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Dhuoda: ritratto di una donna medievale

In un'epoca fortemente legata alla religione e all'istituto del matrimonio la donna era chiamata innanzitutto a garantire la prole. Ma erano molti, variegati e unici i modi di vivere la maternità nel Medioevo. Sicuramente uno dei più anticonvenzionali fu quello di Dhuoda. Qual è la sua storia?

4 minuti di lettura

Nonostante al giorno d’oggi gli approfonditi studi sul Medioevo abbiano sdoganato molti preconcetti rispetto a questa epoca, molti ancora sono difficili da smantellare totalmente. Uno di questi è quello sicuramente legato alla famiglia medievale. In un’epoca fortemente legata alla religione e all’istituto del matrimonio, il ruolo della donna era primariamente quello di garantire la prole. In realtà sono molti, variegati e unici i modi di vivere la maternità nel Medioevo. Sicuramente uno dei più anticonvenzionali fu quello di Dhuoda, nobildonna franca del IX secolo che visse la maternità a distanza verso il figlio Guglielmo, ma per il quale dedicò fiumi di inchiostro ricchi di affetto e attenzione per il figlio lontano.

Dhuoda, una giovane donna tra rinascita culturale carolingia e lotte di potere

Le fonti inerenti alla vita di questa donna di nobili natali della metà del IX secolo sono piuttosto scarne. Non abbiamo certezza in merito al luogo di nascita, collocabile tra la Francia e la Catalogna. Nemmeno la paternità è ben identificabile, sebbene sappiamo appartenere ad una famiglia dell’élite nobiliare. Come generalmente accadeva ad ogni donna del Medioevo, la sua avventura cominciò ad assumere dei connotati storici più chiari nel giugno dell’824, quando nella capitale imperiale di Aquisgrana si sposò con Bernardo di Settimania, cugino di Carlo Magno.

La preparazione culturale di Dhuoda rispecchiava pienamente la grande stagione della rinascita carolingia, ma visse la maggior parte della sua vita nella fase successiva, quella dettata da sanguinose lotte di potere tra gli eredi dell’impero Ludovico il Germanico, Carlo il Calvo e Lotario.

A causa di queste lotte intestine che dividevano le famiglie aristocratiche, portandole a schierarsi tra i diversi eredi, Dhuoda dovette sottomettersi e accettare il suo destino di moglie e madre. Il marito, assente per le lunghe guerre, consegnò il primogenito Guglielmo come ostaggio all’imperatore Carlo il Calvo, per far ammenda dopo essersi schierato in battaglia al fianco del perdente Lotario.

Un manuale di educazione: il Liber Manualis di Dhuoda per Guglielmo

La mancanza del figlio Guglielmo, ostaggio presso la corte di Carlo il Calvo, non fermò Dhuoda dall’adempiere al proprio dovere materno di provvedere all’educazione del primogenito. A quel figlio lontano, la nobildonna non rivolse solo parole affettuose, ma si occupò di creare un vero manuale attraverso cui consigliarlo e fornirgli suggerimenti per muoversi nel pericoloso mondo della corte.

Il Liber Manualis, che per gli studiosi è il primo manuale di pedagogia, per Dhuoda era l’unico modo di far sentire la presenza al figlio. Quello che traspare dall’opera è l’attenzione verso il figlio e la preoccupazione di renderlo pronto ad affrontare le insidie dalla sua condizione di ostaggio. Infatti, vivendo alla corte reale, il giovane Guglielmo doveva dimostrarsi all’altezza con comportamenti degni del suo rango di aristocratico. Questo non valeva solo dal punto di vista morale e culturale, ma anche per aiutarlo a destreggiarsi in un contesto sfavorevole e pericoloso da ostaggio. Ogni passo falso poteva infatti rivelarsi fatale a causa dei dissapori tra la famiglia di Guglielmo e la casata reale.

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Con questo intento, il 30 novembre 841 cominciò a mettere per iscritto gli insegnamenti dedicati a Guglielmo, mentre era incinta del secondo figlio. Non solo una nobildonna colta, ma anche in possesso di sagacia, affidabilità e doti governative spiccate. Infatti, la stesura dell’opera venne terminata il 2 febbraio dell’843, mentre si trovava a Uzés, dove il marito l’aveva mandata per controllare un territorio strategico. Le date sono indicate con assoluta precisione dall’autrice, mentre non abbiamo informazioni se l’opera sia stata scritta di suo pugno o fosse stata dettata.

