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Federico II

Federico II e le suggestioni rinascimentali di una corte medievale

Nipote di Federico Barbarossa, Federico II fu considerato da alcuni una «meraviglia del mondo», per altri fu invece l'Anticristo e per altri ancora il Messia venuto a riportare l'ordine di Dio sulla Terra. Scopriamo insieme chi era il famoso imperatore del Sacro Romano Impero

11 minuti di lettura

L’idea di un Medioevo oscuro, tetro, spoglio, violento, culturalmente, scientificamente e artisticamente improduttivo, sviluppatasi dall’Illuminismo al tardo Ottocento, è ormai tramontata. Gli studi accademici hanno dimostrato la futilità di talune convenzioni storiche nonché della tendenza a segmentare la cronologia storica in periodi ed in epoche distinte, come se ciascuna di essere non fosse anche figlia di quella precedente.

E così stiamo scoprendo, strappandoci dagli occhi il velo del pregiudizio e delle narrazioni folcloristiche e romantiche – nel senso ottocentesco del termine – un Medioevo luminoso e creativo, dove oltre alle guerre brutali (che pure c’erano), alla fame, alle carestie, alle eresie, alle scomuniche, esistevano anche arti, scienze, speculazioni filosofiche, lettere, cantieri artistici, studi medici, ricerche scientifiche, poeti, scultori, inventori.

E se, come abbiamo detto, ogni fase storica è figlia di quella precedente, il dirompente Rinascimento, che dal Quattrocento al Seicento rivoluzionerà in ogni campo il destino dell’Europa, ha radici profonde, che scendono attraverso il suolo culturale europeo sino al Medioevo, dove una linfa nascosta ha alimentato gli enormi progressi esplosi con marcata evidenza nei secoli successivi, che chiamiamo Rinascimento appunto.

E se volessimo paragonare il bel Rinascimento allo splendore di una maestosa cattedrale gotica, diremmo che i suoi cantieri furono avviati proprio nel Medioevo e che uno di essi, forse uno dei più vistosi, eterogenei, prolifici, geniali, fu la corte di Svevia nel Regno di Sicilia. Tra Napoli e Palermo, nella prima metà del XIII secolo, avvenne un miracolo culturale: sembrò sbocciare all’improvviso una primavera rinascimentale. L’Imperatore Federico II costruì un ponte tra Medioevo e Rinascimento.

Federico II
La Cappella Palatina di Palermo, voluta da Ruggero II di Sicilia, nonno di Federico II

Una corte imperiale nel cuore del Mediterraneo

Nato a Jesi nel 1194, da Enrico VI (figlio di Federico Barbarossa) e da Costanza D’Altavilla (figlia di Ruggero II di Sicilia), Federico II ereditò l’impero germanico da parte paterna e il regno normanno di Sicilia da parte materna. Tuttavia la sua scelta fu stata chiara: la corte fino al 1250 – data della sua morte – non si mosse da Palermo, dal cuore pulsante di un Mediterraneo, al tempo non ancora eclissato dalla scoperta del Nuovo Mondo e dunque dalla supremazia atlantica.

Un Mediterraneo ricco di commerci e incrocio di popoli e di culture, del quale Palermo divenne in breve tempo capitale indiscussa, la cui immagine prestigiosa iniziò ad essere costruita dai Normanni proseguendo sotto le insegne di Svevia. Qui il poliedrico Federico II, umanista ante litteram, eretico impenitente per la Chiesa, ma di cultura profonda, avvia la costruzione di un ambiente di confronto, di studio, d’invenzione e di formazione che influenzerà l’intero panorama europeo successivo, rimanendo forse unico quantomeno nella storia imperiale, con riscontri solo in pochi imperatori della Roma antica.

