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Fenomenologia di Matteo Salvini, ovvero come smettere di fare il suo gioco

Di cosa è costruito il fenomeno Salvini? Ecco gli elementi che compongono la propaganda del leader del Carroccio abilmente condotta da Morisi e come difendersi dal populismo.

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salvini rom

Ogni giorno il profilo Facebook di Matteo Salvini rigurgita nuove provocazioni, nuove frasi ad effetto, nuovi incitamenti all’odio. I principali bersagli, come ben sappiamo, non sono più i Terùn, ma gli immigrati, i sinistroidi, i rom e chiunque si azzardi a muovere una qualsivoglia critica al Carroccio e/o al suo “Capitano” senza macchia e senza paura – e senza laurea, sebbene sia rimasto iscritto per più di tre lustri all’Università Statale di Milano. Grazie al team di esperti in comunicazione digitale guidato da Luca Morisi, dottore di ricerca in Filosofia all’Università di Verona (lui la laurea l’ha presa, e si vede) la figura del nostro supereroe dai costumi felpati è una delle più seguite dagli Italiani su Facebook. Parliamo di oltre un milione di fan, che attualmente aumentano al ritmo di circa 9 mila alla settimana. Oltre ai tour autopromozionali e alle comparsate quotidiane in TV, quella del famoso social network è una delle armi più incisive a disposizione del leader leghista e del suo team di comunicazione. I post di Salvini – sempre ammesso che sia lui stesso a scriverli – si pongono come scopo alcuni obiettivi:

  • La familiarizzazione con la sua figura: Salvini ci tiene ad apparire come una “persona normale” e per far ciò non esita a informare il suo pubblico sui suoi gusti personali riguardo a temi come letteratura, musica e calcio.
  • Il contatto e la vicinanza con ogni regione d’Italia e i suoi abitanti: nei suoi post parla di situazioni che riguardano l’Italia intera, non più la sola Padania. Anzi, ora viene dedicata un’enfasi particolare ai fatti riguardanti le regioni del Sud, nel tentativo – incredibilmente riuscito, anche se non totalmente – di cancellare il ricordo della Lega che voleva la secessione dai “terroni” e di quando lui stesso intonava «O Vesuvio lavali col fuoco». Ora invece si prodiga in complimenti per la treccia di mozzarella.
  • La stigmatizzazione dei suoi oppositori: chiunque si azzardi a criticare nei commenti ai suoi post viene additato con vocaboli quali cattocomunista, sinistroide, rosso, buonista eccetera. Parole ad effetto che vengono immediatamente assimilate e riapplicate dai suoi seguaci.
  • La contrapposizione di ogni situazione affrontata dall’attuale governo in carica con le questioni dei migranti e rom: la volontà è quella di dimostrare come sia su questi temi che dev’essere concentrata l’attenzione. Le soluzioni – se così possono essere chiamate – proposte farebbero inorgoglire un certo Adolfo.
  • La disinformazione: un caso su tutti quello dei 30 euro a immigrato.
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Questa sinergia di strategie comunicative funziona come un motore ben lubrificato, ma ce n’è un’altra, subdola e meschina, che ai fini dell’aumento di popolarità del partito si dimostra più efficace di tutte quelle sopracitate: la collaborazione involontaria dei suoi oppositori. Ebbene sì, perché se ogni intervento del leader del Carroccio ha lo scopo di infervorare sempre di più i sostenitori del suo partito, ha altresì quello di aizzare chi vi si schiera contro.

Non ci vuole molto a indignarsi di fronte alle provocazioni di Salvini e a stimare chi ribatte ai suoi post con interventi brillanti e sarcastici (che per questo motivo viene immediatamente bannato dalla sua pagina), tuttavia il continuo parlarne pubblicamente non fa altro che aumentare la sua notorietà. Ed è qui che il suo populismo si dimostra vincente: di fronte alle incursioni di contestatori che bombardano il profilo del leader leghista con kebab, gattini e commenti che smascherano le bassezze e le falsità di Salvini e del suo elettorato virtuale, quest’ultimo si fa più compatto e più unito nella frenesia di sfogare la propria frustrazione contro chi invade la pagina dell’amato leader. E questo non vale solamente per i post su Facebook. Se in un talk-show Salvini fa una delle sue sparate e ne nasce una discussione che verrà seguita da milioni di telespettatori, aspettatevi di vederlo in altre cinque, dieci, cinquanta trasmissioni. Ora, queste sono ovvietà, ma, proprio perché lo sono, funzionano. È pienamente comprensibile la reazione di rabbia e sgomento di fronte alle «legioni di imbecilli» che sbraitano ripetendo slogan come «ruspe in azione». Ma fronteggiarli con le loro stesse armi non si sta rivelando una soluzione adeguata. Non è con i litigi su Facebook che si cura il “salvinismo”. Non è aumentando di dieci volte la diffusione del suo pensiero che lo si contrasta.

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Oltre a cercare di ignorare il più possibile le provocazioni di Salvini, la direzione da prendere è ricostruire il tessuto sociale del nostro paese attraverso l’educazione, la cultura e l’informazione. Sebbene il populismo salviniano si nutra prevalentemente della situazione di disagio che la crisi economica ci ha lasciato in eredità, non potremo mai considerarci liberi da minacce del genere se non cesseranno di esserci le già citate «legioni di ignoranti», qualsiasi sia la situazione economica del nostro paese. In altre parole la cura per il “salvinismo” esiste: si chiama istruzione. Certo, su questo fronte il futuro non appare per niente roseo, date le condizioni in cui versa la scuola pubblica. Ecco che allora diventano fondamentali l’educazione familiare, i giornali indipendenti, le associazioni culturali, che oggi come non mai devono integrare le lacune lasciate da una scuola sempre più in difficoltà, arginando i danni causati dalla disinformazione dei mass media. I sostenitori di Salvini non sono necessariamente cattive persone ma sono, nella maggior parte dei casi, soggetti che hanno poche armi culturali da opporre alle presunte verità di chi, da populista di prim’ordine, trae vantaggio dall’ignoranza della gente.

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È obiettabile che anche questo articolo possa essere una mossa nella direzione sbagliata, che andrà ad aumentare la risonanza dello sbraitare leghista. Se succederà, si spera almeno che sarà servito anche a porre un piccolo, flebile lume sulla strada d’uscita dal populismo salviniano e da tutti i movimenti che agiscono allo stesso modo.

di Yuri Cascasi.

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Yuri Cascasi

Nato nel 1991, laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università degli Studi di Milano. Molte passioni si dividono il mio tempo, ma nessuna riesce a imporsi sulle altre. Su di me, invece, ci riescono benissimo.

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