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Desert Dreams: una modernità di polvere

Philip Cheung ritrae gli Emirati Arabi Uniti in modo quasi illusorio, tra le tradizioni e la modernità.

4 minuti di lettura

Nell’incapacità di fermarsi, e ancor più di restare fermi, sembra materializzarsi l’essere moderno e – nella stessa immagine – la prova della sua disumanizzazione. La modernità è un esercizio solitario di vita sociale, espressione che già di per sé è contraddittoria, ma sembra corrispondere perfettamente al paradosso contemporaneo: si può essere soli in relazione con la terra intera.

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Ci sono luoghi che sembrano personificare questo movimento continuo, altri sono addirittura il risultato fisico del nuovo millennio, dalla sua velocità, alla sua altezza e diffusione.

© Philip Cheung The edge of the desert. Dubai, United Arab Emirates 2011
© Philip Cheung The edge of the desert. Dubai, United Arab Emirates 2011

Gli Emirati Arabi Uniti sono un Paese in costante cambiamento geopolitico: nato dall’unione di un gruppo di sceicchi della Penisola Araba, lungo il litorale del sud del Golfo Persico e lungo quello nordoccidentale del Golfo dell’Oman, è oggi composto dai sette emirati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras al-Khaima, Sharja e Umm al-Qaywayn.

Durante il regno dell’Impero Ottomano tutta l’area viene conosciuta come la Costa dei Pirati a causa della forte azione predatoria delle popolazioni lungo queste coste per la raccolta di perle. In pochi anni il petrolio prende il posto dei beduini, dei pirati, delle perle, nel 1971 la bandiera adottata, tra il verde della fertilità e il bianco della neutralità, si è colorata di nero, proprio per la ricchezza data dell’oro nero. Rosso, verde, nero e bianco, i colori panarabi riuniti per simboleggiare l’unità araba.

© Philip Cheung Security guards. Umm Al-Quwain, United Arab Emirates 2012
© Philip Cheung Security guards. Umm Al-Quwain, United Arab Emirates 2012

Oggi il Burj al Khalifa può vantare di essere l’edificio più alto mai costruito, rientra infatti tra le maggiori vette del mondo: con i suoi 828 metri è solo 10 volte più basso dell’Everest. Lì vicino, alcuni bancomat erogano lingotti d’oro, mentre cantieri vengono continuamente aperti e subito completati. Pirotecnici lavori edilizi hanno creato affollati e sfarzosi centri commerciali, ma anche silenziosi luoghi acontestuali.

Tra le tradizioni islamiche e la sfrenata occidentalizzazione la contraddittorietà sembra rappresentare proprio il divario tra i colori monotonici del deserto e i turbanti variopinti degli sceicchi. Un’immagine in bianco e nero dove l’unico colore che c’è è l’icona del potere che risalta su tutto il resto.

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© Philip Cheung Portrait of the late Sheikh Zayed, founder of the UAE. Dubai, United Arab Emirates 2011

Proprio al contraddirsi di luci e colori, etnie e tradizioni corrisponde il lavoro del fotografo canadese Philip Cheung, Desert dreams che riesce a dipingere un ritratto moderno, quasi surreale, a metà tra tradizioni e modernità, tra il vero e l’illusorio di un luogo creato dal nulla nel deserto. Una raccolta di immagini che sembra arrivare direttamente da un mondo parallelo, dove le conquiste moderne mantengono vive le leggi severe che rimandano a codici di abbigliamento e di libertà di parola.

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Dubai, «la New York del Golfo Persico» sembra un cantiere sempre aperto, con tutte le sue speranze e incertezze: una tra le città con il più veloce tasso di sviluppo urbanistico del mondo, in questi scatti sembra lasciar trasparire il deserto tra le sue forme, uno scintillante parco giochi per adulti sempre pronto a crescere, in un alone di solitudine.

«Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone».
Italo Calvino

Sembra di essere il marinaio di una città calvinista dove la meta è anche la salvezza: l’immagina come un grande cammello che lo libererà dal deserto del mare conducendolo verso un’oasi di frescura.

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© Philip Cheung Dubiotech. Dubai, United Arab Emirates 2015

Il rapido metabolismo urbano e il conseguente benessere diffuso attira da subito una grande quantità di lavoratori, imprenditori e turisti: la maggioranza della popolazione è così composta da espatriati con il tasso migratorio più alto al mondo. La metà degli immigrati proviene dall’India, la restante parte è iraniana per il 25% con una presenza crescente di cittadini europei o provenienti da altre parti dell’Asia. Questo mescolamento di razze, culture e etnie ha cambiato non poco l’identità degli Emirati Arabi Uniti sia dal punto di vista sociale sia da quello culturale e paesaggistico.

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© Philip Cheung Red carpet. Barakah, Abu Dhabi, United Arab Emirates 2011

Desert dreams di Cheung mette in evidenza proprio queste forti dicotomie contrastanti e simultanee, in grado di annullarsi in una sola fotografia.

«La cosa interessante di Emirati Arabi Uniti è la velocità con cui si sta sviluppando e adattando», ha detto Cheung, «è un posto come nessun altro in Medio Oriente, dove si possono vedere i residenti o cittadini del paese vivere gli stili di vita dell’Occidente o lo stile di vita beduini locali, talvolta simultaneamente».

Nel 2007, anno in cui Cheung si trasferisce ad Abu Dhabi da Beirut, nota il cambiamento del paesaggio in un solo anno. Il 2010 invece è l’anno dell’inizio del suo progetto fotografico, lo stesso anno  in cui le rivolte anti-governative hanno iniziato a dispiegarsi in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. La cosiddetta Primavera Araba ha messo le radici proprio nei sette Emirati, ricchi di speranze e di petrolio.

La maggior parte delle foto di Cheung hanno un elemento di mancata corrispondenza: qualcosa o qualcuno che risulta fuori-luogo rispetto al contesto.

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© Philip Cheung Falcon City of Wonders. Dubai, United Arab Emirates 2011

Repliche di dinosauri alti su un polveroso cantiere inattivo, è la sua immagine per ridurre a simbolo la Falcon City of Wonderful, alla periferia di Dubai.

«The Falcon City of Wonderful è una città commerciale e di intrattenimento in programma per un quartiere residenziale che ha subito un ritardo in costruzione dopo la crisi finanziaria globale del 2008», ha detto Cheung della fotografia «neanche l’olio ricco di Dubai è riuscito a fuggire gli effetti negativi della crisi finanziaria globale».

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© Philip Cheung Labourer. Dubai, United Arab Emirates 2011

Il risultato del nuovo millennio è davanti ai nostri occhi increduli. La risposta caotica di un deserto che intorno marcia a ritmi incontrollabili. La vera e propria messa in scena del mondo moderno, nei luoghi dove l’uomo di oggi dovrebbe riconoscersi, evolversi e sentirsi cittadino. Un fuori-luogo degno di una modernità polverosa e staticamente rapida.

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Fausta Riva

Fausta Riva nasce in Brianza nel 1990.
Geografa di formazione(Geography L-6) poi specializzata in fotografia al cfp Bauer.
Oggi collabora con agenzie fotografiche e lavora come freelance nel mondo della comunicazione visiva.
Fausta Riva nasce sognatrice, esploratrice dell’ordinario. Ama le poesie, ama perdersi e lasciarsi ispirare.

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