Federico II
Raffigurazione dell’imperatore Federico II di Svevia

L’intreccio di culture e la forza della diversità: un imperatore studioso

Poco badò Federico II a costruire barriere. Combatté battaglie, certo, anche contro gli arabi, senza dubbio, ma nei limiti del necessario. Si beccò la scomunica papale per il suo indugiare a proposito di crociate, ma era troppo furbo per farsi imbeccare da facili propagande, fomentate – tra le altre cose – da un Vaticano ben felice di mandare i potenti nobili europei lontani in Terra Santa, perché sfoderassero lì le loro spade, sufficientemente a distanza da Roma. L’imperatore, del tutto poco intenzionato a lasciare la Sicilia, preferì accordi diplomatici con i cosiddetti infedeli, traendone forza senza muovere troppe armate.

L’estrema apertura della sua corte palermitana attirò studiosi e uomini di cultura, di arte e d’ingegno dagli angoli più disparati. I trovatori provenzali francesi, i filosofi arabi temuti dai cristiani, gli intellettuali ebrei, i dotti greci, i monaci e i cavalieri cristiani. Pare che l’imperatore conoscesse e parlasse, oltre al latino, anche l’arabo, il greco, l’ebraico. Le più variegate culture del tempo costruirono insieme la magia della corte di Palermo, la bellezza di una città cosmopolita dall’aura rinascimentale.

Federico II
Palazzo dei Normanni a Palermo. Foto di Effems, CC BY-SA 4.0, Wikipedia

Il grado di mescolanza tra popoli, impensabile in base alla politica papale del tempo, lo si riscontra nel caso incredibile della cittadina pugliese di Lucera, ricadente sempre nei territori imperiali, dato che la Puglia fu altra importante regione sotto il dominio federiciano. A partire dal 1223, dopo scontri con gli arabi di Sicilia, Federico II ne ordinò la deportazione proprio a Lucera, cittadina che divenne quasi del tutto popolata da arabi musulmani, nell’ordine di decine di migliaia. Ma non fu un ghetto anzi, fu una delle località più note dell’impero svevo, sede anche di zecche di Stato.

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Federico II
La fortezza svevo-angioina di Lucera in Puglia

La corte dei poeti e l’origine della lingua volgare: letteratura sveva

Presso la variegata corte di Palermo nasce la cosiddetta Scuola siciliana, una compagine letteraria e poetica che accoglie trovatori, compositori, autori disparati (si ricordino Cielo d’Alcamo, Giacomo da Lentini, Guido Delle Colonne, Stefano Protonotaro, Rinaldo D’Aquino). Dalle corti provenzali francesi, i poeti d’amore giunsero nella Sicilia di Federico II, dando vita ad una letteratura che ampio spazio diede all’immaginazione, alle figure fantastiche, all’umanità e alle passioni.

La morte dell’imperatore nel 1250 e la disfatta del figlio Manfredi saranno una battuta d’arresto per la letteratura siciliana, i cui esponenti si trapiantano in Toscana e le cui produzioni giungono in Toscana, proprio dopo la metà del XIII secolo. La poesia d’amore fiorentina s’ispirerà con marcate somiglianze ai componimenti siciliani, in alcuni casi tradotti in toscano e rielaborati dagli stilnovisti.

Federico II
La cattedrale normanna di Palermo, dove riposa Federico II. Foto di Carlo Pelagalli, CC BY-SA 3.0, Wikipedia

Un ponte per la filosofia araba e greca: influssi neoplatonici e aristotelici nell’Europa cristiana medievale

L’Europa Cristiana medievale fu sin da subito diffidente nei confronti della filosofia, cioè di quella scienza figlia della Grecia e poi dell’Oriente, che valorizzava la ragione, il dubbio e la logica di fronte alla fede. La filosofia greca arrivò prima agli arabi e poi alla cultura latina medievale, questo ormai è appurato. L’aristotelismo rielaborato e rilanciato da Tommaso D’Aquino e il neoplatonismo – odiato dalla Chiesa – e diffusissimo nel Rinascimento fino a Giordano Bruno, passando per Pico della Mirandola, per Marsilio Ficino ed altri, giunsero in Europa da snodi e canali in contatto con l’Oriente.

