La mia vicenda fotografica non è partita dalla fotografia stessa ma dalle cose che avevo da dire.
La fotografia è un modo di osservare il mondo e di raccontarlo. Ferdinando Scianna (Bagheria, 4 luglio 1943) ha scoperto questo strumento quand’era ancora molto piccolo, fotografando il suo paesino in provincia di Palermo. Si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia, che abbandona presto ma gli permetterà comunque di acquisire un bagaglio culturale che risulterà decisivo per la sua carriera; così come decisivo sarà l’incontro con lo scrittore. Leonardo Sciascia, avvenuto a una mostra fotografica di un appena ventenne Scianna che aveva ritratto le feste religiose della sua terra. Sciascia non ha ancora raggiunto il successo ma, grazie alle sue conoscenze nel mondo dell’editoria, si adopera per la pubblicazione, nel 1965, del primo libro di Scianna, che inaugurerà una carriera di straordinaria fortuna: Feste religiose in Sicilia, grazie al quale vince il prestigiosissimo premio Nadar.
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Bagheria, Sicilia, 1962. Un gruppo di persone attende impaziente a un festival musicale.
Trecastagni, Sicilia, 1963. Alcune donne sollevano un bambino durante una processione in cui si trasportano i santi locali. Il corpo del bambino è piegato all’indietro e questa insolita flessione mostra, sotto la pelle trasparente, la cassa toracica, tanto da farlo sembrare Cristo in croce. Scianna vuole immortalare la gente, il mondo reale, la sua Sicilia. E decide di farlo quando la gente si fa popolo e il popolo si fa tradizione: durante le feste religiose.
Come Cartier-Bresson, nato sotto le nuvole della Normandia, diceva che la sua luce ideale era un giorno luminoso senza ombre, la mia luce ideale è quella per cui mia madre mi ordinava di mettermi un cappello che se no schiattavo per l’insolazione. (Intervista di Vittorio Zincone, marzo 2010)
Racalmuto, Sicilia, 1964. I soggetti dello scatto sono il grande amico Ferdinando Sciascia e due bambine. Lo sfondo, ricco di ornamenti, lascia intendere che si trovano in una chiesa.
Scrittura e fotografia non si escludono. Io nasco fotografo e mi sento fotografo, però ho fatto il giornalista per venticinque anni, scrivendo anche. Mi ricordo che Sciascia, mettendomi in guardia, mi disse «stai attento che te ne può venire una schizofrenia». Ma io questa cosa l’ho sempre esorcizzata considerandomi un fotografo che scrive. (Intervista di Antonio Politano)
Nel 1966 lascia la Sicilia per partire alla volta di Milano, dove inizia a lavorare presso la redazione de L’Europeo. Affiancato da grandi professionisti tra i quali il direttore Tommaso Giglio, Franco Pierini e Oriana Fallaci si forma come fotoreporter e come giornalista. Diventa, poi, il corrispondente da Parigi, dove stringe solidi rapporti col mondo culturale francese. Mentre scrive, tuttavia, sa che la sua vocazione resta la fotografia. Nel 1977 pubblica allora due libri fotografici: La Villa dei Mostri che ritrae la suggestiva Villa Palagonia della sua città natale e I Siciliani. Decide poi di mandare una copia di quest’ultimo a un maestro che aveva sempre ammirato: Henry Cartier-Bresson, uno dei pionieri del fotogiornalismo tanto da meritarsi l’appellativo di occhio del secolo, che ne rimase piacevolmente colpito. Nasce così un’altra grande amicizia determinante per la vita di Scianna: è anche grazie all’approvazione di Bresson se Scianna nel 1982 è il primo italiano ad entrare a far parte della prestigiosissima agenzia fotografica Magnum.
Per Cartier-Bresson la fotografia è una risposta immediata a una domanda. Prima della fotografia l’uomo non disponeva di uno strumento simile. Tutte le immagini erano frutto di costruzioni linguistiche, con la fotografia diventano figlie di una lettura interpretativa: quelle buone, si capisce. Il tutto in una sorta di coincidenza zen fra l’istante che non esiste e il fotografo che lo fa esistere. E non mi pare una cosuccia così umiliante.
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Capizzi, Sicilia, 1982. Dei bambini giocano in strada. Sul muro del palazzo alle loro spalle sono proiettate le ombre di altri ragazzi appoggiati a una ringhiera che scandiscono lo sfondo della fotografia.
Sicilia, 1982. Il corpo di un uomo assassinato dalla mafia giace a terra inerme ed insanguinato. Le fotografie di Scianna vogliono rappresentare il suo rapporto (e di tutti i siciliani) di odio-amore con una terra controversa.
«Mi piaceva che venisse apprezzato quel che facevo. La fotografia per me non è mai stata una vocazione. Era la via di fuga dalla Sicilia». (Intervista di Vittorio Zincone, marzo 2010)
Negli anni ’80 Ferdinando Scianna si impegna anche nel campo dell’alta moda, collaborando soprattutto con il marchio Dolce&Gabbana. Ogni esperienza lavorativa nell’ambito della fotografia contribuisce ad un arricchimento professionale, così col passare degli anni diventa per lui sempre più facile accostare nelle mostre i suoi lavori nel mondo della moda a quelli da fotoreporter.
Milano, 1987. Nel backstage del Moschino fashion show.
Parlermo, Sicilia, 1984. L’amore per la ritrattistica porta il fotografo a realizzare una serie di fotografie, che diventeranno poi un libro, allo scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Ma gli scenari rappresentati da Scianna si allargano sempre più, andando a toccare paesi come l’India, il Mali, la Bolivia e gli Stati Uniti.
Ebbi una specie di collasso psicologico: non riuscivo più a fare le foto. Troppo dolore: che senso ha fare le foto in una situazione del genere? (…) Ero bloccato, volevo tornarmene indietro. Verso le sei e mezza, sempre arzigogolando su torno o non torno, come faccio a fotografare, mi sono accorto che i miei pensieri stavano prendendo altre direzioni. Solo dopo un bel po’ mi resi conto che cominciavo ad aver fame e a domandarmi che cosa e dove potessi mangiare. Più la fame aumentava e meno ero preoccupato del fatto che lì intorno stessero morendo cinquanta, cento persone al giorno, mi laceravo sempre meno sul significato di fotografare, mentre invece pensavo sempre di più che, semplicemente, avevo fame. Lentamente riemersi e cominciai a riflettere sul fatto che questo forse voleva dire che il mio corpo esisteva, esisteva la mia necessità fisica, più impellente e pervasiva di ogni blocco psicologico e morale. Che potevo fuggire dal dolore, ma non dalla fame, non dal mio corpo. Fai il fotografo? Non è questo che volevi fare? Fallo bene allora. Cerca di mettere nelle tue foto la tua angoscia e la tua pietà. Non pretendere di cambiare il mondo con la tua fragilità. Non fuggire. Tornai a fare il mio mestiere. È una lezione che non ho più dimenticato.
Beirut, Libano, 1976. Un soldato delle milizie cristiane punta il suo fucile sulla cui impugnatura è ritratta la Madonna: l’ossimoro tra la violenza e il messaggio religioso è agghiacciante.
New York, Stati Uniti, 1986. Un travestito si prepara per partecipare ad un Gay Pride.
New York, Stati Uniti, 2002. Cartellone pubblicitario ritratto con un sapiente gioco prospettico.
Ferdinando Scianna è un fotografo straordinario che con la sua arte tenta di fare ordine in un mondo caotico, raccontandolo ed interpretandolo. Con i suoi scatti sceglie frammenti di realtà e ne fa un racconto.
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