Un mondo dalle geometrie impossibili, in cui le direzioni si intersecano in giochi ottici e spaziali senza fine, in cui i personaggi sono capaci di salire e scendere dalle medesime scale. È l’universo di Maurits Cornelis Escher, rigoroso, preciso, e allo stesso tempo così libero nel dare sfogo a fantasie immaginifiche, coniugando un occhio indagatore (fin nei minimi dettagli) della realtà e delle proporzioni ad una esuberanza creativa fuori dall’ordinario. Oltre centocinquanta opere, fra litografie ed incisioni, del maestro olandese sono ora esposte presso il Palazzo Albergati di Bologna, fino al 19 luglio: la mostra, prodotta da Artemisia Group in collaborazione con la Fondazione Escher, offre un percorso minuzioso attraverso la carriera dell’artista.
Fra colonnati inattuabili (che possono far pensare proprio ai portici di Bologna), nastri di Moebius su cui si arrampicano formiche e inconfondibili paesaggi italiani geometrizzati, lo spettatore si muove con stupore in un labirinto di immagini la cui contraddizione è il motore primo della meraviglia: bizzarre ma logiche, assurde ma coerenti, le litografie di Escher sono rompicapi irrisolvibili, la cui apparente freddezza formale racchiude invece un carattere quasi ludico, empatico. Mani che disegnano sembra perpetuare il gioco della creazione artistica, come a dire che essa non avrà mai fine. Un manifesto, una professione di fede nel proprio ruolo di inventore di immagini.
Altrettanto significativo è l’Autoritratto in una sfera specchiante (fra l’altro logo della mostra), che dialoga direttamente con il precedente manierista del Parmigianino. Una lettura dell’opera di Escher alla luce del Manierismo può risultare interessante, se non altro per rilevare una comune tensione verso l’elemento eccezionale, una comune abitudine a scherzare con le forme.
L’esagerazione ha infatti, in Escher, un ruolo di primo piano: in certe stampe dense di particolari l’horror vacui giunge ad un elevatissimo tasso di saturazione. Animali letteralmente incastrati l’uno nell’altro, senza spazi liberi, camaleonti che vanno a riempire prismi galleggianti nel cosmo, serpenti che si attorcigliano in frattali elaboratissimi. Impressionante,ad esempio, anche Metamorfosi, che occupa un’intera parete, e in cui, a catena, da figure geometriche scaturiscono naturalmente un alveare, api, pesci, perfino una città (chissà quale borgo sul mare del Sud Italia) e una scacchiera con le sue pedine.
La mostra bolognese offre al visitatore un esauriente compendio del genio olandese, esponendo anche alcune chicche, come la copertina originale delle Cosmicomiche di Italo Calvino (1965) e dell’LP On The Run dei Pink Floyd (1973). All’interno del percorso, inoltre, i visitatori più giovani (e in una città come Bologna, per fortuna, sono tanti) troveranno alcuni spazi per scattare dei selfie. Quasi il corrispettivo, ai giorni nostri, dell’Autoritratto in una sfera riflettente!
Michele Donati
[…] e sociale a servizio della Cultura. Sempre martedì è stato il turno della recensione alla mostra bolognese dedicata ad Escher, a cura di Michele Donati, e del primo numero della rubrica “A luci spente”, in cui […]