I pomeriggi svogliati e afosi, la mollezza dei corpi gocciolanti adagiati sulla battigia, l’ombra delle cabine di legno verniciate a nuovo. L’estate è la stagione che più incarna la giovinezza e il risveglio del desiderio, quella terra di mezzo abbacinata dal sole e rischiarata dalle stelle di San Lorenzo. Ma già rimbalza l’immagine della fine della festa, avvolta dall’inquieta incognita del domani. Nel panorama italiano, non sono pochi i romanzi di iniziazione: basti pensare a L’isola di Arturo di Elsa Morante e La bella estate di Cesare Pavese. Prendendo in analisi Agostino e La disubbidienza di Alberto Moravia e Tempi memorabili di Carlo Cassola, seguiamo i passi incespicati rispettivamente di Agostino, Luca e Fausto. Tre adolescenti alla disperata ricerca del senso delle cose e della loro nuova collocazione nel mondo.
Le “sconfessioni” di Agostino
Con Agostino, Alberto Pincherle, vero nome di Alberto Moravia, nel 1945 muove alla conquista dei riconoscimenti della critica e del pubblico, dopo l’iniziale veto della censura fascista per contenuti scabrosi. L’editore Bompiani lo manda in stampa con le illustrazioni, dal tratto nervoso e tagliente, di Renato Guttuso. Ha scritto il critico Geno Pampaloni:
Il ragazzo che ne è protagonista ha la rivelazione, durante un’estate in Versilia, dell’esistenza del male: il male come non-purezza, come debolezza, corruzione e abbandono alla insidiosa potenza degli impulsi vitali (in primo luogo il sesso). La primitiva ispirazione rigoristica, che è all’origine del libro, si risolve in una sorta di languore, che lo scrittore identifica con grande maestria nella spossatezza sfibrante di un’estate assolata lungo la spiaggia… Proprio mentre scopre, nelle memorabili pagine finali del libro, che egli è lasciato solo con la sua responsabilità di giudizio di fronte anche agli affetti più gelosi e profondi come quello per la madre, Agostino è trascinato a essere complice con la vita “quella che è”.
Agostino è un tredicenne pisano in vacanza con la madre rimasta vedova. Il loro è un legame molto intenso, intimamente ancestrale. La crisi del giovane protagonista si innesca a partire dalla scoperta dell’individualità della figura materna, del suo corpo di donna ancora fiorente, dei segni del rituale di corteggiamento. I sentimenti di spaesamento e di stortura suscitatigli derivano dalla progressiva trasmutazione dell’affetto materno, dapprima puerilmente esclusivo, poi sensualmente morboso a causa della minaccia esterna. In questo caso, il potenziale rivale assume le sembianze di un frequentatore dello stesso stabilimento balneare. In un’epifania al contrario, la madre passa dall’essere un archetipo all’essere un feticcio. Pertanto, il termine oscurità è il più ricorrente del libro. È questa lacerazione interna a sancire l’entrata in scena dell’elemento sessuale. Ciononostante, ricompare a singhiozzi l’innocenza perduta:
Chissà che forse, camminando sempre diritto davanti a sé, lungo il mare, sulla rena bianca e soffice, non sarebbe arrivato in un paese dove tutte quelle brutte cose non esistevano. In un paese dove fosse stato accolto come voleva il cuore, e dove gli sarebbe stato possibile dimenticare tutto quanto aveva appreso, per poi riapprenderlo senza vergogna né offesa, nella maniera dolce e naturale che pur doveva esserci e che oscuramente avrebbe voluto.
Inizia a frequentare una banda di ragazzi che lo porteranno in una casa di tolleranza. La sola curiositas, in mancanza dell’età minima consentita, non gli garantirà l’accesso. È con un ammiccante episodio omoerotico che si chiude la vicenda, a mo’ di rito di passaggio. «Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di addormentarsi»: così avviene l’iniziazione di Agostino all’età adulta. La realtà gli si rivela amaramente.
La disubbidienza di Luca
Edito nel 1948, La disubbidienza riprende, ampliandola e approfondendola, l’avventura già narrata in Agostino. Luca è un adolescente in subbuglio, di ricca famiglia romana. Tornato in città, si oppone alle autorità e anche a se stesso: «Egli sentiva che il mondo gli era ostile; e che egli era ostile al mondo; e gli pareva di condurre una guerra continua ed estenuante contro tutto ciò che lo circondava».
Disgustato dal materialismo, inizia ad abdicare non solo ai doveri ma anche ai piaceri, mettendo in atto un volontario processo di estraneità teso a sopire la morsa dell’angoscia: «Seppellendo il denaro, in un certo senso, avrebbe sepolto se stesso; o almeno quella parte di se stesso che era attaccata al denaro».
È solo morendo che può raggiungere definitivamente l’assoluto, preservandosi dall’altrimenti ineluttabile degenerazione, fatta di ingiustizie, ipocrisie e rancori. Tuttavia, Eros ha il sopravvento su Thanatos: «Così il desiderio dei sensi era stato più forte del suo desiderio di morte».
