Già da anni l’accesso alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni è riconosciuto come un diritto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e ad oggi più di 90 Paesi democratici si sono dotati di strumenti normativi che ne garantiscano l’attuazione. L’Italia, in forte ritardo rispetto al resto dell’Occidente in materia di trasparenza della pubblica amministrazione, non è nella lista.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva fatto della trasparenza delle istituzioni un punto centrale del programma con cui si era presentato al congresso del Partito Democratico, ed oggi che guida il Consiglio dei Ministri sembra che finalmente qualcosa si stia muovendo: con l’approvazione della riforma della Pubblica Amministrazione lo scorso 4 Agosto il Governo ha ricevuto dal Parlamento il mandato di scrivere entro sei mesi un decreto che regoli l’accesso da parte dei cittadini ai documenti, alle informazioni e ai dati in mano alle autorità pubbliche, e sulla spinta dell’attivismo delle associazioni italiane che lavorano sulla questione (e che si sono unite nell’associazione foia4italy) il Parlamento ha portato avanti due paralleli testi di legge che sono poi confluiti nella Legge delega per la Riforma della Pubblica amministrazione.
Lo scorso 20 Gennaio il Consiglio dei Ministri ha varato una prima versione del “Decreto Trasparenza” (testo completo), che mira ad essere il “Freedom of Information Act” (FOIA) italiano ed a colmare il gap normativo che divide il nostro Paese dal resto delle democrazie avanzate (la legge in vigore, la 241/1990, risale a sedici anni fa).
Il testo varato dal Governo ci pone davvero di fronte ad un punto di svolta nel rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, oppure rischiamo di subire la beffa dell’ennesima occasione mancata?
Il “Freedom of Information Act”: cos’è, a cosa serve – Avere accesso ai dati (atti, documenti, informazioni) posseduti dalla pubblica amministrazione è non soltanto un’esigenza di giornalisti ed esperti, ma soprattutto un fondamentale presupposto per l’esercizio della libertà di espressione e della partecipazione democratica. Il diritto di accesso alle informazioni della PA è disciplinato da norme conosciute internazionalmente come “Freedom of Information Acts” (FOIA): in base ad esse la pubblica amministrazione ha obblighi di informazione, pubblicazione e trasparenza e i cittadini hanno diritto a chiedere ogni tipo di dato che non sia in contrasto con la sicurezza nazionale o la privacy.
L’importanza delle norme sulla trasparenza della pubblica amministrazione è sottolineata dall’associazione foia4Italy: «Con il FOIA puoi sapere a che punto sono i piani per gli asili nido del tuo comune, ma anche dove sono gli investimenti promessi per contrastare la violenza domestica e avere dati certi sulla situazione sanitaria nella tua zona. Puoi sapere quanti sono davvero gli esodati; conoscere finanziamenti, incarichi e conflitti di interessi di eletti e dirigenti pubblici. Con il FOIA potresti scoprire la corruzione che si cela dietro a un appalto prima che sia troppo tardi, per evitare gli enormi sprechi e ritardi che abbiamo visto negli ultimi anni. Ma più semplicemente, il FOIA ti serve quando vuoi sapere a che punto è la tua richiesta di visita specialistica all’ospedale o quando non sai perché il tuo permesso di soggiorno tarda a essere rinnovato. Il diritto di accesso è fondamentale per tutelare i tuoi diritti nei confronti della pubblica amministrazione, conoscerne l’operato, pensare migliori politiche pubbliche, analizzare problemi sociali ed economici, contrastare corruzione e criminalità organizzata».
A partire dalle linee guida di policy stilate dall’OCSE, la stessa foia4Italy elenca 10 punti irrinunciabili in mancanza dei quali non si può parlare di un vero e proprio “FOIA”:
- il diritto di accesso ai dati della Pubblica Amministrazione deve valere per tutti ed essere privo di obbligo di motivazione (eliminando le restrizioni previste dalla legge 241/1990);
- il diritto di accesso deve avere ad oggetto tutti i documenti, gli atti, le informazioni e i dati formati, detenuti o comunque in possesso di un soggetto pubblico;
- il diritto di accesso deve applicarsi non solo alla Pubblica Amministrazione, ma anche alle società partecipate ed ai gestori dei servizi pubblici;
- devono essere previsti tempi rapidi (massimo 30 giorni) per l’obbligo di risposta da parte della Pubblica Amministrazione;
- l’elenco delle eccezioni, in base alle quali la Pubblica Amministrazione può negare l’accesso, deve essere formulato in modo chiaro (non passibile, cioè, di interpretazioni eccessivamente discrezionali) e tassativo;
- l’accesso ai documenti in formato informatico deve essere gratuito;
- nel caso di atti e documenti analogici, deve poter essere richiesto soltanto il costo di riproduzione ed eventuale spedizione (non deve, cioè, essere applicato alcun costo ulteriore a quello effettivamente sostenuto);
- quando un’informazione è stata oggetto di almeno tre distinte richieste di accesso, l’amministrazione deve pubblicare l’informazione nella sezione “Amministrazione Trasparente”;
- in caso di accesso negato, i rimedi giudiziari e stragiudiziali devono essere veloci e non onerosi per il cittadino;
- devono essere previste sanzioni per la Pubblica Amministrazione che neghi illegittimamente l’accesso ai dati.