Platone e Aristotele, Scuola di Atene, Raffaello

Tra questi snodi, oltre alla Spagna araba, senza dubbio vi fu anche la Sicilia, la corte sveva e i conseguenti contatti con l’Italia centrale e con la Toscana, dove a Dante giunsero scritti arabi di filosofia, di astronomia e matematica, di esoterismo e religione. Ma Federico II e la sua corte ebbero certamente fonti di prima mano, con la piena disponibilità di filosofi e intellettuali arabi pronti a tradurli e a discuterli. Possediamo sufficienti prove del fatto che l’officina filosofica palermitana esistette, quantomeno come laboratorio di studio degli scritti passati.

Dibattito immaginario tra Porfirio e Averroè, opera del XIV secolo, Monfredo de Monti Imperiali

Si pensi al penetrare degli scritti di Avicenna, Al-Ghazali e Al-Farabi, agli studi di antropologia cristiana sulla base del pensiero di Ugo di San Vittore, i cui scritti probabilmente diedero spunti all’imperatore per ricercare la giustificazione del potere civile sull’uomo, di cui si parla nel prologo delle Costituzioni di Melfi. Si pensi anche a Michele Scoto, attivo presso la corte sveva, traduttore per Federico II dei commenti alle opere di Aristotele scritti da Avicenna, il De animalibus, il De coelo, il De Anima, la Fisica e la Metafisica.

Miniatura con Michele Scoto, XIII secolo, autore sconosciuto

Tra i temi e le riflessioni filosofiche approfonditi presso la corte dell’imperatore di Palermo, sicuramente le speculazioni sull’eternità del mondo e dell’anima, l’analisi delle dieci categorie aristoteliche. Non si dimentichi anche la presenza dell’ebreo francese Jacob Anatoli, amico di Scoto, che tradusse opere filosofiche ebraiche per Federico II e per i suoi funzionari.

Il Rinascimento dell’arte antica: tra imitazione del classico e costruzione del nuovo

E non si può dimenticare, parlando dell’incredibile impulso culturale della corte sveva, anche l’aspetto artistico, che produsse risultati strabilianti che esplosero nell’Italia continentale prima e nell’Europa tardomedievale poi. Federico riesumò e rivitalizzò le forme classiche e l’arte imperiale, i busti, le statue, le vesti togate degli antichi, la monetazione antica, le corone d’alloro, la ricerca della naturalezza delle forme e dei corpi che era stata lontana ad esempio dalla statica arte bizantina o, peggio ancora, longobarda.

L’Augustale federiciano

Anche il sistema monetario federiciano fu forte. La zecca di Stato batteva conio in piena autonomia, dando vita ad una moneta d’oro volutamente ispirata a quelle imperiali romani, il cosiddetto Augustale, con sul fronte, il busto di Federico II con l’alloro in capo e la dicitura «CAES AUG IMP ROM», Cesare Augusto Imperatore Romano, e sul retro l’aquila imperiale ad ali spiegate e la dicitura «FRIDERICVS».

Il cosiddetto busto di Barletta

E poi il cosiddetto Busto di Barletta, il Cavaliere di Bamberga, i bassorilievi del pulpito della cattedrale di Bitonto, l’attenzione per la natura e i dettagli minuziosi. Dalla scuola artistica siciliana della corte federiciana uscì lo scultore e architetto Nicola Pisano, che diverrà famoso in Emilia, Umbria e Toscana, soprattutto a Siena e le cui opere, accompagnate da quelle del figlio Giovanni, ispireranno artisti di Francia e Germania. E alle opere classiche reduci dell’esperienza sveva s’ispirerà Arnolfo di Cambio, attivo poi nella Roma papalina di fine Duecento.

Dettaglio del pulpito del duomo di Siena, Nicola Pisano

De arte venandi cum avibus: il trattato naturalistico di Federico che prelude agli studi rinascimentali

Federico II, appassionato di caccia, di falconeria, di natura e animali, fu anche autore. Dalle sue mani nacque il trattato De arte venandi cum avibus, sull’arte di cacciare con gli uccelli, ispirato forse ad alcuni trattati romani antichi e a codici siriani o arabi sugli studi naturalistici. L’opera fu poi preziosamente miniata presso al corte del figlio Manfredi. L’esemplare in questione è custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana.

