Jazz americano, jazz europeo e così via. Per me non esistono confini
per il jazz e neppure colore. Bianco, nero, giallo. Se un musicista sa suonare,
se conosce l’armonia e si esprime con swing, fa del jazz.
E lo fa in Asia, Russia o AmericaDuke Ellington
Andrè Coeuroy, in Histoire générale du jazz, afferma che Duke Ellington (Washington, 1899 – New York, 1974) è stato per il jazz quello che Sergej Diaghilev ha significato per il balletto russo: nell’arco della sua carriera, durata sessant’anni, ha dimostrato il suo talento di pianista, direttore d’orchestra e compositore toccando un panorama molto ampio di generi musicali tra cui il jazz, il blues, il gospel, le colonne sonore e la musica classica.
Abile pianista fin dall’infanzia, inizia a suonare professionalmente nei locali di Washington. Nel 1922, si trasferisce a New York per entrare nel complesso di Elmer Snowden, con un primo nucleo della futura band di Duke che al tempo comprende Otto Hardwick e Roland Smith alle ance, i trombettisti Arthur Whetsol e Bubber Miley, John Anderson al trombone, Snowden come suonatore di banjo e Sonny Greer alla batteria. Nel 1924, dopo l’abbandono di Snowden, Duke Ellington ne diviene il leader e nel 1926 Irving Mills ne diventa l’impresario, organizzando così tourneé, ingaggi e sedute di registrazione con un’etichetta importante, la Vocalion.
A novembre la band incide East St. Louis Toodle-O, considerato il primo “classico” di Ellington, e Birmingham Breakdown: «in quei giorni, praticamente tutto quello che scrivevamo era visto come un modo di dipingere qualcosa o di rappresentare un personaggio», come afferma Duke stesso anche se, in verità, questa strada è una costante perseguita durante tutto l’arco della sua carriera.
Nel 1927 l’orchestra ottiene la possibilità di esibirsi in uno dei locali più in vista di Harlem di proprietà di un gruppo di gangstar , il Cotton Club, in cui i bianchi si rifugiano in cerca di nuove emozioni. Al suo interno, il club si trasforma in una finta giungla ed il palco sembra una dimora signorile del Sud: gli spettacoli pseudo-africani prevedono esibizioni canore, balletti, «vergini della giungla» sommariamente vestite rapite da nubiani muscolosi. Risalgono proprio a questo periodo i brani in stile jungle, molto apprezzati dai bianchi, i quali guardano ai neri come creature semplici che vivono ancora in uno stato primitivo, come Black and Tan Fantasy, The Mooche e anche brani più intimisti quali Black Beauty e Mood Indigo.
Quest’ultimo in particolare, un jazz standard, scritto in soli quindici minuti da Duke Ellington mentre la madre è ai fornelli, grazie al suo debutto alla radio suscita grande interesse negli ascoltatori, tanto che Irving inizia ad aggiungervi le parole. Durante i primi anni la routine dell’orchestra comprende esibizioni al club, alle radio e i concerti estivi, mentre dalla mente creativa di Ellington continua a sgorgare musica originale. Egli persiste, infatti, a raccogliere riffs, frasi e sonorità dai membri del gruppo.
L’arrivo di nuovi membri costituisce una grande ondata di rigenerazione per l’orchestra: i nuovi arrivati sono Barney Bigard, che porta con sé una musica da clarinetto che accende immediatamente il genio creativo di Ellington. Johnny Hodges, sicuramente il più influente sassofonista del suo tempo, in grado di produrre una gamma di espressioni di suoni che vanno dal lento e sognante fino al calore più intenso, e il trombettista diciottenne Cootie Williams, che sostituisce Bubber Miley (il quale, a causa dei suoi problemi con l’alcool, è spesso assente) e apprende in fretta la tecnica della sordina e del gorgoglìo, essenziali per il popolare suono della giungla.
Inoltre, nel febbraio 1931, l’attraente e giovane cantante Ivie Anderson è il nuovo acquisto dell’orchestra. Sempre negli anni Trenta si uniscono il giovane pianista e compositore Billy Strayhorn, il più fedele collaboratore di Ellington, rimasto fino al 1967, anno della sua morte, il sassofonista Ben Webster e Jimmy Blanton, che suona il contrabbasso e che, fino alla morte per tubercolosi avvenuta nel 1941, ne rivoluziona la tecnica e la concezione, rivelandosi grazie a lui il motore dell’orchestra nonché strumento solista vero e proprio. Il suo modo di suonare è dinamico, la potenza e l’agilità della diteggiatura sono oggetto di invidia da parte di molti altri contrabbassisti. Gli anni del sodalizio musicale tra Ellington e Strayhorn, diventato ormai il suo braccio destro, sono sicuramente i più felici per l’orchestra. Duke, infatti, parlando del suo rapporto con il giovane Strayhorn, dichiara:
Io gli sono debitore per gran parte del mio coraggio dal 1939 in poi. Era il mio ascoltatore, il mio critico più attendibile… Quando si fa della musica, quando si deve decidere quale direzione debba prendere un brano, e quando ogni volta che mi domandavo quale soluzione, armonica o melodia si dovesse adottare, mi rivolgevo a Billy Strayhorn. Ne parlavamo insieme e tutto diventava più chiaro.
