Aprile non è solo il mese più crudele dell’anno, ma anche il mese in cui ormai ottant’anni fa il nostro paese si è liberato dai nazifascisti ponendo fine non solo al ventennio fascista, ma anche alla Seconda Guerra Mondiale. Quando sentiamo parlare di liberazione, sentiamo spesso parlare di persone animate da buoni principi e sani valori, spesso idealizzate come eroi, le cui gesta sono incluse ovunque fra libri, film e manuali scolastici.
Chi, però, ha contribuito alla Liberazione in Italia e nel resto del mondo solitamente erano persone comuni, che di eroico non avevano quasi niente, e che per una serie di circostanze sono capitati loro malgrado all’interno della Storia e, seppur quasi subito dimenticati dalla memoria collettiva, hanno comunque dato il loro fondamentale contributo. Il cinema più di tutti ha dato spazio a questa gente comune, che animata o meno da sani principi ha fatto la Storia e cambiato le sue sorti.
I principali film che trattano la Liberazione dal basso
Le storie vere dietro ai film sulla Liberazione
Come ogni opera d’arte, anche i film traggono spesso ispirazione dalla realtà e da storie vere per raccontare la propria versione della Storia. Numero 24 di John Andreas Andersen, ad esempio, è tratto dalla storia vera di Gunnar Sønsteby, contabile norvegese che con l’invasione nazista a Oslo e il regime fantoccio di Vidkun Quisling decise di prendere parte alla resistenza norvegese per liberare il proprio paese dall’occupazione nazista.
Anche film di genere come Freaks Out e Il ministero della guerra sporca traggono ispirazione da storie vere, o almeno ne traggono ispirazione in parte. Il film di Gabriele Mainetti, ad esempio, per il personaggio di Il Gobbo, capo dei partigiani, prende ispirazione da Giuseppe Albano, ovvero il Gobbo del Quarticciolo, principale protagonista della resistenza romana, mentre il film di Guy Ritchie trae ispirazione, invece, dall’operazione Postmaster, operazione non autorizzata che godeva dell’appoggio indiretto di Winston Churchill per fermare gli approvvigionamenti delle U-Boot naziste.
Quanto, invece, a Six Triple Eight e La battaglia di Hacksaw Ridge, i protagonisti di queste storie vere non hanno imbracciato veramente le armi, ma a modo loro hanno contribuito alla Liberazione. Il primo film rielabora le vicende del 6888th Central Postal Directory Battalion, un battaglione di sole donne afroamericane operativo in Europa che si occupò della posta che i soldati dovevano ricevere al fronte per alzare il loro morale, mentre il secondo racconta la storia di Desmond Doss, medico di guerra obiettore di coscienza in quanto membro della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno che contribuì comunque a salvare la vita di settantacinque soldati a Okinawa contro i giapponesi.
Premesse tecniche sui film sulla Liberazione
Sebbene si ritengono fondamentali i film citati e anche altri film o serie tv – si pensi a Salvate il soldato Ryan, per esempio, ma anche serie tv come Band of Brothers –, c’è però da dire che non tutti questi film sono ben riusciti a livello tecnico. Se da un lato vediamo una buona resa visiva e assistiamo alla messa in scena di una sceneggiatura onesta, certi film spesso risultano dimenticabili per prestazioni attoriali poco memorabili – in Six Triple Eight, ad esempio, la prestazione di Kerry Washington non è di certo fra le sue migliori – ma anche per la poca presenza di psicologia nei personaggi affrontati. Dopotutto, il problema di parlare di storie vere è sempre quello di cercare di spingersi oltre la realtà.
In questo senso, dunque, sono da ricordare, invece, Freaks Out e Il ministero della guerra sporca, sebbene anche il film di Guy Ritchie è più improntato sull’azione e poco curato sul versante sceneggiatura e sul versante tecnico. Sia Gabriele Mainetti che Guy Ritchie, infatti, hanno il coraggio di rischiare provando a parlare della Storia adottando tecniche del tutto nuove, grazie anche al fatto di parlare di storie che sono rimaste nascoste a lungo e poco affrontate, come quella del Gobbo del Quarticciolo e dell’operazione Postmaster, i cui documenti sono stati desecretati dal governo inglese solo in tempi recenti.
La prospettiva dal basso della Liberazione: la straordinarietà di Gabriele Mainetti
A prescindere dalla qualità tecnica dei vari film, ciò che accomuna le pellicole che abbiamo citato è la prospettiva adottata per raccontare queste storie vere. La prospettiva, infatti, è una prospettiva dal basso, da intendersi non solo in senso sociale, ma alle volte anche in senso morale. Se da un lato abbiamo persone di condizioni umili e semplici che si arruolano volontariamente o meno per la liberazione del proprio paese dal nazifascismo, dall’altro, invece, abbiamo persone che moralmente parlando sfiorano il confine del giusto, di ciò che è morale, per contribuire alla resistenza.
