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aerial view of a island
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Sul «divenire-isola» del pensiero

dalla newsletter n. 17 - Maggio 2022 di Frammenti Rivista

3 minuti di lettura

L’idea che vi sia un vettore d’influenza fra le conformazioni geografiche di un certo territorio e le genti, le società, le culture che in esso si sviluppano anima la modernità filosofica sin dalla sua origine. Moderno è ciò che discende dal regno dei cieli – eterno, sovratemporale, sempre uguale a se stesso – per entrare nel mondo terreno del mutamento, in cui la legge che determina la vita degli uomini è quella della trasformazione, della storia. L’immateriale divino s’infrange sulla concretezza dei rilievi umani e naturali. La decisione politica viene progressivamente a sostituire il vaticinio profetico, l’occhio che scruta il futuro si rivolge al presente, non più alla fine.  

Ma il presente è anzitutto incardinato su questo spazio che ora si rende manipolabile da chi vi abita: la Terra. E la Terra è fatta di rocce, vulcani, foreste, grotte, abissi, laghi, fiumi; ma anche di spazi entro i quali lo sguardo si perde e non può abbracciare, oceani, continenti. La Terra è fatta di climi che variano e che legittimano il raccolto o flagellano chi lo tenta, di propaggini abbandonate, di crepe create dal sole che batte. E anche di isole. 

Che pensiero produce un’isola, il divenire-isola di un pensiero? Dobbiamo arrischiarci a fotografare le condizioni che pur influenzando la formazione di un pensiero, tuttavia non la determinano in maniera univoca, ma piuttosto ne delimitano i contorni, le conferiscono uno stile. Il territorio fornisce un piano d’immanenza sul quale, deterritorializzato, emerge come un fumo il pensiero. Chiamiamo “insulare” il pensiero o la filosofia forgiata sull’onda di questa influenza. 

Come si caratterizza il pensiero-insulare?

Manlio Sgalambro l’ha chiamata “la legge dell’appartenenza“, riferendosi alla sua Sicilia: il richiamo feroce che innerva le carni di chi, uscitovi, sente il bisogno di rientrarvi. L’isola della Sicilia chiama a sé con forza e ostinazione, come la Ionia di Anassagora, chi vi nasce. Ecco un primo motivo: l’isola, staccata dalla terraferma, si fa terreno di radici più profonde: nascendo in un’isola, ci si trova già entro un orizzonte di alterità, si è già presi nel distacco che, con la formazione del sé, ci distingue dagli altri. Questo vale, a ben vedere, per ogni territorio: ma più profondamente per chi proviene dall’isola, che vincola e protegge dall’esterno ma chiede in contraccambio eterna fedeltà. Sappiamo quanto James Joyce non fece altro che tornare alla sua isola (l’Irlanda, Dublino) attraverso ogni riga dei suoi capolavori – da Dubliners sino, chia…

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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