Miniatura dal De arte venandi cum avibus

Il trattato federiciano prelude agli studi rinascimentali. L’attenzione per il realismo della natura, per gli animali e i loro movimenti, per le piante e la caccia, per l’anatomia dei corpi e la veterinaria. Federico stesso fu antesignano degli uomini di scienza del Rinascimento, che studieranno poi i corpi umani e l’anatomia degli esseri viventi. Oscure propagande papali raccontano anche di un Federico II intento a far sezionare cadaveri e far condurre esperimenti su uomini vivi, forse però più frutto di fantasia che verità.

Miniatura dal De arte venandi cum avibus

L’architettura: chiese, castelli, torri e monasteri

Durante gli anni del suo impero, Federico II si dedicò ad un imponente rafforzamento degli apparati difensivi e delle strutture architettoniche dei suoi territori. Dalla Puglia alla Campania alla Calabria alla Sicilia rafforzò la rete difensiva, inviando ispettori regi, nominando propri amministratori, controllando documenti e fiscalità tramite messi fedelissimi. Fu anche costruttore di chiese, fondatore di monasteri ed abbazie, restauratore e installatore di castelli: celebre il pugliese Castel del Monte.

Castel del Monte in Puglia. Foto di IKKos, CC BY-SA 4.0, Wikipedia

In quest’opera di risanamento e sistemazione fu spesso affiancato, oltre che da abili ingegneri, architetti, artisti, anche da monaci laboriosi – i Cistercensi soprattutto – e da cavalieri e ordini militari: Templari, Ospitalieri di San Giovanni e Teutonici. All’Ordine del Tempio affidò spesso e volentieri la difesa di luoghi e possedimenti particolarmente strategici nei quali occorrevano militari altamente specializzati e validi, che garantissero ottima gestione e tutela adeguata. Inoltre, data l’esperienza delle crociate, gli ordini militari potevano garantire un bagaglio di conoscenze e soluzioni architettoniche apprese nel vicino Oriente.

Castello di Melfi. Foto di Michele Perillo, CC BY-SA 3.0

Non mancò forza e manovalanza persino musulmana, dato che quelli definiti dalla chiesa infedeli, rappresentarono per lo svevo quasi sempre una risorsa, in base alle possibilità. Alcune leggende narrano che persino la guardia personale dell’imperatore fosse composta da soli soldati saraceni – dunque musulmani – a lui fedelissimi dopo ampie concessioni nei confronti della già menzionata città di Lucera.

La fondazione dell’Università di Napoli

Opera dell’imperatore svevo fu anche la fondazione dell’Università di Napoli, tra le più antiche al mondo, avviata nel 1224, per fare in modo, come lo stesso Federico aveva fatto sapere, che chi cercasse cultura all’interno del regno potesse avere un luogo dove trovarla, coltivarla e diffonderla.

Abbiamo perciò disposto che s’insegnino le arti e si coltivino gli studi di ogni professione, affinché i digiuni e affamati di dottrina trovino dentro il regno stesso di che soddisfare le loro brame e non siano costretti, per procurare d’istruirsi, a imprendere lunghi viaggi e mendicare in terre straniere (Generalis lictera,1224 )

Federico II
Federico II e Isabella d’Inghilterra

Stupor mundi o anticristo? Tra detrattori e ammiratori dello svevo

I pareri storici su Federico II sono piuttosto discordanti. La cultura cristiana e cattolica, che ha detenuto il dominio culturale per molti secoli dopo la morte dell’imperatore, ne ha ovviamente restituito in gran parte un’immagine negativa e deturpata; l’immagine di un anticristo, di un peccatore, di un uomo dissoluto e superbo, di un sovrano capriccioso e insofferente rispetto alla legge e alla fede. Il quadro eretico di un uomo che aveva patteggiato con gli infedeli musulmani venendo scomunicato.

