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Dipingere lottando. La poetica di Emilio Vedova

Un percorso, il suo, alla ricerca dell’essenza, della vita e della sua trasposizione e comunicazione attraverso l’arte.

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A un mese dall’apertura della mostra monografica a lui dedicata presso il museo M9 di Mestre, Rivoluzione Vedova, vogliamo indagare la figura caleidoscopica di uno degli artisti astratti più importanti a livello non solo nazionale: Emilio Vedova.

La ricerca della coincidenza tra vita e arte

L’opera di Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006) non è inquadrabile in un movimento, in una corrente di pensiero o d’azione. L’artista rifuggirà sempre le etichette e le aggregazioni artistiche, così diffuse e attive in particolare dal secondo dopoguerra, pur facendo parte per poco tempo di tre dei principali gruppi artistici legati all’astrazione: Corrente, Fronte Nuovo delle Arti, Gruppo degli Otto, che contribuisce a fondare, far crescere, ma di cui è in parte causa di scioglimento. Emilio Vedova mantiene dunque un’autonomia di pensiero e di ricerca unica nel panorama artistico, quantomeno italiano. Segnica, gestuale, lontana dalla dimensione allegorica storicamente abbracciata dai pittori, in quanto non riporta simbolicamente una realtà esprimibile a parole, la sua pittura, così come successivamente le installazioni dal lui progettate, rappresenta proprio ciò che le parole non sono in grado di definire. Non rappresenta oggetti, non rappresenta neppure la realtà, ma cerca, invece, di far coincidere l’arte con la realtà stessa.

Vedova

Questa coincidenza tra arte e realtà non è però soltanto visibile nel risultato del suo operare, ma parte integrante del suo agire, o lottare come ha definito Carla Schultz-Hoffman il suo modo di dipingere. L’artista infatti sfrutta a pieno la propria corporeità importante e a tratti ingombrante, lasciandosi andare alle spinte interiori, avventandosi sulle tele. Queste ultime, in particolare, sono scelte da Emilio Vedova sulla base della propria fisicità: la larghezza di una tela corrisponde, più o meno, alla larghezza dell’apertura delle braccia dell’artista stesso, in modo da poter affrontare lo spazio del quadro in uno “scontro alla pari”. Emilio Vedova risponde con il corpo alla necessità di esprimersi, al bisogno di trovare una realtà ulteriore rispetto a quella distrutta, frammentata e distopica che lo circonda e che ha sperimentato sulla propria pelle partecipando alla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale. Una necessità di stampo dadaista che trova in Kurt Schwitters il suo più alto esponente.

Vedova: un esempio unico nel panorama artistico

Non è un caso, anzi ne consegue, che quella di Emilio Vedova non sia un’arte da contemplare quanto da vivere, così come l’artista aveva pensato, sperato e sperimentato personalmente sin dagli inizi del proprio percorso artistico.

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La sua unicità porta Emilio Vedova a distinguersi e ad essere apprezzato lungo tutto il corso della sua carriera, dimostrandosi capace di rimanere al passo con in tempi e di elaborare, modificare, aggiornare il proprio linguaggio e i media utilizzati, così da renderli costantemente coincidenti con le fasi storiche e personali attraversate, pur mantenendo una profonda coerenza con se stesso e i propri intenti. Dai disegni giovanili tormentati delle chiese veneziane, passando per la fase pittorica geometrica, per poi ritornare al gestuale miscuglio di tinte, le quali esplodono successivamente nei Plurimi e poi nelle luci di lavori scenici e ambientali come Intolleranza 1960, Prometeo, scenografie realizzate per l’amico Luigi Nono, e Percorso/Plurimo/Luce, quello che Emilio Vedova intraprende è un percorso senza deviazioni alla ricerca dell’essenza, della vita e della sua trasposizione e comunicazione attraverso l’arte.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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