, ma si porta strascichi dal passato. La campagna “Free the nipple” è stata un ruggito che ha risvegliato migliaia di persone.

Si dice che Emilie du Chatelet, nata nel 1706, filosofa e studiosa di matematica, compagna di Voltaire, fosse solita indossare vestiti che lasciavano intravedere i capezzoli, e pare che lei ne calcasse persino il colore, per farli risaltare di più (così come si è soliti oggi mettere il blush sugli zigomi). 

Nel corso della storia, diverse donne sono state arrestate per indecenza e disturbo della quiete pubblica, solo per il fatto di aver mostrato i propri capezzoli. Vari casi giuridici avevano come nocciolo della questione il ruolo dell’esibire o meno il petto femminile. Ad esempio, una causa realizzata nel tribunale della città di Fort Collins, in Colorado, è stato un tentativo di annullare il divieto imposto alle donne di mostrare i propri capezzoli. Questa causa è stata vinta dalle donne e ciò permise a tutte le donne del Colorado di girare topless in tutti i posti in cui anche agli uomini è concesso.

Oggi negli Stati Uniti in ben 18 stati è ancora vietato girare in topless. Un esempio di questo fenomeno risale al 2016, quando due manifestanti di nome Tierman Hebron e Anni Ma furono arrestate durante una campagna di Bernie Sanders. Le due donne erano in topless con del nastro adesivo che copriva i loro capezzoli. Dopo essersi rifiutate di coprirli, le due donne furono arrestate dal Dipartimento di Polizia di Los Angeles, ma non furono accusate di alcun crimine. Dopo il loro rilascio, Anni Ma presentò una causa contro il LAPD. Sosteneva che le ghiandole mammarie erano per l’allattamento al seno dei bambini e non erano organi sessuali. Sosteneva inoltre che le leggi della California sull’esposizione indecente si applicavano solo ai genitali, non al seno, e che lei non aveva mai mostrato i suoi genitali.

Le censure online

La campagna, anche se ha avuto origine negli Stati Uniti, ha riscosso molto successo anche in altri stati. Ad esempio, in Islanda una studentessa attivista ha pubblicato una sua foto in topless e ha ricevuto delle molestie per questo. In suo sostegno è intervenuta Björt Ólafsdóttir, un membro del parlamento, che in segno di solidarietà ha postato una sua foto a seno scoperto.

Pur essendo nata più di un decennio fa, ci sono ancora diverse linee guida sui social che impediscono alle donne di mostrare i propri capezzoli. Ad esempio, Facebook permette di pubblicare delle foto che ritraggono il seno solo in casi di allattamento o in contesti sempre inerenti alla gravidanza o operazioni al seno come la mastectomia.

Instagram invece generalmente censura qualsiasi foto che rimanda alla nudità. Anche essendo consapevoli che ci sono casi in cui le persone vogliono pubblicare foto con parti del corpo scoperte come atto artistico, creativo, magari scattate nella natura, queste foto vengono comunque rimosse. L’unico accenno di nudità possibile è quello nei dipinti e nelle sculture. Il motivo per cui le linee guida sono così rigide, ha spiegato il CEO, è che ogni app deve indicare un’età minima senza la quale non si può accedere; se sull’app ci sono contenuti di nudo, l’età passa dai 12 ai 17 anni. E Instagram non può permettersi di perdere cinque anni di utenti, considerato che sempre più giovani accedono ai social sempre prima. 

Pinterest invece consente la nudità artistica e non sessualizzata, ma sembra un permesso troppo labile e poco definito per essere considerato efficace.

Voce al mondo della moda

Il movimento FreeTheNipple è stato sostenuto anche dalla moda, che lo appoggia tutt’ora e che forse ha visto in esso un modo di guadagnare, più che essere veramente interessata alla causa. Il mondo del fashion si è associato alla campagna portando in passerella look più audaci, con reti e giochi di trasparenze per dare un effetto vedo non vedo, o forse proprio un vedo. Nudo, puro, possibile. A partire dagli anni Quaranta, quando Rita Hayworth fece scalpore per aver indossato un abito trasparente che mostrava un accenno di capezzolo nel film You Were Never Lovelier, fino ad arrivare a oggi con star come Kendall Jenner ed Emily Ratajowski, Dua Lipa e Bella Hadid, che si sono esibite con abiti all’apparenza volgari, all’apparenza troppo espliciti, ma in realtà semplicemente liberi.

Erotico è ciò che erotico si cerca

La campagna FreeTheNipple può sembrare bizzarra, insensata, ma se se ne analizza il significato si capisce che ha un valore intrinseco molto grande. 

Il fatto che le donne debbano coprire i capezzoli mentre gli uomini no, è un costrutto sociale. Ma tutto parte dall’estrema sessualizzazione che da secoli viene rivolta nei confronti del sesso femminile. Ogni parte del corpo può essere provocante, ciascuna a modo suo, e questo vale sia per qualsiasi sesso, genere, età. 

Il problema alla base è che viviamo in una società in cui a dominare è il male gaze, termine che deriva dalle teorie femministe che sostengono che la donna viene sempre rappresentata e vista da una prospettiva maschile, portandola a essere vista come un oggetto sessuale che ha come unico scopo quello di soddisfare un ipotetico spettatore maschio.

La campagna FreeTheNipple si concentra sul seno, ma sono tante le parti del corpo che a causa di questo punto di vista vengono risignificate, eroticizzate, trattate come qualcosa da nascondere per pudore o vergogna.

Se le donne indossano una gonna troppo corta e subiscono molestie, si dice che è colpa loro. Se indossano una scollatura profonda e qualcuno le fischia, è sempre colpa loro. Così anche se semplicemente rivolgono uno sguardo di troppo, è sempre troppo, mai il giusto, mai meno. 

Forse è arrivato il momento di dire che si può trovare erotismo ovunque, se lo si vuole vedere.


Illustrazione di Annachiara Mezzanini

Questo articolo fa parte della newsletter n. 49 – aprile 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:

Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!

Segui Frammenti Rivista anche su Facebook e Instagram, e iscriviti alla nostra newsletter!

Valentina Trentini

Studentessa di beni culturali, classe 2003, nel tempo libero si dedica a visitare mostre d'arte e a scrivere poesie. Lettrice vorace, il suo libro preferito è "Gli Argonauti" (quello di Maggie Nelson!). Ricerca lo straordinario per poi rendersi conto che è nell'ordinario che giace la bellezza.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.