La legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo, dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati è approdata al Senato, dove il suo iter potrebbe essere più complicato.
DDL Zan: la platea di chi lo critica (anche a sinistra)
Nella discussione pubblica di questi mesi, è emersa una polarizzazione tra chi era fortemente a sostegno del provvedimento e chi lo avversava in toto. Come spesso accade rispetto ad argomenti attinenti ai diritti e le tutele, i mass media prediligono lo scontro «sanguinoso» invece della più corretta rappresentazione di tutte le posizioni in campo. Per il movimento LGBT e i partiti di governo (Pd, M5S, LEU) è stato facile conquistare un quasi unanimismo nell’opinione pubblica, invogliato da tutti i grandi canali social e tv, contrapponendosi alle insopportabili posizioni di Pillon e Adinolfi. Ciò non toglie che diversi gruppi femministi e persone di plurali esperienze, tutte riferenti al progressismo e alle battaglie civili, abbiano criticato fortemente l’impianto dell’articolato.
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Si sta insomma consumando dentro l’area vasta del centrosinistra sociale e politica un conflitto, liquidato dai sostenitori più esagitati della legge tout court come frutto di residuali minoranze, persino omofobe e transfobe. La ferocia con cui si è rappresentato il dissenso non depone a favore di chi si ritiene paladino del superamento di ogni forma di discriminazione. Tutto questo appare molto avvilente, perché ancora una volta la sinistra politica, senza alcuna capacità di elaborazione autonoma, si è affidata alle posizioni, legittime, dei movimenti, non tenendo assolutamente in conto il pensiero di persone che, spesso per decenni, si sono impegnate su questi temi.
Il tema dell’identità di genere
Il testo, più volte rimaneggiato, si è via via appesantito di fattispecie (ovvero di categorie da tutelare). In un primo tempo si volevano contrastare le violenze e discriminazioni in ragioni del genere, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere. In corsa si è aggiunto il termine sesso, (unica concessione alle dure reazioni di associazioni femministe) per chiarire meglio, ma non risolvendo la contestazione sull’uso di «identità di genere». Su questo punto appare comprensibile che la stragrande maggioranza delle persone non abbia capito l’oggetto del contendere, schierandosi così decisamente con gli estensori della legge. Forzatamente bisogna semplificare: l’identità di genere è oggi (non così fino a pochi anni fa) una definizione usata in molti paesi per accreditare che ognuno e ognuna possa percepirsi come vuole, così da autodeterminarsi, a prescindere dal sesso biologico, uomo o donna.
Nessuno può immischiarsi rispetto al desiderio di autorappresentazione. Il conflitto nasce quando queste persone pensano che lo Stato debba assecondare, senza nulla questionare. Un uomo e una donna transgender devono essere uguali per la legge alle donne e uomini biologici, ma non sono allo stesso tempo differenti? Porsi questa domanda, che trascina con sé una vera e propria contrapposizione di visioni etiche, significa sottolineare una minorità delle persone trans o invece è essere rispettosi delle peculiarità e identità di tutte e di tutti? Il legislatore ha voluto schierarsi rispetto a questa diatriba (aggravando lo scontro ideologico aggiungendo alla definizione sesso: biologico e anagrafico). Inoltre è ancora un mistero perché si sia aggiunta la misoginia come fattispecie, ciò a dire che le donne, che sono la maggioranza della popolazione, devono essere tutelate come una minoranza. Perché, infine, non si è voluto recepire la richiesta, avanzata da numerose donne, di scrivere transfobia invece di identità di genere, il che avrebbe quasi annullato il conflitto?
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Questa ricostruzione tiene conto di un dibattito culturale che sta infiammando l’intero Occidente e non è destinato a sopirsi. Chi rappresenta chi, quali siano le identità coincidenti, simili, lontane, sono questioni che apparentemente interessano gli accademici, ma in verità avranno ricadute sulla vita concreta di tutte e tutti noi. Appiccicare cartelli denigratori virtuali a chi chiedeva e, continua a chiedere, di discutere e correggere alcuni estremismi ideologici del provvedimento, non affronta la sostanza del contendere: quali sono i valori fondanti della sinistra italiana del presente e del futuro? Su maternità surrogata, prostituzione, tutela dei minori, adozioni, educazione sentimentale e sessuale, stereotipi sessuali, c’è una visione o si naviga a vista?
La legge sull’omotransfobia è necessaria, ed è auspicabile che sia presto approvata, seppur modificata. Dobbiamo soprattutto pensare ai ragazzi e alle ragazze che subiscono violenze e abusi in famiglia, a scuola, tra i pari. Per questo la costituzione di centri anti violenza e strutture protette è urgentissima; si tratta del vero e sostanziale strumento di azione che questo provvedimento positivamente introduce.
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Poi, appunto, la legge contiene tante, troppe affermazioni di principio – alcune condivisibili altre assai ambigue, rispetto al quale c’è ancora tempo per intervenire, correggendo quelle più discutibili.
Avranno il coraggio le senatrici e i senatori del centrosinistra e del Movimento Cinque Stelle di ascoltare le voci dissonanti di quelle persone che vogliono la legge, e che sono state ignorate dai loro colleghi a Montecitorio?
Aurelio Mancuso, Presidente Equality Italia
Foto in apertura: in Sussidiario.net
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