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circa 1965: British philosopher and pacifist Bertrand Russell (1872 - 1970) whose work concerning logic has greatly influenced twentieth century thought. (Photo by Erich Auerbach/Getty Images)

La felicità è un sillogismo: qualche consiglio di Bertrand Russell

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4 minuti di lettura

Tra le cose di cui sarebbe meglio non parlare, sempre, c’è la felicità. A farlo si passa, o meglio, si rischia di passare per maleducati, bistrattando un argomento troppo serio, troppo intimo per essere bistrattato. Perché il sostantivo “felicità” è solitamente associato a quella retorica misticheggiante à la Osho, che dice tutto e dice niente, nascondendosi dietro l’esoterismo di un banale formulario zen.

Poi c’è Bertrand Russell. Tra i grandi della filosofia del ‘900, Russell ha scritto della felicità come pochi altri hanno saputo fare. Russell, da buon logico, attraverso il suo libro di cui ora diremo qualcosa, vi prende, vi mette una mano sulla spalla, vi invita a sedervi, si siede a sua volta, incrocia le gambe e dice: «ragioniamo».

La conquista della felicità

Il libro di cui parleremo è edito da Tea, costa poco (acquista), ed in copertina c’è Russell che col suo sorriso sembra voler provare che sì, la felicità esiste davvero. Il titolo del saggio è famoso: La conquista della felicità – già, perché la felicità, previa definizione, ve la dovete conquistare – e se siete infelici (lo siete?) il libro di Russell è un ottimo passo per cominciare.

La conquista della felicità va inserito nell’antichissima tradizione di libri filosofici che oltre ad esporre una tesi, oltre a darvi una (non troppo spesso) chiara visione di come stanno le cose nel mondo, vi cambia rispetto a come eravate prima. Leggendolo, cioè, ne uscite diversi.  Alla teoria si coniuga la pratica, cosa bella, che sembra lontana dalla filosofia: voi leggete Russell, ci pensate un po’ sopra, poi vi ritrovate a guardare il mondo con un occhio leggermente diverso da come lo guardavate prima. Mica poco.Bertrand Russell conquista felicità

Felicità = buonsenso 

La cosa interessante è che per Bertrand Russell vale più o meno l’equazione felicità=buonsenso. Tutto il libro non è altro che un invito ad usare il cervello quando le cose sembrano andare per il verso sbagliato. Perché, corollario di ciò, la felicità non è nelle cose, ma nel rapporto che voi avete con le cose. Dunque, in ultima – in voi. Già lo notava Epitteto nel suo famoso Manuale. Ed è un’illusione credere che la felicità sia, ad esempio, in questa bella pentola, in questo cavallo, in questa donna (esempi platonici), perché questa pentola, cavallo o donna non hanno nulla, in sé, a che fare con la felicità – a meno che, ovvio, non ve la procurino.

Ma torniamo a Bertrand Russell. Così, dicevamo, felicità coincide sostanzialmente con buonsenso: «Il mio scopo – dice Russell – è stato unicamente di riunire un certo numero di osservazioni ispiratemi da ci ò che credo di poter chiamare buonsenso». E buonsenso, in ultima, significa coltivare quell’aurea mediocritas che già gli antichi indicavano come la via della felicità. Via di certo non facile: come l’arciere che prende la mira e punta al centro del bersaglio, diceva Aristotele, così la felicità altro non è che una meravigliosa via di mezzo.

Così il libro di Bertrand Russell si compone in due parti: la prima chiarisce ciò che rende l’uomo infelice, demolendo i falsi miti che attentano al ben stare umano; la seconda edifica, e tenta di definire la felicità. Ma poi la ricetta è sempre la stessa: cercate la medietà. La competitività va bene, ma non troppo, che altrimenti si scade in una deleteria lotta contro se stessi. Lo stesso vale per la «conoscenza assoluta», di questa o quella cosa: lasciatela stare, «perché è essenzialmente irraggiungibile». Tra l’altro, brama di onniscienza e competitività sfrenata sono due facce della stessa medaglia: in questi casi «l’uomo tipicamente infelice è colui che, essendo stato privato in gioventù di qualche normale soddisfazione, è giunto ad apprezzare quella particolare soddisfazione più di qualsiasi altra, e ha quindi dato alla sua vita una direzione unilaterale, esaltandone indebitamente lo scopo in confronto alle attività connessevi».

Bertrand Russell

Logicamente felici

Insomma, Russell sulle cose ci ha ragionato, e parecchio. Al binomio felicità-buonsenso, si aggiunge un terzo termine, forse il più difficile da accogliere per chi cerchi la felicità: un sano rapporto con se stessi. Non è facile: si tratta di capire che la vera felicità è il frutto di un parziale distacco dal nostro Io. L’attaccamento estremo alla coscienza è l’arma più pericolosa che noi – sì, noi – abbiamo fra le mani, e i colpi subiti dall’Io non si cicatrizzano tanto rapidamente. Ma questo non significa che si debba praticare l’ascesi, rinunciare ai piaceri del corpo, alle soddisfazioni personali, a tutti i gesti che, invece, l’Io lo rafforzano. Si tratta, come voleva Spinoza, di coltivare le passioni gioiose, che accrescono la beatitudine dell’ego senza inficiare quella altrui. Qui, in questa soglia sottile fra dimenticanza di sé e pieno godimento della vita sta, secondo Russell la felicità; e la strada che vi conduce, di nuovo, si chiama Buonsenso.

«L’uomo capace di grandezza d’animo spalancherà le finestre della sua mente, lasciando che i venti la investano liberamente, soffiando da ogni parte dell’universo. Egli vedrà se stesso, la vita e il mondo con la lucidità concessaci dalle nostre umane limitazioni; emancipandosi dalle paure che assediano colui che è schiavo delle circostanze, proverà una gioia profonda, e attraverso tutte le vicissitudini della sua vita esteriore rimarrà nel profondo del suo essere un uomo felice».

Parole bellissime. La felicità dunque è un sillogismo: il lento ragionare, il lento esercitarsi a ragionare e cogliere quella via di mezzo che preserva dagli estremi. O meglio, questo è ciò che propone Bertrand Russell. Ma c’è qualcosa di profondamente persuasivo nelle sue parole, dettate dal rigore della logica, lucreziane, luminose. E d’altronde, a confermare che la logica c’entra qualcosa con la felicità abbiamo quanto una volta disse un altro grande del ‘900, Ludwig Wittgenstein, il quale, poco prima di morire, chiuse la sua esistenza con queste parole: «dite a tutti che ho avuto una vita meravigliosa».

 

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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