È arrivata la notte che terrà svegli milioni di americani e non solo. Tra poche ore, a cavallo tra il 3 e 4 novembre 2020, si concluderà la corsa alla Presidenza statunitense. La data è simbolica e in qualche modo «fissa»: è tradizione che le elezioni USA si svolgano il primo martedì del mese di novembre. A sfidarsi, come noto, da una parte il Presidente uscente Donald Trump e dall’altra il democratico Joe Biden.
Il contesto, parte I: una campagna «social»
Inutile girarci intorno: i mesi che ci hanno accompagnato all’appuntamento di questa notte sono stati inediti da molti punti di vista e hanno condizionato l’intera campagna elettorale, cambiandone in parte i connotati. In primo luogo per la nuova modalità con cui si sono svolti gran parte degli eventi e della manifestazioni della campagna, a seguito della diffusione dell’epidemia da Covid-19. Una modalità “ibrida” tra incontri in presenza (relativamente pochi) e incontri in digitale, grazie alle grandi piattaforme social. Modalità, quest’ultima che ha smosso il mondo dei social network come mai prima, introducendo nell’arena dei media anche pagine Instagram e TikTok di influencer, star del cinema, tv private, giornali con milioni di seguaci, che hanno invitato ad una mobilitazione di massa (una cosa simile era successa nel 2018, nelle lezioni di metà mandato. Qui vi rinfreschiamo la memoria).
Il contesto, parte II: le proteste e il Black Lives Matter
Per dare un quadro generale almeno a grandi linee sulla situazione degli Stati Uniti oggi, non si possono ignorare i mesi di fuoco del Black Lives Matter, il movimento internazionale, originato all’interno della comunità afroamericana impegnato nella lotta contro il razzismo, che ha avuto importanti ripercussioni sulla campagna elettorale dei candidati presidenti. L’incognita, a poche ore dal giorno elettorale, è come questo grande serbatoio di passione civile e impegno politico si rifletterà sul voto. Nessuno dei candidati rappresenta il volto della protesta, eppure la scelta di molti potrebbe cadere sui democratici, la cui candidata alla vice-presidenza è Kamala Harris (ci torneremo).
I candidati
Entriamo quindi nel vivo, preparandoci alla notte che ci aspetta. Chi è in corsa per diventare il Presidente degli Stati Uniti d’America?
Il 45º e attuale presidente Donald Trump è il candidato per un secondo mandato del Partito Repubblicano. La sua candidatura, nei mesi passati, convinse diversi dirigenti del suo partito a non svolgere le primarie e i caucus, in una dimostrazione di sostegno della candidatura di Trump. Trump ha indicato come suo Vicepresidente Mike Pence, già Governatore dell’Indiana e suo braccio destro negli ultimi anni di mandato.
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Per quanto invece riguarda il Partito Democratico il candidato è Joe Biden, già Vicepresidente di Barack Obama. Le primarie democratiche 2020 si aprirono con 27 candidature, il numero più alto mai avuto per un processo di nomina del candidato presidenziale nella storia delle elezioni presidenziali statunitensi moderne. Biden, dopo un inizio, debole, si impose sugli altri e raccolse l’appoggio dei compagni di partito: uno fra tutti il democratico Bernie Sanders, già candidato alle primarie 2016, che aveva raccolto intorno a sé l’entusiasmo soprattutto dei più giovani. La scelta della vicepresidenza è caduta, come anticipavamo, sulla dem Kamala Harris, Senatrice per lo Stato della California, simbolo della «seconda generazione», figlia di un’indo americana e di un giamaicano. La Harris in alcuni ambienti è una leggenda e un esempio di emancipazione e riscatto. Nel 2010 fu eletta procuratrice generale dello stato e poi riconfermata nel 2014, diventando così la prima donna asioamericana a ricoprire quella carica.
Make America great again, 4 anni dopo
Pensare alle elezioni statunitensi in questo momento storico ci pone di fronte a tanti dubbi, a tante domande su quello che sarà e sull’importanza che queste elezioni avranno per il mondo intero. Dopo le elezioni del 2016 e la vittoria di The Donald contro ogni pronostico della vigilia, abbiamo assistito a quattro anni di amministrazione che hanno cambiato nettamente la visione degli Stati Uniti come attore globale e come fulcro dell’Occidente. Una presidenza per molti versi destabilizzante che ha interrotto il filo comune che ha unito gran parte delle amministrazioni precedenti. Con il suo Make America great again ha eretto muri nei confronti di storici alleati e aperto a Paesi storicamente avversari.