La qual cosa Federico non sapeva fare, a causa della sua meschinità e della sua avarizia; infatti finiva sempre per avvilire tutti i suoi amici e li confondeva e uccideva per arraffarne i denari, i possedimenti, il patrimonio e approvvigionarsene per sé e per i suoi figli. E dunque, nel periodo del bisogno, degli amici ne trovò pochi (Salimbene da Parma)

Gli uomini di Chiesa non potevano che parlarne male. Nei fatti storici, invece, l’accaparrare tutto per sé può essere giustificato col tentativo di Federico di centralizzare il controllo sui territori, sia economico che amministrativo, affidandolo a commissari regi. Dubbi sorgono tuttavia sul movente legato ad una presunta avarizia, dato che al contempo li sottraeva a feudatari locali dispotici, indipendenti, che spesso sopraffacevano contadini e povera gente, senza controllo. A questi poveri – sta negli atti – il sovrano, invece, dava udienza e difesa spesso.

Sale dal mare una bestia piena di nomi blasfemi, la quale, infierendo con zampe d’orso e con fauci di leone, e nelle altre membra con forma di leopardo, apre la bocca per oltraggiare il nome divino, e non smette di assalire con simili dardi né il tabernacolo di Dio, né i santi che abitano nei cieli (Papa Gregorio IX, Ugolino di Anagni)

I pontefici ancor di più lo detestavano. Non si scomodò per la Terra Santa, togliendo quindi il disturbo dall’Italia, ma vi rimase, costruì chiese e castelli interferendo quasi col ruolo dei papi, edificando – in questo c’è chiaramente del vero – un culto della personalità che sfiorava la divinizzazione. Ma è pur vero che tra le ambizioni più o meno nascoste di Federico II vi era quella ancora indomita, che era stata anche di Federico Barbarossa, di distruggere le autonomie locali per unificare la penisola italiana, costruendo una nazione Italia al pari delle altre europee che lo diventarono poi prima di noi.

Federigo II aspirava a riunire l’Italia sotto un solo principe, una sola forma di governo e una sola lingua; e tramandarla a’ suoi successori potentissima fra le monarchie d’Europa (Ufo Foscolo)

Un potente imperatore, circondato da intellettuali di ogni dove, libero da vincoli e da timori divini più o meno concreti, intento a costruire una nazione unica, certamente deve aver fatto tremare prelati e feudatari per bene. Tutti trasserò un sospiro di sollievo quando spirò e venne sepolto nella cattedrale della sua Palermo, si dice in abito bianco da monaco cistercense su sua richiesta. Il figlio Manfredi poco durò e di certo non fu forte come il padre. Dopotutto genialità e fortuna s’incrociano raramente.

Ma Dante Alighieri, nella sua Commedia, pur gettandolo tra le fiamme dell’Inferno, sembra velatamente volerlo rivalutare nel proseguire dei sui canti verso la purificazione del Paradiso, nel quale lo definirà alla fine come ultima valida rappresentanza di una dignità imperiale estinta, mentre parla della madre Costanza. Anticristo dunque o buon governante? Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza.

Quest’è la luce de la gran Costanza / che del secondo vento di Soave / generò ‘l terzo e l’ultima possanza (Paradiso, Canto III)

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

  • Carl A. Willemsen, I castelli di Federico II nell’Italia meridionale
  • Enrico Castelnuovo, Arte delle città, arte delle corti
  • G. Galasso, Storia d’Italia. Il mezzogiorno dai bizantini a Federico II
  • Gabriella Piccinni, Il Medioevo
  • Dante Alighieri, Divina Commedia
  • Enrst H. Kantorovicz, Gianni Pilone Colombo, Federico II imperatore
  • Giulio Ferroni, Storia e testi della letteratura italiana. Dalle origini al 1300
  • Università degli Studi di Napoli Federico II – Wikipedia
  • LUCERA in “Federiciana” (treccani.it)
  • AUGUSTALE in “Federiciana” (treccani.it)
  • Gianluca Briguglia, Il pensiero politico medievale
  • Etienne Gilson, La filosofia nel Medioevo
  • Francesco Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Dai longobardi agli svevi, vol.1

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Paolo Cristofaro

Nato nel 1994, si è laureato in Lettere e Beni Culturali all'Università della Calabria. Presso lo stesso ateneo ha conseguito poi la laurea magistrale in Scienze Storiche, con una tesi di ricerca sul Medioevo. Collaboratore di quotidiani e riviste, è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti.

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