I tentativi di estinguere la vampa libidinosa falliscono, perfino con l’istitutrice affatto avvenente. In seguito a un’anomala febbre delirante, all’impasse esistenziale si aggiungono i lunghi mesi di convalescenza. Luca, nell’unirsi per la prima volta con una procace infermiera, cede al rigido schema di negazione che si era costruito, forse l’ultimo gioco – e l’ultimo baluardo – dell’infanzia. L’io frammentato continua a vagheggiare i tempi in cui era stato compatto e univoco, pur non potendo non abbandonarsi a questa nuova energia dirompente, misteriosa e sotterranea:
Provava un turbamento lieve e piacevole; come a sentirsi non più unito e indivisibile, ma separato in tante parti che galleggiavano e fluttuavano l’una accanto all’altra, accomunate in un’aria calma e sospesa, come i rottami di un battello naufragato nella bonaccia che segue la tempesta.
Sul treno di ritorno, in concomitanza con l’ingresso in una galleria, Luca ripensa alla sua nuova fame:
Ricordò che al momento dell’amplesso, egli aveva provato ad un tratto il desiderio forte di entrare tutto intero nel ventre della donna e rannicchiarsi in quelle tenebre calde e ricche con tutto il corpo, come vi si era rannicchiato prima di nascere. Ma ora capiva che quelle viscere altro non erano che le viscere stesse della vita, da lui sinora ripudiate e che la donna, imperiosamente, gli aveva fatto accettare. Sì, concluse, la vita doveva proprio essere questo; non il cielo, la terra, il mare, gli uomini e le loro sistemazioni, bensì una caverna buia e stillante di carne materna e amorosa in cui egli entrava fiducioso, sicuro che vi sarebbe stato protetto come era stato protetto da sua madre finché ella l’aveva portato in seno. La vita era essere sprofondati in questa carne e sentirne l’oscurità, il risucchio e lo spasimo come cose benefiche e vitali.
Luca porta a termine l’esperienza di Agostino, non pensa soltanto da uomo, ma agisce da uomo. Fino in fondo. Per parafrasare Baudelaire, il Luca di Moravia, parimenti annoiato, inghiotte il mondo non con uno sbadiglio, ma con un orgasmo.
I tempi memorabili di Fausto
Dopo il dittico di Moravia Agostino–La disubbidienza, nel 1966 Carlo Cassola pubblica Tempi memorabili. L’esperienza di Fausto, un umile quindicenne romano in villeggiatura a Marina di Cecina, scorre in un’atmosfera completamente priva di quella marcata tensione generazionale. La lettura de I Miserabili di Victor Hugo scandisce le sue giornate, per lo più lente e monotone. Il fascino per il personaggio di Jean Valjean, granitico e magnanimo, conferma la sua vocazione letteraria. Il substrato esplicitamente erotico e l’approccio psicoanalitico di Moravia è del tutto assente, rimpiazzato da una narrazione più lineare e solo apparentemente immediata. L’estate degli anni ’30 è ancora ingenuamente lungi dai traumatici capovolgimenti successivi. Vige una genuinità prebellica e una paga spensieratezza che mai più si ripeteranno, neanche con il miracolo economico. Tra le scorribande dei compagni del lido, Fausto incontra Gabriella, per la quale prova un interesse non ricambiato. L’infatuazione vera e propria avviene con Anna, figlia di una famiglia di ortofrutticoli del posto.
Si fermò: vedeva la propria immagine, appena scomposta dal tremolio. “Io amo Anna” disse a se stesso. Barcollò quasi: la felicità gli era montata alla testa, dandogli le vertigini.
L’innamoramento diventa la cifra poetica del libro: a fare capolino sono l’attesa palpitante, lo stato di grazia, l’ineffabilità. Si realizza in questo modo la corrispondenza tra l’oggetto d’amore e la letteratura: «Il tempo s’era fermato. Fausto sorrideva: dentro di lui era sempre estate». E la fine delle vacanze non segna necessariamente la fine del sentimento amoroso: «E così ora, la felicità dell’amore l’avrebbe assaporata in solitudine».
Conclusioni
La crescita di Agostino, Luca e Fausto è dettata nei primi due dall’attrazione della carne sia come diversivo – per ovviare al tradimento materno – sia come soluzione – la virilità come volontà di potenza – e nel secondo dal vuoto dell’atto mancato, sostenuto però dalla speranza della sua prossima realizzazione. La frattura è per forza di cose insanabile. A tutti e tre è avvenuta la muta dei serpenti: le convinzioni immaginarie, sotto forma di squame iridescenti, cedono il passo ad uno spento involucro coriaceo, più resistente agli urti. Ecco, la contezza del non ritorno è la cifra dell’estate.
Alessandra Savino
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In copertina: fotogramma del film Agostino di Mauro Bolognini (1962), tratto dal romanzo omonimo di Alberto Moravia
Favoloso!
Grazie per avere scritto un articolo che con la sua precisione ed essenzialita` , se non sgretola il muro che mi recinta, che mi fa credere le esperienze essere solo mie, almeno rimuove i cocci di bottiglia.