La celebre Sophisticated lady risale proprio al periodo degli anni Trenta: l’ispirazione arriva da tre maestre di Duke Ellington, le quali d’inverno insegnavano in America, mentre d’estate giravano l’Europa. Questo, almeno secondo lui, significava raggiungere l’apice della sofisticatezza. In origine è un brano strumentale, ma più tardi Irving Mills e Mitchell Paris aggiungono le parole alla melodia cadenzata che racconta di un triste amore perduto. Ellington apprezza il testo, anche se non aderisce del tutto all’idea originale, dal momento che la donna ritratta è mondana e alle prese con una vita lussuosa ed elegante, ma nasconde nella sua interiorità l’infelicità. Registrata nel 1933 con gli assoli del sassofonista Toby Hardwick, Barney Bigard, Lawrence Brown con il suo trombone e dello stesso Ellington al piano, in maggio entra in classifica rimanendovi per 16 settimane di seguito e raggiungendo il terzo posto.
Questi sono anche gli anni dei concerti a Londra e a Parigi, dove vengono accolti molto calorosamente dal pubblico e dalla critica europea. Ellington ricorda così quest’avventura: «L’atmosfera che trovammo in Europa, l’amicizia, il serio interesse dimostrato per la nostra musica dai critici e dai musicisti di tutti i generi ci infuse uno spirito nuovo e ci imbarcammo per tornare in patria pieni di euforia, solo in parte attribuibile allo champagne e al cognac».
All’inizio degli anni Quaranta la Duke Ellington Orchestra, la cui musica è costruita con maggiore sapienza armonica ed ha più swing, dà vita a una serie straordinaria di incisioni che costituiscono il vertice della musica del Novecento, nonché il contributo più grande di Ellington alla storia della musica afroamericana, come Jack the Bear, Ko-Ko, Concerto for Cootie, Sepia Panorama, Cotton Tail, Harlem Air Shaft e Take the “A” train, composta da Billy Strayhorn e registrata definitivamente nel 1941, che diventa la punta di diamante nelle esibizioni di Ellington.
Questa composizione viene utilizzata quando, nel 1940, la ASCAP (American Society of Composers and Publishers) aumenta le tariffe delle performance radiofoniche. Ellington recupera così il pezzo che Strayhorn ha cestinato poiché, secondo lui, è troppo nello stile di Fletcher Henderson. Il titolo Take the “A” train rimanda all’espresso “A” della metropolitana di New York, che va dall’estremo di Brooklyn fino ad Harlem e all’estremo nord di Manhattan, connettendo così i quartieri di colore più popolosi dell’epoca, ovvero Harlem e Bedford Stuyvesant. Il suo jazz standard è combinato con lo swing propulsivo degli anni Quaranta e la sofisticazione di Ellington: il testo allude alla élite di colore che abita a Sugar Hill, ad Harlem.
You must take the A Train
To go to Sugar Hill way up in Harlem
If you miss the A Train
You’ll find you’ve missed the quickest way to Harlem
Hurry, get on, now, it’s coming
Listen to those rails a-thrumming (All Aboard!)
Get on the A Train
Soon you will be on Sugar Hill in Harlem
L’orchestra utilizza il testo composto da Joya Sherril nel 1944, che a diciassette anni dalla sua casa di Detroit ascolta la canzone alla radio e ha l’ispirazione per comporre le parole. Il padre di Sherril, un attivista afroamericano, riesce ad organizzare un incontro con Ellington, il quale, impressionato, assume Joya Sherril come cantante. In questo periodo, inoltre, Ellington accetta la sfida del suo agente William Morris: presentare una suite alla Carnagie Hall. È così che nasce la sua opera più importante che illustra la drammatica storia dei neri in America, Black, Brown and Beige, eseguita per la prima volta il 23 Gennaio 1943.
Anche nei decenni successivi, nonostante i periodi di crisi che deve affrontare, Ellington continua fino alla fine della sua vita a dare il suo grande contributo al mondo della musica con concerti e nuove produzioni. Finché ha fiato, lavora con folle ostinazione e, sebbene i medici gli abbiano lasciato poche speranze, si rifiuta di credere di avere i mesi contati. Ma il 24 Maggio 1976, Duke Ellington cessa di vivere, e, quasi come un evento sovrannaturale, lo seguono qualche mese dopo anche Paul Gonsalves e il suo altro solista fidato, Harry Carey, che muore invece qualche tempo dopo Ellington. Della sua orchestra rimane ormai solo il nome e la direzione da parte del figlio: quel 24 Maggio con Ellington muore anche il suo sogno, che rimane, però, vivo nella storia del jazz e che si chiama The Duke Orchestra.
di Nicole Erbetti
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