In un tempo in cui vi è sempre più ansia sociale e il presente è vissuto con inquietudine, la pace sembra non esserci più per nessuno, neanche per Marracash che con il suo nuovo disco È finita la pace rischiara il buio di un tempo nel quale si vive in un perenne stato di emergenza. Il rapper della Barona conclude quella che lui stesso considera una trilogia, nella quale ha affrontato una serie di tematiche personali e collettive, affermando la propria voce come un atto di ribellione creando un genere tutto suo, senza cadere nella banalità.
Questo disco chiude la trilogia cominciata con Persona ed è anche l’ultimo capitolo di un percorso personale in cui ho cercato di trovare una mia voce, un modo mio di fare musica. E credo che, di fatto, proprio la ricerca e l’accettazione di se stessi sia il tema di tutta la trilogia
Pubblicato venerdì 13 dicembre su tutte le piattaforme musicali, il disco non presenta featuring, aggiungendo così un valore che sottolinea il coraggio dimostrato dall’artista nell’andare contro le regole dell’industria musicale – tema onnipresente nel concept dell’album – e la direzione artistica è stata affidata, ancora una volta, ai fedelissimi Marz e Zef, già noti per aver curato le produzioni di Persona (2019) e Noi, Loro, Gli altri (2021)
«È finita la pace»: tra originalità e innovazione
Il settimo album di Marracash, quasi coerentemente con i precedenti già citati, presenta un sound che non segue le tendenze del momento poiché mantiene uno spirito di sperimentazione, elemento che ha sempre contraddistinto la sua discografia. È finita la pace presenta diverse campionature di alcuni brani che sono considerati dei grandi classici, e riferimenti a frasi di alcune canzoni realizzate da lui o da altri, come per esempio Vasco Rossi la cui metafora della bolla non è lontana dalla stessa utilizzata dal Kom nella sua canzone Bollicine, dove lancia una critica al consumismo sfrenato.
Tra i sample più noti, vi sono Firenze (canzone triste) di Ivano Graziani usato per la title track, Uomini soli dei Pooh per Soli, Street opera di Fritz da Cat per Crash e l’iconica Un bel dì vedremo tratta da Madama Butterfly di Giacomo Puccini, eseguita dalla grande Maria Callas, usata per Vittima il quale rappresenta il brano più intimo e incisivo dell’album.
Ogni traccia corrisponde a un tema preciso, analogamente alle parti del corpo rappresentate in Persona dove Marracash esterna la sua visione di una società sempre più schiava delle tendenze, incline ad assoggettare le persone ad eliminare le proprie imperfezioni e a lavorare senza sosta, senza curarsi di ciò che succede intorno a loro proprio come se vivessero dentro una bolla che li rinchiude nella cecità.
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Assopiti dentro la bolla
L’immagine della bolla è il fil rouge di È finita la pace e rappresenta l’allegoria di un tempo segnato da un forte individualismo e da un’indifferenza generale, favorita anche dalle Istituzioni incapaci di trovare delle soluzioni concrete volte a ristabilire l’ordine mondiale, poiché governato dal peso imponente delle multinazionali come rappresentato in Crash.
La bolla finanziaria, la bolla speculativa
Profeti dei profitti, la bolla matta del clima
Finto naturale, una bolla di chirurgia
Quella immobiliare, quella della pandemia
Dei nuovi padroni di Seattle
Le vecchie istituzioni che non contano un cazzo
Ritorna, dunque, la già citata metafora della bolla che spiega egregiamente il divario sociale tra ricchi e poveri, lavoratori e padroni, il quale purtroppo è ancora presente nonostante la società si sia evoluta. Non c’è spazio per le polemiche, e la guerra a quanto pare si combatte a gara di like, rendendo gli utenti estranei a certe tematiche e capaci di fomentare un efferato senso dell’odio.
Si allarga la forbice
Non si chiuderà senza qualche collo da torcere
Muovi solo il pollice, ma chi commenta è complice […]
Figli per i social, nuovo proletariato
Aumentano l’engagement, l’ingaggio, l’inganno
L’apatia viene identificata come il male dominante della crisi dell’uomo contemporaneo, al punto tale che la realtà non è più percepita come un dato di fatto, essendo manipolata specialmente dai social, che forniscono una visione distorta attraverso determinati filtri. Marracash nella traccia Mi sono innamorato di un AI, non risparmia critiche al pericolo di un utilizzo incontrollato e nocivo di questa tecnologia, la quale paventa il rimpiazzo dell’uomo.
Dio applica i suoi filtri
NPC, fammi una GIF in cui ammicchi
Cerchi una formula di algoritmi ed alambicchi
Veri e noiosi oppure incredibili ma finti
Morire online e vivere sempre dentro un render
Che la realtà delude tutte le promesse
Il paradosso dell’arte
Nell’epoca della post-riproducibilità tecnica, l’artista non detiene più quella funzione sociale di veicolare messaggi di protesta e verità che suscitino dibattiti e cambiamenti importanti, ma è diventato schiavo delle leggi di un’industria musicale che è sempre più una fucina che produce, continuamente, una serie di prodotti per accontentare il pubblico, annichilendo sia il fine concreto della musica, sia l’immagine degli artisti costretti a seguire un sistema che impone di realizzare tormentoni estivi e di partecipare a Sanremo per ottenere più visibilità.