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Quattro anni fa, nessuno avrebbe immaginato che dopo l’amministrazione Obama si sarebbe assistito ad un cambiamento tale da rendere imprevedibile la posizione americana su temi come il clima, la salute o addirittura l’economia.
Ci troviamo oggi alla fine di una campagna elettorale estremamente polarizzata, in cui come sempre hanno avuto un ruolo centrale temi come la sicurezza, lo sviluppo economico e le sorti della potenza americana, ma anche temi attuali come la risposta alla pandemia che sta duramente colpendo gli Stati Uniti o, in certi casi, l’esistenza del Covid-19 e la necessità di proteggere sé stessi e gli altri da un male che colpisce oggi il mondo intero.
Alla ricerca dell’identità
Due fattori hanno fortemente caratterizzato questa campagna elettorale a nostro avviso: l’utilizzo della propria immagine e il ruolo delle minoranze. L’immagine è stato il primo fattore distintivo tra i due schieramenti. Biden che indossa la mascherina sottolineandone l’importanza ad ogni intervento si contrappone a Trump che, tornato a casa dopo la degenza conseguente alla positività al Covid-19, toglie la mascherina mettendosi sull’attenti per salutare i militari. I comizi in modalità drive-in dei democratici si contrappongono agli affollati comizi dei repubblicani. Hanno due elettorati diversi, quindi la cosa non deve sorprenderci.
Un altro fattore per noi europei poco comprensibile è la connotazione etnica o identitaria dell’elettorato. Siamo abituati a una politica che al massimo pone al centro gli interessi di un’area geografica invece che di un’altra. Al contrario, negli Stati Uniti non è un caso che entrambi gli schieramenti abbiano lavorato molto per attingere ad esempio ai bacini elettorali degli afroamericani, degli ispanici, dell’elettorato cattolico.
Una lezione dal 2016
Dopo le elezioni del 2016, è ormai chiaro che negli USA non sempre vince chi riceve il maggior numero di voti. Donald Trump è stato eletto pur ricevendo circa 3 milioni di voti in meno rispetto alla sfidante Hillary Clinton. Casi simili si verificarono per le elezioni di George W. Bush (2000), John Quincy Adams, Rutherford B. Hayes e Benjamin Harrison.
Perché? Semplice. Il sistema americano si basa su un sistema di collegi elettorali. Gli elettori votano scegliendo dei “grandi elettori” che a loro volta sceglieranno tra il cartello repubblicano Trump-Pence e quello democratico Biden-Harris. Il numero di grandi elettori per ogni Stato è proporzionato alla popolazione, da un massimo di 55 grandi elettori nel caso della California ad un minimo di 3 grandi elettori nel caso di Stati meno popolosi come l’Alaska o il Wyoming. In tutto, vengono eletti 538 grandi elettori, quindi ogni candidato dovrà puntare alla soglia minima di 270 elettori per essere eletto.
Cosa dicono i sondaggi, ad oggi
La media dei sondaggi delle elezioni in USA, pubblicata dalla CNN, dà il contendente democratico in largo vantaggio sul Presidente in corsa per la rielezione. Joe Biden si attesta a una media del 52% dei consensi contro il 42% di Donald Trump. Sarà quindi interessante scoprire quali saranno i veri risultati di queste elezioni USA e quali scenari si apriranno da domani mattina. Una presidenza Biden sarebbe un ritorno alla presidenza di un Partito Democratico rinnovato dalla nuova linfa del coinvolgimento delle nuove generazioni (AOC, vi dice qualcosa?), oltre al coronamento di una carriera politica lunga poco meno di mezzo secolo. Al contrario, una rielezione di Trump sarebbe la conferma che il popolo americano vuole qualcosa di diverso rispetto al passato e che, in fondo, lo stile e i modi diversi di Trump hanno nuovamente convinto l’America.
Per fare considerazioni è presto. Biden è il favorito nei sondaggi, ma Trump è un maestro nei colpi di scena. La verità sulle elezioni USA? La sapremo solo a spoglio concluso. Sulla pagina Instagram di Frammenti Rivista andiamo avanti con i commenti. Per le analisi ci vediamo domani.
A cura di Giuseppe Vito Ales e Agnese Zappalà
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