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Angeli e cortigiane, le donne nel teatro dell’Ottocento

Tra la fine del Settecento e l'inizio del Novecento le donne diventano protagoniste delle storie che animano, in modo diverso, i teatri di Francia e Inghilterra. In che modo questo avviene?

3 minuti di lettura

Tra muse angelicate e frivole cortigiane, le donne nel teatro ottocentesco assumono diversi ruoli, talvolta agli antipodi tra loro. Dopo essere state escluse dalla scena nei secoli precedenti, le attrici, così come le ballerine e in generale le figure femminili che abitano o frequentano il teatro, diventano protagoniste non tanto del palcoscenico quanto delle storie che intorno a esso si raccontano. L’ambiente teatrale diventa specchio del secolo della rivoluzione industriale, durante il quale la società europea vive profondi cambiamenti che investono tutti gli ambiti della vita.

Tra teatro e letteratura

Quello che va dalla fine del Settecento ai primi anni del Novecento è un periodo caratterizzato da una particolare unità d’immaginario e di mentalità circa le donne e il teatro. È importante sottolineare come nell’Ottocento il teatro fosse diventato il divertimento per eccellenza, punto di snodo e d’incontro fondamentale di vari strati del tessuto sociale. Viene quindi a definirsi un linguaggio forte e codificato riguardo a questo ambito e a coloro che lo abitano e animano. Quello che conta ormai, più che gli spettacoli in sé, è il retropalco, ciò che accade ai protagonisti della scena, e più in particolare alle protagoniste. I camerini diventano salotti mondani, ulteriori piccoli palcoscenici e luoghi di promiscuità.

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Tali situazioni diventano ben presto i temi principali della nuova narrativa di quel secolo: i romanzi di appendice. Così come i film più “popolari”, la letteratura di consumo ha da sempre il vantaggio di esprimere in maniera immediata l’immaginario comune, gli stereotipi, le idee correnti, dando più direttamente l’idea di un’epoca rispetto all’eccezione che è il capolavoro. Il romanzo di appendice ottocentesco ha una prevedibilità di fondo, degli stilemi tipici. Sarebbe un errore pensare, però, che di questo genere si occupassero soltanto scrittori mediocri. Grandi nomi della letteratura, infatti, tra i quali Émile Zola, Honoré de Balzac, ma anche Giovanni Verga hanno in diverse occasioni narrato questo mondo, spesso con molto sarcasmo, avvicinandosi in alcuni casi a una sorta di denuncia.

Honoré de Balzac lo rende chiaro nel suo epistolario e nei suoi romanzi, con i quali cerca di svelare ciò che sta dietro le apparenze, lo spettacolo, la facciata perbenista non tanto del teatro quanto dell’alta società. La finzione è assimilata dallo scrittore alla recitazione, nel palcoscenico dell’esistenza. Sono le classi aristocratiche e borghesi, la società mondana a essere assimilate al teatro, molto meno l’ambiente popolare, che secondo l’autore finge solo per necessità e quando ha secondi fini.

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Dietro tutto questo c’è una polemica contro le sirene dell’età moderna, la corruzione della vita moderna, con la sua frenesia esaltata dai fautori del progresso, ma che i più conservatori vedono come un elemento corruttore dei costumi ma anche del fisico. Le trasgressioni che caratterizzano il teatro e tutto ciò che vi gravita intorno, però, portano la letteratura a diventare, con lo scorrere del secolo, via via sempre più morbosa, fino a divenire decadente all’affacciarsi del Novecento. Si vede una sorta di coazione a ripetere, con un immaginario conturbante, al limite della pornografia in alcuni casi.

Donne nel teatro tra Inghilterra e Francia

Il teatro diventa in questo periodo, in particolare in Francia, un vero e proprio ambito commerciale, un mercato importante di stampo capitalistico. Si passa in fretta dall’organizzazione precedente, un po’ artigianale e improvvisata, a un’industria culturale dello spettacolo. Ancora di più, però, il teatro assurge nell’Ottocento a metafora esistenziale. La nuova teatralità, come la nuova società, si basa sull’apparenza e sull’artificio. Bisogna allora chiamare in causa la Parigi della seconda metà del secolo, un ambiente dominato dall’ostentazione del lusso, dai viveur. Tutto si vive in modo teatralizzato. La scena rispecchia gli aspetti post-rivoluzionari per la Francia e quelli vittoriani per l’Inghilterra, due modelli agli antipodi: uno molto libero e spinto, l’altro puritano. Differenze di valori che il cosmopolitismo che prende vita alla fine dell’Ottocento non è in grado mitigare né tanto meno integrare.

Donne nel teatro

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Insieme alla satira, rivolta in particolare contro i divi e le dive teatrali, nasce il filone delle autobiografie romanzate. Di questo sconfinamento di generi sono protagoniste in prevalenza grandi attrici, come Sarah Bernhard, che scrivendo cercano di rivalutare e legittimare il proprio mestiere. Questo tipo di romanzo si diffonde principalmente in ambito anglosassone, quasi antitetico rispetto a quello francese. Gli autori e le autrici inglesi mantengono infatti una visione fortemente tradizionalista e maschilista, tipica dell’era vittoriana, scrivendo e mettendo in scena la donna sfortunata, costretta a diventare attrice per vivere ma che trova il proprio riscatto nel matrimonio. Nelle figure delle attrici francesi questa sorta di purificazione attraverso l’amore non sempre avviene e soprattutto non implica una scissione tra la sfera sentimentale e quella erotica. Quest’ultima, al contrario, non è nemmeno contemplata nella letteratura inglese, se non in relazione a donne perdute – le cosiddette fallen woman -, in quanto le protagoniste sembrano quasi creature angelicate, asessuate, il cui corpo viene lasciato fuori dalla narrazione. Il mondo dello spettacolo e dell’arte francese favorisce la narrazione e la diffusione della figura dell’attrice cortigiana, frivola, cocotte, che seduce con le sue doti femminili più che teatrali. Questa figura influenza, inoltre, le donne dell’alta società, in una trasmigrazione di segni che ben rappresenta l’importanza sempre maggiore che il teatro stava acquisendo.

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Rebecca Sivieri

Classe 1999. Nata e cresciuta nella mia amata Cremona, partita poi alla volta di Venezia per la laurea triennale in Arti Visive e Multimediali. Dato che soffro il mal di mare, per la Magistrale in Arte ho optato per Trento. Scrivere non è forse il mio mestiere, ma mi piace parlare agli altri di ciò che amo.

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