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Horror arte cinema

Quando l’estetica del cinema horror passa per la moda

dalla newsletter n. 20 - Settembre 2022 di Frammenti Rivista

4 minuti di lettura

Avete mai pensato di associare cinema horror e moda? Apparentemente distanti, i due mondi dialogano lungo una direttrice che fa dell’estetica la sua arma comunicativa. Così il cinema dell’orrore indaga il disturbante e il macabro con un’eleganza che, dalla liturgia gotica di Tim Burton, incontra la fascinazione vintage dei Sixties, degli Eightes e dei Ninenties. Il Barocco, come il regista e sceneggiatore Ryan Murphy (American Horror Story) tratteggia la sua arte narrativa, muove da cupe case stregate all’ipnosi di colori che Stanley Kubrick regala alla sua Arancia Meccanica.

Il genere horror ha quindi l’incredibile capacità di passare da un’estetica pulp che fagocita lo splatter a una raffinata rapsodia che, sull’esempio di Dario Argento e lungo la linea sottile di Alfred Hitchkock, raccoglie in sé un modo inquietante e raffinato di interpretare la moda, tanto da essere d’esempio per le passerelle di stilisti visionari come Alexander McQueen. Ma in quanti modi possono dialogare cinema horror e moda? Scopriamone alcuni.

Da Edgar Wright a Ryan Murphy: quando l’horror è pop

Venezia 78 sposta l’attenzione dal red carpet al grande schermo, con un film di Edgar Wright che raccoglie la fascinazione vintage anni Sessanta del pubblico contemporaneo. In Last Night In Soho (2021), Anya Taylor Joy, già volto del thriller dalle tinte orrorifiche Split di M. Night Shyamalan, tinge una favola nera dei colori di pittoreschi abiti sessantottini. L’abito a trapezio lanciato da Givenchy negli anni Sessanta e le tinte pastello tra distorsioni ottiche psichedeliche diventano il motore trainante di un horror a ritmo delle canzoni dei Kinks.

Così la moda rende definitivamente pop questa pellicola di Wright, dove l’altra protagonista, Thomasin Mckenzie, aspirante stilista, si lascia ispirare dalle fantasie d’abito della Joy, in una storia drammatica e truculenta. I Sixties si raccontano dunque attraverso lo swing delle sale da ballo, in una danza policromatica accompagnata da cat eye alla Brigitte Bardot. Questo è l’esempio stilistico che la regista Anna Biller raccoglie per il suo The Love Witch (2016), dove Samantha Robinson interpreta una strega dallo stile invidiabile e dall’aura retrò, in una pellicola nera dove il femminismo incontra l’erotismo. 

Ryan Murphy, invece, per la terza stagione di American Horror Story: Coven sceglie come musa di stile la cantante Stevie Nicks. Il suo stile mistico e hippie si fa portavoce di quell’occultismo vibrante negli anni Sessanta di Jimmy Page, sposandosi perfettamente all’atmosfera conturbante della celebre serie TV. Ma Murphy è quel creatore di storie che fa del pop il suo primo nutrimento e, da Lady Gaga alle patinate collegiali di Scream Queens, il suo stile firmato dalla costume designer Lou Eyrich è glam e fa dell’horror una narrazione estetica sublime e magnetica per gli occhi, nonostante gli schizzi di sangue.

Tra tradizione e avanguardismo visionario: Suspiria e Neon Demon

Il brutale e il sofisticato sono invece due qualità che riflettono l’estetica di un horror d’essai. Così due registi iconici come Luca Guadagnino

Francesca Brioschi

Classe 1996, laureata in Comunicazione e con un Master in Arti del Racconto. Tra la passione per le serie tv e l’idolatria per Tarantino, mi lascio ispirare dalle storie. Sogno di poterle scrivere o editare, ma nel frattempo rimango con i piedi a terra, sui miei immancabili tacchi.

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