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Il mito della creazione: «Frankenstein (A Love Story)»

Frankenstein arriva alla Triennale di Milano con uno spettacolo che non lascia indifferenti: un progetto "mostruoso" che riesce a dare vita all'inanimato.

2 minuti di lettura

In bilico tra le realtà

Un ambiente freddo di una natura in tumulto si presenta sul palco di Triennale Milano Teatro. Le scenografie, nel loro minimalismo, immediatamente rimandano alle ambientazioni nordiche in cui la storia di Frankenstein (A love story) ha inizio. Non solo, la scenografia riporta a quella fredda estate del 1816 a Ginevra, dove il racconto ebbe origine.

La realtà di Mary Shelley (Alexia Sarantopoulou) si mescola con quella del suo testo. Così Motus ci mostra una chiave di lettura ulteriore del romanzo: Shelley, Victor (Silvia Calderoni) e la Creatura (Enrico Casagrande) sono aspetti di uno stesso intero.

La Creatura

Indossando una maschera dalle fattezze tipiche della Creatura di Frankenstein, Silvia Calderoni si muove sulla scena, presenta l’idea che Victor di lì a breve farà diventare realtà. Sono ripetuti i parallelismi tra Victor e Mary Shelley, entrambi studiosi interessati alle scienze biologiche e fisiche dell’elettricità. Lo scienziato è quasi un bambino nel suo ripetersi l’osservazione del “zig zag” del fulmine; la scrittrice si auto analizza nel suo tormento nei confronti del racconto. I due, in egual misura, non possono fermare il processo in atto: stanno creando qualcosa di nuovo e vivo.

Interessante diventa il meccanismo per cui l’opera scenica stessa diventa creatura di Motus. Essa infatti è nata dall’assemblaggio di diverse parti del romanzo e della vita di Mary Shelley per dare vita a un essere in divenire nuovo.

Creatori

Victor cammina barcollante, in disequilibrio, simbolo di una mente in tumulto, in costante movimento. Mary Shelley si muove sinuosa nella sua nudità su tacchi alti, instabile tra la sua mente proiettata verso nuovi orizzonti letterari e il suo corpo, materico nel secolo in cui vive.

La Creatura sulla scena danza con in mano un girasole. La vita sembra riempire questo corpo che un tempo era un insieme di pezzi di morti ed il fiore giallo in mezzo ad un ambiente così freddo sembra una speranza. Il Mostro, infatti, si crea un suo personale immaginario: una famiglia. Come si sa, il sogno non si realizzerà, provocando la rovina dello scienziato e l’accanimento della Creatura.

Una storia d’amore

Motus porta la storia di Frankenstein in una visione di possibilità della non-conformità: il Mostro diventa la realizzazione dei desideri e limiti dei suoi creatori. In questa storia non esistono vincitori, ma solo le relazioni umane di chi si è dovuto scontrare con la realtà: Mary Shelley in lotta con la sua mente e il periodo storico in cui vive, Frankenstein contro la verità della sua creazione così lontana dall’ideale e la Creatura a cui viene negato un futuro simile a quello degli umani.

Non si possono prendere parti, tutti si possono immedesimare in tutti i personaggi della storia di Frankenstein, proprio perché ognuno di essi è parte dell’altro. Siamo esseri limitati e solo riconoscendoci tali potremo arrivare all’ideale dell’essere umanità.

Frankenstein (A love story)
di Motus
22–26 novembre
Triennale Milano Teatro
con Silvia Calderoni, Alexia Sarantopoulou, Enrico Casagrande

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Marialuce Giardini

Diplomata al liceo classico, decide che la sua strada sarà fare teatro, in qualsiasi forma e modo le sarà possibile.
Segue corsi di regia e laboratori di recitazione tra Milano e Monza.
Si è laureata in Scienze dei Beni Culturali nel 2021

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