Assemblare ritagli di giornali, materiali vari, stoffa, libri e tutto ciò che passa per le mani. La compagine dei cubisti lo aveva intuito bene, sapeva quale potenzialità potesse avere l’arte del collage. Dai papier collés al ready made dadaista, l’assemblaggio di immagini e oggetti con senso diverso rispetto a quello di partenza è una delle più alte espressioni artistiche dell’ultimo secolo e, paradossalmente, la più utilizzata nell’era digitale.
Senza nemmeno accorgersene, il mondo del web offre una gamma vastissima di materiali da tagliare e incollare a nostro piacimento, come quando sui social network sovrapponiamo un testo di Alda Merini all’immagine di un gatto. I programmi per modificare le immagini sono poi dei veri e proprio strumenti adatti all’uso; addio forbici e colla, benvenuto Photoshop.
È qui, nell’universo digitale conosciuto da tutti, che si muove Eugenia Loli. Impossibile non aver notato, anche solo tra un click e un altro, i suoi lavori; questi hanno fatto il giro della rete, monopolizzando accentratori di creatività come Tumblr, Pintest e vari blog del settore. Composizioni surreali e oniriche spruzzanti colore, fuori schema e fuori tempo e per questo assolutamente non incasellabili.
I prodotti artistici di Loli rispondono a un’attitudine molto libera, subendo l’influenza del pop, del dada e delle illustrazioni moderne, oltre che del surrealismo tradizionale che vede in Salvador Dalì solo la punta dell’iceberg. Un approccio così libero è reso palese dalla sua filosofia creativa, che risponde a un interrogativo da lei stessa espresso su Tumblr: «come faccio a descrivere chi sono, quando comporta il pagamento di un prezzo?». Ecco allora l’utilizzo di Photoshop, che le permette poi di distribuire gratuitamente il proprio lavoro sulle sue pagine Instagram, Twitter, Flicks e Tumblr: «Credo che l’arte perda valore quando diventa puramente commerciale. L’artista pensa a seguire l’ultima moda artistica o soddisfare i desideri del cliente. Come posso farti capire chi sono se l’arte ha un prezzo? È un ossimoro. L’arte dovrebbe essere condivisa gratuitamente».
Secondo Loli, i committenti moderni e le gallerie rischiano di limitare la libertà dell’artista, spingendolo a realizzare opere del medesimo stampo, così da vendere quasi a scatola chiusa: «Per vendere le loro opere più facilmente, le gallerie chiedono all’artista di limitarsi ad un unico stile e di non allontanarsene mai. Questo, secondo il mio modesto parere, crea stagnazione artistica e determina la morte dell’arte».
Ecco allora che Eugenia Loli non ha uno stile unico, ma si nutre di contaminazioni che mischiandosi non generano mai una marca riconoscibile. Per usare le sue parole, nei suoi lavori «si rintraccia il sarcasmo», cosa che la porta ad affermare che: «Se dovessi affermare di avere uno stile mio, direi che è l’ironia e non un aspetto estetico». Così questo spirito giocoso rende i collage di Eugenia Loli vintage, provocatori e freschi o, in altri casi, veri e proprio giochi di traslazione. Sono questi i casi in cui l’immagine di base (e l’idea iniziale) finisce per perdersi in quella finale, secondo l’idea un po’ burlesca che è alla base dell’arte del collage.
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