La sapiente mano di Masashi Kishimoto ha dato vita ad uno dei manga shonen più longevi ed iconici degli ultimi anni: Naruto.
Il lato interessante di quest’opera non corrisponde tanto ai frenetici combattimenti o alle ambientazioni spettacolari (che comunque contribuiscono a renderlo speciale), ma si trova nelle emozioni che, nell’arco di tutta la storia, saranno il suo pilastro portante; tra queste in particolar modo il dolore che, a tutti gli effetti, è il Deus ex machina di tutto il mondo creato da Kishimoto.
Cos’è il dolore?
Il dolore rappresenta il mezzo attraverso cui l’organismo segnala un danno tessutale. Secondo la definizione della IASP (International Association for the Study of Pain – 1986) e dell’Organizzazione mondiale della sanità, il dolore «è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno». Il dolore è fisiologico, un sintomo vitale/esistenziale, un sistema di difesa, quando rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tissutale, essenziale per evitare un danno.
Nel mondo di Naruto
Un aspetto fondamentale del dolore è la sua universalità. Roseline Rey afferma infatti che tutti proviamo dolore anche se non soffriamo allo stesso modo. Esso è una costruzione culturale e sociale: non assume lo stesso significato in ogni epoca e cultura. Questo aspetto all’interno dell’opera di Kishimoto viene specificatamente ripreso, poiché nonostante tutti i personaggi nell’arco della trama soffrano, lo fanno in maniera e per ragioni diverse: primo fra tutti è il protagonista, Naruto Uzumaki, che soffre per via della sua solitudine ma che, al tempo stesso, cerca in tutti i modi di farsi accettare dal proprio villaggio i cui abitanti, a loro volta, lo denigrano per via della sua condizione. Questa situazione ricalca la visione di Arthur Schopenauer, il quale affermava che la ricerca del piacere (la volontà di vivere) produce dolore che nasce quando la volontà di vivere si oggettiva nei corpi che, volendo vivere, esprimono una continua tensione, sempre insoddisfatta, verso quella vita che appare loro come mancante di quanto da loro desiderato. Quanto più si ha brama di vivere tanto più si soffre. Quanto più si accresce la propria vita arricchendola tanto più si soffre. Questa visione viene condivisa anche dal rivale di Naruto, Sasuke Uchiha, che ricerca il proprio piacere nella vendetta nei confronti del fratello, Itachi, ma nel farlo riceve un dolore ancora più grande che lo porterà ad una nuova ricerca del piacere che consisterà nel distruggere completamente Konoha.
Il dolore all’interno di tutto il manga diviene una forza generatrice che trasforma, manipola ed evolve tutti i personaggi, un Deus ex machina per l’appunto. Gli stessi antagonisti devono e cercano di confrontarsi con lui, come Madara Uchiha che, per combatterlo, punta a creare un mondo privo di sofferenza, facendo ricadere tutti gli esseri viventi all’interno di un’illusione, aiutato da Obito Uchiha, un uomo che per il troppo dolore nega la realtà stessa privandosi addirittura della propria identità per raggiungere il proprio scopo. Attraverso questi due personaggi, si può notare la volontà di trovare una via d’uscita dalla sofferenza che si sposa con la filosofia orientale, la quale afferma che l’unico modo per farlo è la rinuncia totale e volontaria della propria corporeità e, al tempo stesso, una smentita alla filosofia leopardiana dove la felicità, essenzialmente, è un’utopia.
Ma a contrapporsi a questa visione ritroviamo Naruto che, piuttosto di accettare un realtà effimera, ne preferisce una dove vi sia anche il dolore, poiché è strettamente collegato con il piacere, in linea con la filosofia di Friedrich Nietzsche, la quale affermava questo concetto, accostandovi l’iconica frase «Ciò che non mi uccide, mi fortifica».
Pain: la filosofia del dolore
Il personaggio che più di tutti ha un rapporto quasi simbiotico con il dolore è Pain, alias Nagato Uzumaki, che diviene quasi l’incarnazione stessa di quest’emozione. Celebre è il dialogo avuto con il suo maestro, Jiraya, avvenuto durante l’episodio 130 della serie Shippuden:
«Il dolore mi ha fatto crescere. Persino un ragazzino ingenuo ed infantile come me è stato costretto a maturare tramite la sofferenza. Alla fine il dolore domina tutto: pensieri e parole […]. Mi scusi maestro, ma lei è e rimarrà sempre un uomo mentre io, invece, tramite il supplizio eterno sono diventato qualcosa di superiore… Mi creda, ora non sono più un uomo: sono una divinità. Raggiunto questo livello, i pensieri e le parole acquistano un significato assoluto[…]. In questo momento, il mondo è ancora in fase di crescita, non si è ancora stabilizzato, e il dolore lo aiuterà a maturare. Ma per agevolare il processo di crescita e di consapevolezza, c’è bisogno della mano di un essere superiore. Il mondo adesso è come un bambino che ha bisogno del mio aiuto per crescere bene.»
Attraverso questo frammento di dialogo, si può evincere la volontà del personaggio nel portare agli estremi il carattere universale del dolore espresso da Rey. In particolar modo lo si può notare in maniera ancor più esplicita all’interno dell’episodio 162 dove, prima di distruggere Konoha, afferma che «il mondo conoscerà il dolore».
La figura di Nagato è una delle più complesse di tutto il manga di Kishimoto: un uomo che, in analogia con il cristianesimo, cerca di redimere l’umanità facendole vivere intensamente il dolore, poiché con esso l’uomo può scoprire le sue possibilità di crescita. Un personaggio che ha portato alla sua climax massima la filosofia di Nietzsche, fortificandosi a tal punto da divenire una divinità e che vuole imporre al mondo la sua visione. Visione che, tuttavia, verrà ostacolata e fermata da Naruto. il quale gli mostrerà che, in linea con il pensiero di Tommaso d’Aquino, attraverso la compassione reciproca tra gli uomini il dolore può essere alleviato e solo tramite questa si può raggiungere la pace.