Man mano che proseguiva la composizione dell’opera nei suoi settantatré capitoli, Dhuoda delineò un vero e proprio modello di formazione e di vita per giovani d’élite laica, fondato sulla morale cristiana ed espressi con tono affabile e materno.

Basando gli insegnamenti sulla fedeltà, enunciava criteri di perfezionamento spirituale che miravano anche al benessere terreno. Tutti questi precetti, ricavati dalla Bibbia e adattati alle specifiche circostanze, mettono in luce come l’autrice non avesse un rapporto passivo con i testi utilizzati, ma sapesse adattarli all’insegnamento che si proponeva di trasmettere.

Lasciare un’impronta come madre

Questo è un esempio unico nella letteratura medievale tra gli specula, ovvero gli scritti di carattere pedagogico. Nato dalla contingenza di impartire lezioni utili e consigli ad un figlio che si sta facendo largo nel mondo adulto, sicuramente rivela molto anche della sua autrice. Tra le pagine troviamo le molte sfaccettature che caratterizzarono la figura di Dhuoda. Non solo una nobildonna che si muove in un’epoca di violenze e sopraffazioni, ma anche una madre preoccupata che in qualche modo vuole lasciare la sua impronta.

Le considerazioni politiche si mescolano anche nel dolore di vivere la separazione dai propri figli, su cui riflette attraverso parole molto sincere:

La maggior parte delle madri di questo mondo può godere della vicinanza dei suoi figli, mentre io, Dhuoda sono tanto lontana da te, figlio mio Guglielmo, e perciò in uno stato d’ansia acuito dal desiderio di esserti utile. Ecco perché ti invio quest’opuscolo scritto a mio nome, affinché tu lo legga ai fini della formazione; sarò felice, se pur essendo io assente fisicamente, proprio questo libretto ti richiamerà alla mente […] ciò che devi fare secondo le mie direttive

Dhuoda, Liber Manualis (In M. G. Muzzarelli, Madri, Madri mancate, quasi madri – sei storie medievali, La terza 2021)

La profonda cultura e la capacità scrittoria di Dhuoda traspaiono non solo dal contenuto, ma anche dalla modalità di trasmettere i precetti. Sebbene la maggior parte degli scritti sia di carattere morale, altre parti invece manifestano la profonda conoscenza matematica dell’autrice. Inserisce tra questi anche acrostici, calcoli matematici, esercizi complessi per rafforzare spiegazioni allegoriche.

L’opera di Dhuoda si configura quindi come un’opera sfaccettata attraverso cui stimolare la mente del figlio perché si impegni ad accrescere ogni giorno le sue conoscenze culturali. Tutto questo con uno sguardo e un animo rivolto verso i due poli fondamentali: la fedeltà a Dio e al sovrano, mettendo in pratica comportamenti positivi, controllati e rivolti all’affermazione del proprio valore morale.

Un esempio unico nel Medioevo

Dhuoda non ebbe mai la possibilità di riabbracciare l’amato figlio: il giovane Guglielmo e il marito Bernardo vennero giustiziati per tradimento da Carlo il Calvo. Fu il secondogenito, Bernardo, ad avere una sorte migliore. Passato alla storia come Bernardo III di Tolosa detto Piede di Velluto, duca di Settimania e conte di molti altri territori, portò avanti i valori della madre Dhuoda.

Quest’opera, che per gli studiosi rappresenta uno dei più importanti esempi di letteratura pedagogica realizzato da una donna nel Medioevo, non rappresenta un unicum, ma è certamente una delle testimonianze più importanti. Dhuoda nonostante la sua condizione di madre lontana dal figlio, non rinunciò a far sentire la sua voce nella formazione, cercando di stabilire un modello che sarebbe diventato uno di quelli fondamentali nell’educazione di un’élite laica aristocratica.

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Eleonora Fioletti

Nata tra le nebbie della pianura bresciana, ma con la testa tra le cime delle montagne. Laureata in Filologia moderna, si è appassionata ai manoscritti polverosi e alle fonti storiche. Nel tempo libero colleziona auricolari annodati, segnalibri improbabili, eterni esprit de l’escalier, citazioni nerd e disneyane da usare in caso di necessità.

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