Nel Medioevo i libri non significavano solo letteratura, conoscenza e studio, ma erano unici e preziosi capolavori realizzati a mano utilizzando materiali ricercati e di grande pregio. A lavorare a questi splendidi Codex (dal latino codex, ovvero la parte interna del tronco degli alberi, divenuta poi la tavoletta cerata ad uso di scrittura, quindi libro manoscritto formato da più fogli rilegati e numerati, in opposizione al precedente uso del rotolo in papiro) erano squadre di abilissimi artigiani e amanuensi che, a seconda della complessità della richiesta della committenza, spesso necessitavano di innumerevoli giornate di certosino lavoro. Un esempio di queste vere e proprie opere d’arte è l’Evangeliario di Teodolinda, di cui ci sono pervenute solo le due placche in oro rilegate in legno di copertura conservate presso il Museo e Tesoro del Duomo di Monza.
Si tratta di un inestimabile manufatto che Papa Gregorio Magno donò nel 603 in segno di rispetto e reciproca ammirazione a Teodolinda, carismatica ed ambiziosa regina dei Longobardi, vissuta tra il 570 e il 627. Data in moglie prima al Re Autari (morto improvvisamente nel 590 probabilmente a causa di un avvelenamento) e poi al successore Agilulfo per suggellare l’alleanza tra Bavari e Longobardi, Teodolinda rappresenta una delle personalità più forti e significative del Medioevo. Grande amante delle arti e mecenate, dopo il suo secondo matrimonio resse da sola le sorti del Regno accanto al figlio ancora minorenne Adaloado, garantendo ai sudditi una continuità di potere e una stabilità non indifferenti per un popolo nato nomade e divenuto in seguito stanziale. Forte della sua stretta alleanza con il Papato, Teodolinda convertì al Cristianesimo i Longobardi, fino a quel momento ariani.
Nel nostro caso le due preziose placche, realizzate in oro, sono state incastonate di preziose pietre dure, paste vitree e smalti secondo la tecnica dell’oreficeria longobarda a cabochon, metodo di taglio delle pietre a base piatta con forma convessa che venivano inserite a freddo nella lastra in oro secondo la modalità della lavorazione a sbalzo. Sulle due placche sono raffigurate due croci latine disposte secondo uno schema estremamente semplice, regolare e simmetrico. Il perimetro è adornato con un motivo di raffinata cornice alveolata, mentre nella parte centrale ritroviamo quattro cammei per parte che sembrano rimandare a un’indimenticata tradizione artistica romana.
Il dono del Libro, della Scrittura Sacra (i libri dei Vangeli) era foriero di un notevole significato spirituale e soprattutto politico, che andava oltre la sua indiscutibile valenza artistica. Il libro inteso come Scrittura non era infatti destinato ad un uso quotidiano, ma rappresentava l’iconico oggetto di scambio tra le maggiori cariche e gerarchie del potere. Con la sua preziosità, suggellava il potere di chi lo possedeva ed aveva il privilegio di portarlo con sé. Ne è un altro esempio il preziosissimo Evangeliarium Purpureum, del V secolo, realizzato per l’incoronazione dell’Imperatore Teodorico: la pergamena su cui sono vergati in oro e argento colati i quattro Vangeli è di color porpora, la stessa tonalità cromatica del mantello imperiale, a voler innalzare la Parola di Dio al ruolo di Sovrano.