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Erri de Luca, «La storia di Irene»: la vita e il mare in tre racconti

3 minuti di lettura

Con La storia di Irene, Erri De Luca ha creato un filo diretto tra il racconto, il narratore e il suo lettore. Il libro contiene tre brevi storie di mare, e a ciascuna non è dedicata che una manciata di pagine. Si apre con la più importante, quella di colei che dà il nome all’intero volume: La storia di Irene. Irene è molto bella, ha uno sguardo magnetico, i suoi occhi non hanno una fine.

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La fanciulla è orfana, viene quindi cresciuta dai delfini ed è solo con loro che riesce a relazionarsi, mentre non sa farlo con i suoi simili. Di giorno vive sulla terraferma, dove non riesce a comunicare così viene creduta sorda da tutti, perché comunica come i delfini, mentre di notte ritorna nel mare, ad essere se stessa, con la sua famiglia.

Com’è che capisco le tue frasi Irene, e nessuna parola si spiccica dalle tue labbra? Fanno così i delfini, mi risponde. […] Si solleva dalla sabbia, si siede sui talloni. I suoi occhi tondi mi guardano in faccia, mi danno la vertigine di essere invisibile. Un’onda né d’aria né d’acqua, un’onda di quelle che usa la radio, mi arriva da lei. Il mio corpo assorbe il segnale. Irene irradia quando guarda in faccia.

Come spesso succede nelle storie di Erri De Luca, un’attenzione particolare è riservata alla diversità. Il tema è racchiuso tutto dentro Irene, nella sua atipicità descritta dettagliatamente con smisurato interesse e infinita dolcezza.

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Perché Irene non è una ragazza comune sia per lo stile di vita sia per il suo modo di sentire le cose. Arriva poi un giorno in cui la giovane ragazza incontra un viandante e decide di raccontagli la sua storia: è tramite le loro lunghe discussioni che il lettore riesce ad immedesimarsi nella trama, a diventare lui stesso il nomade viaggiatore curioso di scoprire i retroscena della vita della fanciulla.

De Luca qui mette tutto se stesso, si fa tramite, ci racconta parte di lui. La storia è, non a caso, ambientata nell’Egeo, su di un’isola greca. L’autore ha affermato in un’intervista che proprio durante un soggiorno in questo luogo, ascoltando il mare, colse questa storia in un giorno di tempesta, ne fu investito e ne parlò. «La nostra specie umana ha bisogno di storie per accompagnare il tempo e trattenerne un poco. Così io raccolgo storie, non le invento». Irene, nell’immaginario di De Luca, ricopre dunque il ruolo del vento, lo stesso vento che, nel luogo descritto da Erri come culla della mitologia e della favola, ha ispirato nel suo orecchio questa storia.

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Il libro non è autobiografico solo nel primo racconto, lo è – forse molto di più – nei due successivi. Nel secondo racconto, dal titolo Il cielo in una stalla, l’autore inserisce parte del vissuto del padre: un reduce di guerra che è costretto a fuggire dai tedeschi a bordo di una nave, remando verso Capri da Sorrento. Piccole parti di una storia preziosa che lo stesso scrittore ammette di essere riuscito difficilmente ad estorcere dalla memoria del suo caro. Racconti rari di un uomo che non era solito parlare di guerra, conservandone solo un malinconico ricordo, che diventano patrimonio del lettore e della memoria comune. La terza storia infine, Una cosa molto stupida, presenta tutta la potenza di un autoritratto: un anziano signore che solo nel mare si racconta.

Questo libro è una finestra inattesa. Grazie alla sua narrazione tipica, ricca di profonde immagini emozionali ed evocative, De Luca riesce in poche righe a regalarci uno spettro potente nella storia, come uno scorcio o un quadro, mai così vivo davanti al lettore. «S’immerge nella notte, s’infila tra due onde col fruscio delle dita che aprono una tenda». I minuziosi dettagli descrittivi ci permettono di fare un viaggio nella geografia umana.

Mentre nuoto i pensieri si affacciano tra i respiri intensi che devono portare ossigeno di sangue fino in punta alle dita di mani e di piedi. Nelle scalate sto in appoggio sulle ultime falangi, mi accorgo di più del loro uso. Scalando pareti conosco meglio il peso dei chili e degli anni, che in questo settembre coincidono. In mare invece gli anni e i chili sono lievi, da dimenticarsene.

Leggendo queste righe è quasi possibile percepire sulla nostra pelle il sentire dell’autore. Le frasi evocative, sottolineate da una cura maniacale, cellula per cellula ci rendono partecipi della traversata del soggetto, facendoci sentire lo sforzo e il peso dell’acqua e del necessario respiro.

Margherita Vitali

 


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