Se potessimo dare un consiglio allo statico Cristian Grey (il presunto seduttore perverso delle ormai celebri 50 sfumature), non esiteremmo a invitarlo ad andare a lezione dal Marchese de Sade. Viene da chiedersi, infatti, se la sua madrina E. L. James, prima di dar vita a quell’Harmony in salsa piccante, abbia fatto una breve ricerca bibliografica per rintracciare eventuali precedenti della materia che si apprestava a trattare e che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto costituire una novità scandalosamente attraente.
Di certo, la signora dell’eros inglese sembra aver ignorato i testi di quel Divin Marchese (la definizione è di Breton) che con la sua condotta assolutamente spregiudicata ha dato, tra le altre cose, il nome ai “giochini” che tanto eccitano il macho Grey.
Il sadismo
Il sadismo, deviazione sessuale consistente nel trarre piacere dall’infliggere dolore e umiliazioni ad altri soggetti, è infatti il marchio di fabbrica di Donatien Alphonse de Sade, scrittore settecentesco con una storia di sesso e violenza alle spalle da far sembrare il nostro Christian un perfetto novellino. A lungo considerato un sordido pornografo, de Sade ha scandalizzato la società dell’epoca inneggiando alla libertà e al soddisfacimento delle più recondite pulsioni sessuali che, senza timori o inibizioni, conducono al godimento più assoluto e spontaneo.
Per comprendere l’universo di perversione che informa l’opera e la vita del Marchese, basterebbe avventurarsi nella visione di Salò o le 120 giornate di Sodoma, pellicola di Pier Paolo Pasolini liberamente tratta dall’omonimo romanzo desadiano e pullulante di libertini dissennati, atti di crudele sodomia, incesti, torture e pratiche sessuali estreme. Qui come altrove, con un linguaggio ai limiti dell’osceno, il Divino restituisce e ricrea le innumerevoli sfumature della perversione sessuale dando vita a ritratti impietosi in cui la morale e il senso del pudore sembrano non avere posto e la sola, e unica legge, risulta essere quella della trasgressione senza limiti.
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Alla base della sua opera, e della sua condotta, sta l’idea che il piacere presenti forme e modalità molto particolari per essere raggiunto e, ancor prima che Grey ci mostrasse la sua stanza dei frustini, de Sade trova il modo di metterlo su carta: «sfortunatamente devo descrivere due libertini; aspettati perciò particolari osceni, e scusami se non li taccio […] quando il vizio si trova alla portata del mio pennello lo traccio con tutte le sue tinte, tanto meglio se rivoltanti». (Aline e Valcour, 1793)
De Sade: disgusto e piacere
Non si può negare che dinnanzi a certe narrazioni il senso di disgusto prenda il sopravvento, tanto più che il Marchese tratta del piacere come fosse ossessione, un comandamento cui obbedire mediante pratiche che non si oserebbe confessare neanche a se stessi davanti allo specchio; eppure, tutto risulta funzionale alla messa in scena dell’erotismo più estremo. Protagonista egli stesso di avventure dissolute, dal fondo del suo ateismo de Sade ribalta quella prospettiva religiosa della mortificazione della carne atta alla purificazione dello spirito; se sofferenza dev’esserci, che sia almeno finalizzata al godimento sensoriale.
Quale ruolo abbia poi la donna in questo contesto resta comunque tutto da definire: si presenta come mero oggetto sessuale o è essa stessa protagonista di uno spettacolo dalle tinte fortemente calde? A lungo tacciato di misoginia, de Sade è stato poi riabilitato da studiose del calibro di Angela Carter che, in protagoniste come la scaltra Juliette, hanno visto l’incarnazione del «diritto ad una sessualità libera anche per le donne».
Probabilmente, a differenza di Anastasia, vergine iniziata al sadomasochismo da un presunto Marchese 2.0, l’eroina de La prosperità del vizio, uno come Christian Grey non l’avrebbe mai accolto nel suo talamo. E se per de Sade può esserci riabilitazione, per E. L. James c’è, forse, solo amara compassione.
Immagine di copertina: www.sciencephoto.com
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