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Turchia

La Turchia non vuole Finlandia e Svezia nella NATO. Perché?

Finlandia e Svezia sarebbero colpevoli di non assumere un atteggiamento abbastanza severo nei confronti dei curdi. Ma allora quali sono le richieste di Erdogan per accogliere i due Paesi scandinavi nell'Alleanza Atlantica?

4 minuti di lettura

Il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan mette i bastoni tra le ruote all’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO. La richiesta per iniziare la procedura di entrata nell’alleanza è stata depositata dai due Paesi scandinavi il 18 maggio e l’iter prevede l’assenso unanime dei paesi membri. La Turchia, membro NATO dal 1952, però si è detta contraria all’idea di accogliere Stoccolma e Helsinki nell’alleanza atlantica.

Finlandia e Svezia si sentono minacciate da Putin

La ragione della richiesta svedese e finlandese ha le sue radici nel continente europeo. Viene identificata con lo storico punto di svolta geopolitico con cui due paesi storicamente non-allineati scelgono l’ombrello americano perché intimoriti dalla minaccia russa, percepita in maniera irreversibile dopo l’invasione in Ucraina.

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Ad essere cambiato significativamente non è tanto il livello di effettivo pericolo a cui Finlandia e Svezia sono sottoposte, ma il grado di percezione del rischio e il clima di esasperata tensione internazionale di cui Putin ha acceso la scintilla, scatenando reazioni strategiche preventive. L’uso della forza da parte di una potenza come la Russia mette in allarme quei paesi la cui reazione è cercare una potenza almeno pari in grado di proteggerli. La NATO, da anni impegnata in una politica di espansionismo e il cui impegno ha visto il suo apice negli ultimi mesi proprio per via della minaccia russa, ha risposto in maniera quasi del tutto entusiasta alla richiesta dei paesi scandinavi. «Quasi del tutto» perché c’è un’eccezione tra i trenta paesi membri molto significativa: la Turchia. I motivi del suo rifiuto fanno più i conti con gli interessi strategici del Presidente Erdogan nell’ambito della guerra di occupazione che egli stesso sta conducendo, piuttosto che con ragionamenti riguardo l’assetto securitario del continente europeo.

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Perché la Turchia non vuole Finlandia e Svezia nella NATO?

Il motivo dell’opposizione turca è invece tutto mediorientale. Riguarda in particolare le campagne di occupazione e repressione che l’esercito di Erdogan sta mettendo in atto contro le comunità curde del Rojava e della Turchia meridionale, i principali attori della resistenza curda che operano in quei territori e i presunti rapporti tra essi e i paesi nordeuropei.

La Turchia accusa Finlandia e Svezia di essere «Paesi santuario» per i membri del PKK, il Partito dei Lavoratori Kurdi, e del suo braccio siriano YPG, le Unità di Protezione del Popolo, che dalla Scandinavia opererebbero per reclutare sostenitori europei, scapperebbero dalla “giustizia” turca e orchestrerebbero le loro attività, definite pericolose per la sicurezza nazionale turca. Erdogan, una volta venuto a sapere della richiesta di adesione alla NATO di Finlandia e Svezia, ha immediatamente chiesto l’estradizione di trentatré presunti membri del PKK che risiederebbero nei due Paesi. A rendere ancora più accese le tensioni è il blocco all’esportazione di armi in Turchia imposto nel 2019 da Finlandia e Svezia in risposta alle incursioni turche nel nord della Siria.

La resistenza curda in Turchia e Siria

PKK e YPG sono le organizzazioni che guidano la resistenza curda rispettivamente in Turchia e in Siria, la distinzione è territoriale, mentre dal punto di vista operativo e ideologico i presupposti delle due unità sono i medesimi. La percezione del mondo occidentale li vuole invece distinti: la simpatia verso YPG per il fondamentale ruolo che le Unità di Protezione del Popolo e il loro braccio femminile YPJ hanno svolto e continuano a svolgere nella lotta all’ISIS, in contrapposizione alle accuse di terrorismo rivolte ai militanti del PKK, che si trovano nelle «liste nere» di Stati Uniti ed Europa. A voler dividere le forze principali della resistenza curda è ovviamente Erdogan, che perseguendo letteralmente questa ambizione nel 2016 ha iniziato la costruzione di un muro al confine con la Siria.

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Le comunità curde vivono nel Kurdistan, coincidente con un territorio che si estende tra il sud della Turchia, il nord-est della Siria e il nord dell’Iraq. Tra queste tre aree, solamente il Kurdistan iracheno ha ricevuto qualche forma di riconoscimento internazionale: dal 1992 è infatti ufficialmente regione autonoma riconosciuta dal governo centrale dell’Iraq. I curdi alle prese con il governo turco, quelli cioè che vivono in Turchia e in Siria tra i cantoni di Kobane, quello di Afrin e quello Jazira a formare la federazione del Rojava, non hanno avuto per ora la stessa possibilità. La Turchia è a tutti gli effetti impegnata in una guerra contro i curdi, un conflitto che prende la forma di sanguinosa repressione interna e di invasioni e occupazioni in Rojava.

Le richieste di Erdogan a Finlandia e Svezia

I due Paesi scandinavi sarebbero colpevoli di non assumere un atteggiamento abbastanza severo nei confronti, in particolare del PKK, e in generale dei curdi. La richiesta da parte di Erdogan nei confronti fi Finlandia e Svezia in cambio del suo consenso per l’adesione alla NATO è non solo l’estrazione della trentina di membri del PKK, ma anche la fine di ogni tolleranza da parte di finlandesi, svedesi nei confronti di qualsiasi organizzazione curda.

I curdi, che sono stati in prima linea contro l’ISIS, diventando alleati fondamentali degli Stati Uniti durante la guerra che ha martoriato la Siria, avendo la meglio nell’assedio di Kobane nel 2014 e diventando simbolo della resistenza, il tutto senza mai perdere la loro identità politica e ideologica votata all’egualitarismo, all’ambientalismo, al laicismo e all’idea di giustizia sociale. Ora, potrebbero vedere ancora una volta i paesi occidentali voltare loro le spalle in nome dei propri interessi nazionali e securitari.

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I curdi non hanno bisogno degli Stati Uniti o dell’Europa per realizzare quello che definiscono il Confederalismo Democratico con le sue istituzioni, la sua organizzazione sociale e politica. È anche vero però che fornire sicurezza a due paesi che si sentono minacciati da un capo di Stato violento ed impegnato in una guerra d’occupazione – Finlandia e Svezia alle prese con l’espansionismo di Putin – cedendo alle richieste di un altro capo di Stato violento impegnato in una guerra d’occupazione – la Turchia in Siria – sarebbe un mix di ironia e ipocrisia di certo non inedito nella politica estera della maggior parte dei paesi occidentali.

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Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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