In quest’ottica, il film più interessante è Freaks Out. Gabriele Mainetti, infatti, fa condurre la resistenza al nazifascismo a partigiani storpi armati fino ai denti e a fenomeni da baraccone dai poteri magici. Questa scelta di Mainetti è interessante, in quanto mette ancora di più in risalto la straordinarietà di persone di umile estrazione sociale, spesso considerata reietta dalla società, che in realtà ha contribuito a cambiare le sorti del nostro paese, ma anche del resto del mondo, quasi a voler dire che a fare la storia non sono stati soltanto pluridecorati militari assorti a eroi di guerra o futuri politici del dopoguerra, ma anche persone che la Storia condanna facilmente all’oblio proprio per la loro scarsa importanza da parte dell’opinione pubblica.
L’ordinarietà e la mancanza di morale degli eroi comuni
C’è chi, però, come Tyler Perry e Mel Gibson sceglie di parlare di eroi comuni senza ricorrere a prodezze a livello tecnico e senza rendere straordinarie le vite messe in scena. Six Triple Eight, ad esempio, punta sulla semplice questione razziale e di genere per raccontare l’importanza che delle donne afroamericane mal viste dal proprio paese di origine hanno avuto nel mantenere alto il morale dei soldati dando loro la giusta carica per combattere al fronte, mentre La battaglia di Hacksaw Ridge sul nonnismo e la discriminazione nei confronti di un medico obiettore di coscienza a causa del proprio credo religioso che deve faticare per conquistare la fiducia dei suoi commilitoni e superiori per essere riconosciuto eroe di guerra.
Quanto a Gunnar Andersen e Guy Ritchie: il primo con la storia di Sønsteby ci racconta di un uomo disposto a tutto pur di portare la Norvegia alla liberazione dai nazisti, spesso sacrificando i suoi compagni di resistenza e facendo ricorso alla violenza, in quanto «durante una guerra le sfumature scompaiono e le regole non sono più le stesse»; il secondo d’altro canto racconta di una missione illegale che potrebbe portare Winston Churchill a essere accusato di alto tradimento, ma vitale per sconfiggere i nazisti, e per farlo si avvale dell’aiuto di ex criminali, ma proprio perché con problemi con la legge persone che non hanno nulla da perdere per condurre una missione delicata e difficile, ma vitale per le sorti dell’Europa.
Guerre storiche e personali
Fatte queste premesse, questi film non soltanto ci mostrano una guerra contro e per la Storia, ma anche delle guerre personali dei propri protagonisti. Proprio perché partono da una prospettiva ordinaria, umile e talvolta amorale, i nostri personaggi devono combattere per dimostrare di poter fare la differenza, e dunque per mostrare che anche nella loro ordinarietà e pochezza possono svolgere un ruolo importante per rendere il mondo un posto migliore.
I fenomeni da baraccone e i partigiani storpi di Gabriele Mainetti, per esempio, si mettono contro i nazisti pur sapendo di avere poche possibilità, ma li sfidano perché vogliono dimostrare di meritarsi il proprio posto nel mondo e di essere capaci di dare una svolta significativa al proprio destino e a quello dell’Italia, mentre le donne di Six Triple Eight e Desmond Doss in La battaglia di Hacksaw Ridge combattono per dimostrare come il proprio paese abbia bisogno delle minoranze per progredire e vincere contro i nazisti: le prime devono dimostrare come le donne di colore siano capaci di servire il proprio paese, mentre il secondo, invece, che per motivi religiosi rigetta la violenza, deve dimostrare come possa fare la differenza anche senza fare ricorso alle armi e attraverso le proprie conoscenze in ambito medico.
I personaggi controversi, invece, di Gunnar Andersen e Guy Ritchie vogliono dimostrare quanto la violenza e l’illegalità siano spesso necessari per andare avanti. Sønsteby ci fa capire come il principio senecano di preparare la guerra per avere la pace sia ancora attuale affermando come la non-violenza sia inutile contro persone che hanno perso ogni umanità, mentre i mercenari dell’operazione Postmaster agiscono contro le regole della corona inglese – ma con il sostegno del loro primo ministro – per dimostrare come alle volte sia necessario andare contro di esse per arrivare alla risoluzione di ogni conflitto.
Piccoli eroi per una grande liberazione
Che siano film di qualità o meno, il cinema sa sempre regalare storie nuove e originali per parlare di eventi a noi già noti attraverso prospettive inedite che ci aiutano a comprendere la complessità della Storia, e in questo caso, della liberazione. Che siano contabili, dottori, freaks, storpi o mercenari, il cinema ci dimostra sempre come la Storia spesso sia fatta da persone ordinarie che sullo schermo diventano ai nostri occhi straordinarie, capaci di sfidare se stesse, le regole della propria società e i pregiudizi per amore del proprio paese e della libertà. Alle volte sono costretti a sacrificare parte di sé, talvolta a sacrificare i propri ideali, ma la loro esistenza è, è stata e sarà sempre di vitale importanza per rendere il mondo un posto migliore.

Questo articolo fa parte della newsletter n. 49 – aprile 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
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