Il “Decreto Trasparenza”: un’occasione mancata? – Il “Decreto Trasparenza”, approvato preliminarmente dal Consiglio dei Ministri il 20 Gennaio scorso, ha raccolto pareri (consultivi e non vincolanti) molto critici da parte sia del Consiglio di Stato sia di Anac e della Conferenza Stato – Regioni, oltre che del Garante della Privacy preoccupato della scarsa protezione dei dati sensibili.
Il giudizio su cui associazioni ed istituzioni si trovano d’accordo è quello secondo cui si tratta di un testo di legge che pone in essere una sorta di “burocrazia difensiva“: un complesso normativo che, pur nell’enunciazione preliminare di un giusto principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione e nell’introduzione di un vero e proprio diritto del cittadino all’accesso ai dati (una novità, dato che la legge 241/1990 prevede la necessità che il richiedente abbia un interesse “diretto, concreto e attuale”), in realtà rende tale accesso più farraginoso e complesso e rischia dunque di ottenere un risultato opposto a quello di un “Freedom of Information Act“.
In particolare, le critiche al testo varato dal Governo vertono su sei punti fondamentali:
- le pubbliche amministrazioni possono continuare ad applicare il silenzio-diniego senza bisogno di motivazioni, rendendo molto aleatoria la garanzia del diritto di accesso: se l’ufficio amministrativo in questione non risponde entro 30 giorni, la richiesta decade automaticamente e non c’è alcun obbligo di motivare il rifiuto;
- non sono previste adeguate sanzioni in caso di accesso illegittimamente negato o di mancata risposta;
- le eccezioni all’accesso sono scritte in modo vago, lasciando troppo spazio all’interpretazione discrezionale e quindi a possibili controversie legali;
- non è previsto che l’accesso ai documenti informatici sia sempre gratuito e non sono indicati precisamente i costi che potranno essere richiesti al richiedente (es. per riproduzione e spedizione);
- non è previsto alcun rimedio stragiudiziale e si rimanda a rimedi giudiziari, ovvero il ricorso ai Tar, spesso lenti e sempre onerosi;
- non è abrogata la norma che vieta il controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione, in contrasto con la missione del testo di favorire il controllo diffuso da parte dei cittadini.
In settimana, gli scorsi martedì e mercoledì, le Commissioni agli Affari Costituzionali di Camera e Senato hanno discusso il testo di legge e ricevuto i pareri di associazioni della società civile e parti istituzionali. Come confermato in un post su Facebook dallo stesso Ministro alla Semplificazione ed alla Pubblica amministrazione Marianna Madia, il Governo recepirà le richieste di modifica in materia di silenzio-diniego e procedure di rimedio stragiudiziali: per quanto riguarda il primo punto, nella prima formulazione del decreto le pubbliche amministrazioni non erano tenute a motivare l’assenza di risposta, e la richiesta decadeva automaticamente al trascorrere di 30 giorni; il silenzio-diniego, come suggerito da Anorc, è stato sostituito con un espresso rifiuto con obbligo di motivazione. Relativamente al secondo punto, invece, le modifiche dovrebbero eliminare l’onere per i cittadini di pagare di tasca propria un avvocato e di appellarsi ai Tribunali Amministrativi Regionali nel caso in cui le loro richieste non vengano soddisfatte secondo la legge. Nessuna menzione, tuttavia, agli altri aspetti critici del testo, che dunque rischiano di essere confermati nell’impianto della legge su cui si esprimerà definitivamente il Consiglio dei Ministri.
Sono giorni decisivi per il FOIA italiano: il rischio è di non fare lo scatto decisivo verso la trasparenza della pubblica amministrazione, e di restare indietro rispetto al resto dei Paesi democratici. Non resta che aspettare la versione definitiva del “Decreto Trasparenza”, che il Consiglio dei Ministri dovrebbe varare entro fine Aprile.
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