Due di due: due nel senso di due nettamente diversi, due nel senso di due su due, quindi due che si completano. Questo è quello che sono i due personaggi del romanzo di Andrea De Carlo, pubblicato nel 1989, Mario e Guido. A raccontare è Mario, una voce narrante che vuole presentarsi come la più debole ma in realtà è probabilmente la più forte, la più appagata da quello che tiene in mano.
Mario e Guido sono due amici, lo diventano per caso ai tempi del liceo, dove si aggrappano l’uno all’altro, nel Sessantotto delle rivoluzioni politiche e culturali. Magri e perplessi, «così provvisori nelle nostre vite da stare a guardare come spettatori» si comportano in modo diverso: da un lato Guido, che fa l’intellettuale anarchico e il giovane rivoluzionario intenso e scocciato, dall’altro Mario, che lo segue come un’ombra e impara e annota, ma intanto riflette anche.
La classe borghese di una Milano che va stretta è il limite da cui Guido tenta di fuggire e che Mario invece utilizza come punto di appoggio momentaneo. Poi Guido cresce e scopre che bisogna fare tutto prima che sia troppo tardi e trascina Mario in una logica di rivoluzioni e sentimenti vissuti al massimo eppure mai veramente autentici: «Aveva questo modo di proteggere i suoi sentimenti sotto strati di cinismo e ironia: a volte ci riusciva così bene da farli languire nell’ombra finché erano perduti».
Se Mario è limpido e più deciso di quello che è disposto ad ammettere al lettore, Guido è opaco eppure facile da seguire negli spostamenti prevedibili delle sue azioni e delle sue sensazioni fino alla fine del romanzo. Se Mario narra con il suo punto di vista da testimone che però agisce e trova in qualche misura una sua vittoria personale, Guido fa la parte dell’eroe tragico che vorrebbe narrare ma non riesce mai a farlo fino in fondo con la sua stazza da scrittore barcollante tra successi e insuccessi continui.
Se Mario trova una sua dimensione nell’annullare tutto quello da cui è partito e rifare da capo con sacrificio e slancio propositivo, Guido si crogiola nella dimensione da cui vorrebbe uscire, senza mai di fatto impegnarsi per farlo, se non con la scrittura. Mario scrive infatti nella logica del racconto, ma paradossalmente è Guido quello che fa lo scrittore nella trama del romanzo, e questo non è un dettaglio scontato: è il personaggio di Mario a riuscire a mettere nero su bianco la storia, non quello di Guido.
In mezzo, tra l’adolescenza e la giovinezza matura, c’è il viaggio, come in tutti i classici romanzi di formazione, se così si può definire anche Due di due. Viaggio e sentimenti frantumati sia per Mario che per Guido, come nella più classica delle vicende di crescita, quasi fosse nelle storie raccontate un passaggio da dover per forza superare per iniziare una nuova vita: fare un viaggio e perdere un amore, possibilmente nello stesso periodo. E perché no, viversi una passione estiva, magari con due ragazze francesi.
Crescono così i due protagonisti continuando a perdersi e ritrovarsi: Guido che «si guardava intorno come se dovesse solo decidere cosa rubare ancora alla città e alla vita; che altre rivincite prendersi», Mario invece con un’altra partenza, questa volta senza l’amico, diretto a Istanbul ad autodistruggersi con droghe e salute cagionevole, come nel più tipico dei sessantotto, che nascondeva «la testa nella sabbia, e mi sembrava molto meglio che tenerla fuori».
Due di due è diviso a metà anche nella struttura, con uno stacco netto tra la prima e la seconda parte. La prima parte frenetica, di distruzione, di morsi alla vita e fughe, la seconda di scelte, di stabilizzazione, di radici o tentativi di mettere radici. È qui che si definiscono meglio le figure dei due protagonisti, la vera perla di questo romanzo nella loro duplice presenza e non singolarmente. Mario che finalmente fa il passo che l’amico aveva fatto tempo prima e cioè quello di distruggere e ricostruire e Guido che paradossalmente torna indietro. Mario, quello poco coraggioso, che prende coraggio e ricostruisce da zero una nuova vita e Guido che perde tutto il coraggio ostentato fino a quel momento e ricade nella trappola da cui era quasi uscito.
I ruoli si ribaltano e quello che prima era l’ombra passiva diventa l’unico ad agire autenticamente e apportare cambiamenti. O forse, semplicemente, Mario è sempre stato un personaggio forte che mostrava come uno scudo insicurezze e Guido è sempre stato un personaggio debole che ostentava come uno scudo sicurezze: l’uno scudo dell’altro. Il primo sceglie una vita nella natura lontano dall’idea rappresentata da Milano, due case da ricostruire, una donna simbolo di spontaneità di sentimenti e di fertilità, sacrifici e lavoro fisico. Il secondo sceglie una vita qua e là nelle città, più case già arredate, più donne simbolo di bugie e sentimenti opachi, un lavoro di scrittore mai appagante come unico sacrificio lavorativo.
Anche la scrittura infatti si inserisce in Due di due di De Carlo come un elemento di discussione e di frizione tra i personaggi: Guido che scrive ma non osa pubblicare, Mario e gli altri che lo spingono a farlo, Canemacchina che riscuote successo ma viene manipolato dalla cerchia materialista e ignorante degli editori e della pubblicità, le storie che cambiano a seconda dei punti di vista di chi le narra: «Guido diceva che non gliene importava più niente; che scrivere è un’attività per invalidi compiaciuti che sublimano nei libri la frustrazione di non riuscire a vivere».
A un certo punto si realizza un tentativo di avvicinamento: Guido inizia una relazione con la sorella della moglie di Mario, Chiara. Guido e Chiara, così diversi da Mario e Martina, cercano con grande sforzo di farsi simili a loro, a quel modello di vita e di maturità spontanea e passionale che sembra funzionare nei limiti dei sacrifici economici. Ma è solo un tentativo destinato a fallire che porta i due a dividersi con un bambino a metà e un divorzio logorante, niente di più distante dalla vita dell’amico: «Ho gridato a Guido di tuffarsi, ho battuto quasi con rabbia una mano sull’acqua. Lui ha alzato la testa, l’ha scossa appena; solo allora mi è venuto in mente che non sapeva nuotare».
E così l’epilogo di Due di due è inevitabile, preparato per il lettore da almeno metà del romanzo, eppure forte e scenografico. Spiega Mario, come in una sorta di morale della favola, che la maturità raggiunta può liberare o imprigionare a seconda di come si considerino le possibilità che la vita offre e la vaghezza del futuro e dei contorni di sé tutti da costruire, o la stabilità delle radici. Spiega Guido che non bisognerebbe mai fare troppo affidamento sull’immaginazione perché questa finisce per divorare tutti i terreni su cui le cose possono succedere per davvero. L’uno prigioniero delle circostanze, della mancanza di una relazione con il mondo, l’altro capace di costruire giardini (o muri travestiti da giardini) per non lasciarsi sfuggire le cose che contano. In qualche modo entrambi perdenti alla fine, soprattutto perché divisi, anche se uno sopravvissuto alla vita: «Ho cercato il punto preciso in cui ci eravamo fermati e ho guardato in basso come avevamo fatto allora, ed era strano vedere una casa sola dove ce n’erano state due».