Come è andato il voto, in breve
Francia, elezioni. Con il 58,54% (18.779.641 voti) Emmanuel Macron lo scorso 24 aprile ha vinto le elezioni presidenziali francesi, riconfermandosi così Presidente della Repubblica. Al ballottaggio il leader de LREM-La République En Marche ha avuto la meglio sulla candidata del RN-Rassemblement National Marine Le Pen, che con quasi 13,3 milioni di voti – 2,7 milioni in più rispetto al 2017 – ha stabilito il miglior punteggio per l’estrema destra in un’elezione. Chi ha deciso di non scegliere, con l’astensione, il voto bianco o nullo, pesa ancora di più: quasi 16,7 milioni di persone. Un nuovo picco. Figlio di questo voto al primo turno il crollo, ancora più evidente rispetto che a cinque anni fa, dei partiti tradizionali – socialisti e repubblicani in primis – per cui restano quasi tutte macerie e un difficile processo di ricostruzione.
Macron ha vinto le elezioni in Francia: e adesso?
All’indomani della vittoria elettorale, Macron eredita una situazione tutt’altro che rosea, in patria e fuori. La sua rielezione lo tiene sotto la pressione di una combinazione di crisi senza precedenti: l’aggressione russa contro l’Ucraina, la catastrofe climatica, la pandemia, lo sconvolgimento economico e sociale. Tutto molto lontano da 5 anni fa, da quel 2017 di speranza, rinnovamento ed europeismo, che aveva caratterizzato la sua discesa in campo. Per attutire gli effetti di questi sconvolgimenti in Francia, e forse soprattutto per attirare i voti acquisiti dal leader de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, Macron ha scelto, tra i due turni, di piegare a sinistra un programma più orientato a destra. Fare «meglio» (è lui stesso a dirlo, ndr) consisterà dall’inizio di questo nuovo quinquennio nel dare forma a questa sintesi, senza deludere ancora una volta i progressisti.
Macron davanti a sé ha alcune scadenze. Innanzitutto la scelta di un nuovo primo ministro che subentri a Jean Castex che dovrebbe essere resa pubblica in questi giorni. Obiettivo, l’equilibrio perfetto, trovando un compromesso con l’area sinistra del partito – che dopo cinque anni «troppo gollisti» chiede una svolta «a gauche» – e con l’ala più a destra che si fa portavoce di quella parte del Paese che ha scelto Le Pen, Zemmour, Dupont-Aignan e ora vuole un governo (almeno) di centro-destra. Poi dovrà dare spazio alle priorità elencate in campagna elettorale: rivedere la griglia salariale dei dipendenti pubblici, agire sul potere d’acquisto, calmierare i prezzi dell’energia, lanciare la sua riforma delle pensioni e riprendere in mano i temi della scuola e della salute. Su questo promette «un nuovo metodo» chiedendo una «ampia consultazione» degli attori per «adattare le soluzioni alle realtà sul campo». Per l’istruzione, il Presidente intende in particolare aumentare «in modo significativo» gli stipendi degli insegnanti e «definire con loro nuove missioni». E sulla salute, dopo due anni di crisi sanitaria, promette di rafforzare «la politica di prevenzione», «la semplificazione» e il miglioramento dell’«accesso alle cure di emergenza».
Lo scenario della nuova Assemblea Nazionale
Per fare questo due sono gli step obbligatori immediati. Un primo, istituzionale, per sancire il suo rinnovo e perfezionare la costituzione della sua nuova squadra, è già in corso dal giorno successivo alla vittoria presidenziale; il secondo, più politico, inizierà dopo le elezioni legislative del 12 e 19 giugno, con l’avvio dei progetti di riforma. E qui sta il primo grande nodo: dopo il voto è evidente una Francia spaccata su tre grandi fronti, che include i due sfidanti al ballottaggio e il leader de La France Insoumise Jean-Luc Mélenchon, che al primo turno ha superato il 20% dei consensi, pescando soprattutto tra i più giovani. Non è scontato quindi che le elezioni – e quindi la composizione dell’Assemblea Nazionale e successivamente del Governo – confermino la leadership del Presidente. Se LREM non dovesse conquistare la maggior parte dei seggi, il prossimo governo sarà costretto quantomeno ad una coabitazione. Certo, il presidente potrebbe decidere di ignorare la maggioranza parlamentare e nominare un governo della sua stessa parte politica (cosa ad oggi mai verificatasi). Ma questo probabilmente porterebbe a un susseguirsi di rovesciamenti di governi o di scioglimenti dell’Assemblea. In altre parole, ad una pesante paralisi delle istituzioni.
Francia, la politica guarda alle elezioni di giugno
Data questa premessa è evidente che tutta la politica francese (ancora in piedi) brami di essere il vincitore del voto di giugno, almeno per cambiare i rapporti di forza in seno all’assemblea. A sinistra, dopo la delusione del primo turno – uniti avrebbero raggiunto il ballottaggio – si fanno tentativi di accordo. France Insoumise guarda ora al Partito socialista ma chiede «chiarimenti programmatici», e agli ecologisti con cui sembra essersi trovato un accordo. L’obiettivo è una grande (e storica) operazione di alleanza a sinistra. A destra si cerca di costituire un blocco, ma i suoi leader dalle personalità «ingombranti» (Zemmour, per non fare nomi) potrebbero frenare l’operazione.
Per capire come potrebbe andare la prossima chiamata alle urne proviamo a «studiare» l’elettorato del voto presidenziale. Mentre il voto per Macron aggrega i due estremi della piramide dell’età, una parte dei giovani e quasi tutti i pensionati, quello della Le Pen concentra la fascia media, ovvero una fetta molto ampia della popolazione attiva. Questo mostra l’entità del disagio che attraversa il mondo del lavoro. E i temi del lavoro sono il grande cavallo di battaglia di Mélenchon, che per Macron è una sfidante temibile almeno quanto Le Pen. All’indomani del voto ha affermato che la leadership di Macron «galleggia in un oceano di astensione, schede bianche e nulle», e che «la sua monarchia presidenziale sopravvive per impostazione predefinita».
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Chiudono il quadro i sondaggi delle elezioni in Francia. Come riporta il Sole24Ore i francesi non sembrano disposti a concedere una maggioranza a Macron: il 63% secondo un sondaggio OpinionWay e il 56% secondo una rilevazione Ipsos vogliono che il presidente sia costretto a una cohabitation con un primo ministro di altra estrazione politica. Solo, rispettivamente, il 35% e il 20% vogliono che ottenga una maggioranza per portare a termine il programma.
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