Di attribuzione incerta, suggestivamente legato alla personalità umbratile di Madame Marajat, Emmanuelle è un classico dell’erotismo ri-declinato in forme nuove, talvolta abborracciate e pecorecce, certo ben inserite in un’operazione di marketing concepita ab origine. Apparso a Parigi nel 1967, il romanzo firmato Emmanuelle Arsan segna l’inizio di quel filone orchestrato da editori quali Losfeld, Martineu, Pauvert e noto come Nouvelle Vague Erotique, sicura macchina da soldi in un’epoca segnata da pudori e costrizioni.
Autrice o autore?
Il nome de plume di Marajat è già oculata scelta volta a istituire un parallelo tra l’autrice il personaggio, «donna disinibita ed eroticamente disponibile» [1] collocata sullo sfondo di una Thailandia conturbante, sapientemente “ritagliata” a uso e consumo del pubblico occidentale. L’individuazione dell’autrice costituisce un elemento di curiosità studiata, giacché Marajat è moglie (thailandese) di un alto funzionario Unesco, Louis-Jacques Rollet-Andriane, personaggio sospeso nello spazio del “tra”, uomo dedito al lavoro e “servito” da una compagna minuta e pudica, soggetto ideale da sottoporre a un’operazione di camuffamento-sorpresa.
«Emmanuelle»: una sapiente operazione commerciale
Sfruttate le caratteristiche fisiche nonché il potenziale d’attrazione verso il senso comune, Rollet-Andriane costruisce attorno alla moglie un caso editoriale senza precedenti, sfrangiando la sua ombra d’autore dopo aver irrorato la pagina dei succhi del più frusto immaginario erotico. Madame Marajat ben si presta, del resto, a una strategia destinata a riproporsi nel tempo, quando pure la pellicola erotica Laure (1976) la vedrà protagonista diretta dal marito e da Roberto D’Ettorre Piazzoli, in una girandola di scene esplicite ricondotte, con voluta ambiguità, a una matrice sua propria, giacché inserita nel solco del romanzo.
Tra Oriente e dominio
In quest’ottica, Emmanuelle costituisce l’ennesimo capitolo di un orientalismo strumentale, in cui la rappresentazione dell’eros nasconde una volontà di dominio e sopraffazione, scientemente attuata mediante una determinazione dell’immagine che lavora sul già noto.
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L’erotismo in chiave esotica è non a caso accentuato nelle versioni cinematografiche, prima tra tutte la fortunata Emanuelle nera (1975) che guarda al mondo capitalista con sguardo astuto, ben impiantato nel corpo di Laura Gemser che blandisce lo spettatore.
Lo sguardo maschile in gioco
In apparenza forte e risoluta, la figura di donna proposta è in realtà esplicitazione concreta di un antico habitus mentale, costruito a partire da un canale espressivo che veicola il desiderio sessuale e l’oggettivazione del femminile, piegando le rappresentazioni a incelati tentativi di dar forma a desideri inespressi. La disponibilità di Emmanuelle, l’insaziabile appetito sessuale e i «languidi amplessi lesbici»[2] che l’attendono a Bangkok fotografano un voyeurismo di stampo patriarcale, inconsciamente introiettato dalle stesse attrici in gioco (si pensi anche a Marie-Anne, Ariane, e all’amplesso con l’americana Bee).
«Emmanuelle», voyeurismo erotico
L’episodio più significativo, in tal senso, è costituito dall’incontro di Emmanuelle con l’aristocratico italiano Mario, teorico di una filosofia dell’erotismo a tratti verbosa ma inconfondibile. Al «culto del piacere dei sensi, affrancato da qualsiasi morale», l’uomo oppone un’indefettibile «vittoria della ragione sul mito». L’eros è per lui «non un moto dei sensi, ma un esercizio della mente. Non è la licenza ma è una regola. Ed è una morale» [3].
Oggettivazione e possesso
In ottemperanza a tale precetto, egli rifiuta l’unione carnale con Emmanuelle e preferisce osservare i suoi orgasmi, farla possedere da altri in un’atmosfera deliquescente, attentamente evocata per mezzo di riferimenti estetici e sensoriali. È questo suo sguardo lucido a rappresentare il dispositivo del possesso maschile. Non serve l’atto per definire il pensiero, e il personaggio-Mario altro non è che la proiezione dell’autore, del lettore, dello spettatore che guarda e soddisfa il suo occhio.
Il riscatto
Tuttavia c’è di più ed è qui che si annida il riscatto di Emmanuelle, quel carattere sovversivo e intimamente scandaloso che ne fa un’opera da ri-scoprire con le consapevolezze di oggi. Nella scena finale, la protagonista si unisce a un conducente di Sam-lo che viene a sua volta posseduto dall’ambiguo Mario. La sodomizzazione per interposta persona diviene allora, forse, mezzo di attingimento dell’assoluto:
«Emmanuelle gridò più forte di quanto non avesse mai gridato […]. La sua voce rimbalzava sulle acque scure, e nessuno avrebbe potuto dire a chi quel grido fosse rivolto: “Amo! Amo! Amo!”» [4].
Liberazione e assoluto
Il triplice urlo di Emmanuelle, dichiarazione finalmente spontanea, si configura come liberazione dai dettami imposti, passaggio momentaneo ma reale alla pienezza della vita. Riprendendo Pasolini, l’atto del possedere e quello dell’essere posseduto implicano una differenza persino ontologica, investono la consapevolezza del reale in misura opposta e radicale: «Possedere» è il male, concerne qualcosa che è «fatalmente limitato», «l’essere posseduto [invece] è un’esperienza cosmica» [5].
«Emmanuelle»: una possibile rivelazione
Di contro al denaro, alle merci, al potere, l’esperienza di non-possesso libera l’individuo dai ruoli predeterminati e consente, per un attimo, di rivelare la forza dell’inespresso. In un testo percorso da espliciti riferimenti al desiderio – concretizzazioni effettive di fantasie irrealizzabili – il momento di più alta rivelazione è quello che segna il passaggio alla speculazione pseudoscientifica. Delle opinabili teorie di Mario non occorre discutere; sul suo (accidentale) gesto rivoluzionario è interessante ragionare.
Note
[1] E. Badellino, Le scrittrici dell’eros. Una storia della pornografia al femminile, Milano, Xenia Edizioni, 1991, p. 221.
[2] Ibidem.
[3] E. Arsan, Emmanuelle, Milano, Sonzogno, 1998.
[4] Ivi.
[5] P. P. Pasolini, Petrolio, cit., p. 318.
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