Ecco, dunque, lo schiaffo potente scagliato contro certi “colleghi” che realizzano musica di scarsa qualità, quasi trash come sostiene Marracash, trascinati da persone estranee alla visione dell’artista poiché sollecitate dalle major a rendere il prodotto un successo, ma solo per un breve periodo di tempo.
Stessi producer e stesse guest
Stessi argomenti e le stesse reference
Va bene così perché fanno tutti i platini
Premiati in TV, tutti bravi su esse Magazine
Carriati dai feat, fitti fitti, stessi nomi
Carriati dai rit’ scritti dagli stessi autori […]
Come funziona l’industria
Un giorno sei Dio, il giorno dopo sei nulla
Dal matrimonio alla calunnia
Marracash ha già realizzato dei dischi capaci di riflettere i drammi della contemporaneità, così come non è la prima volta che mette in fila una serie di rime taglienti e profonde. Data la profondità della sua penna, il rapper si emancipa con uno stile unico per svegliare l’ascoltatore dal sonno dogmatico causata dalla realtà caotica, fatta di incertezza e tensione sociale.
Ti rifai la faccia, l’AI ti rimpiazza
Chi finanzia il genocidio a Gaza? Chi comanda?
Siamo solo una colonia e basta
Ma la gente è stanca, mica le riguarda
Vuole stare su Temptation Island
Il rumore come ninna nanna
«È finita la pace» anche per i lavoratori
In tracce come Gli sbandati hanno perso e Factotum, Marracash concentra il suo sguardo sulla condizione precaria e apatica degli individui, soprattutto i lavoratori costretti a seguire una tabella di marcia sfiancante e per niente gratificante. In questo senso, il lavoro aliena l’uomo sempre di più.
Il lavoro debilita l’uomo […]
In pausa stecchiti dormiamo in cartoni imbottiti di lana di vetro
La vita è “produci-consuma-crepa”, chiunque di noi prima o poi lo accetta
Costretti a essere sempre performanti e a non godersi un po’ di riposo, gli individui risultano sempre più alienati da se stessi – seguendo la concezione marxiana- e costretti a vivere sotto pressione o, meglio, dentro una scatoletta, come ha già rappresentato in modo lungimirante Bruno Bozzetti nel 1967 in un suo noto cortometraggio. Solo la morte, forse, è paradossalmente l’unica possibilità di salvezza.
Il risveglio dal torpore
È finita la pace presenta molteplici sfumature di un artista che esula dal personaggio e si fonde con la sua personalità, quella di Fabio. Infatti, un elemento importante che lega ad un filo indissolubile questo disco con i due precedenti già citati è l’identità.
Fabio/Marracash rappresenta Vittima come il leitmotiv per esplorare la consapevolezza del proprio binomio e insieme al corpo di Persona e allo sguardo di Noi, Loro, Gli altri, elimina ogni pensiero commiserante dimostrando a se stesso e agli altri la vera natura di chi ha sia subito il male, sia inflitto a sua volta inconsapevolmente.
Quando mi arrendo al mio lato peggiore
Coltivo il risentimento, perpetuo il dolore
Mai stato vittima di nessuno, a parte me stesso
Il brano, inoltre, denuncia una società che rende il dolore e l’autosabotaggio uno spettacolo pubblico, ma lascia spazio ad un cambiamento al quale Marracash aspira. Dalla presa di coscienza si giunge, infatti, all’idea che la colpa non debba essere attribuita alla propria personalità e che una probabile soluzione possa essere trovata nell’accettazione di sé e nel vivere senza inseguire il passato, dimostrando che una via per la liberazione può essere percorsa. Per sopravvivere è necessario affermare la propria identità e uscire dalla bolla, nonostante la realtà sia intrisa di contraddizioni.
Oggi è difficile esporsi su qualunque cosa e dire come la pensiamo, essere se stessi fino alla fine. E questo crea un cortocircuito dentro di noi, perché non esiste un modello di vittoria che vada bene per gli altri, qualcosa che renda felice tutti, una felicità standard che sia felicità per chiunque.
È finita la pace è un disco di cui, probabilmente, avevamo fortemente bisogno. Al di là dei gusti musicali, ciò che più va evidenziato è la capacità intellettuale di un artista che, fin dagli esordi, ha sempre narrato il proprio disagio senza guardare al canone, senza omologarsi alla moltitudine. Forse, è un bene che non sia considerato come un artista mainstream.
Se Fabio/Marracash è riuscito a conquistare la propria vittoria, il messaggio è che chiunque possa farlo, in virtù del fatto che se si vuole riottenere la pace bisogna essere ben preparati per superare le proprie guerre, nonostante il rumore di fondo prodotto da una cinica dimensione sociale.
Non esiste altra vittoria che essere sé stessi
Non esiste altro modo di essere sé stessi se non scegliere
È finita la pace, l’accondiscendenza
C’è una nuova pace: la consapevolezza
Fabio e Marracash
E alla fine è un happy end
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