Molto spesso, trovandosi di fronte ad un capolavoro cinematografico, non ci si interroga su quale sia stata la genesi ideologica e meditativa che ha portato alla realizzazione di tale progetto. Ma in molti casi, soprattutto quando si parla di grandi maestri del cinema come Alfred Hitchcock, il processo creativo ha origini complesse e ben radicate, che affondano le loro radici nel mondo dell’arte e della letteratura. Particolarmente affascinante è il caso di Vertigo (La donna che visse due volte, 1958), la cui storia può considerarsi l’apice di una lunga gestazione intellettuale. Infatti, non solo Vertigo si ispira al romanzo francese D’entre les morts (La donna che visse due volte, 1954) di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, ma quest’ultimo è a suo volta il recupero reinterpretato di un meno noto, ma non per questo meno splendido, romanzo simbolista dello scrittore belga Georges Rodenbach, Bruges-La-Morte (Bruges la morta,1892).
La storia, in tutte e tre le opere, ha come punto focale la perdita della donna amata da parte del protagonista che, nel bel mezzo della sua più completa disperazione, si scontra con quella che appare come una copia perfetta e speculare della diletta scomparsa, che diviene ossessione, croce e delizia del protagonista.
In Bruges-La-Morte, la più raffinata e meravigliosamente decadente del trittico, Hugues Vian è un giovane uomo benestante, cupo e mesto in seguito alla morte dell’adorata moglie Ofelia, che egli onora con un reliquiario domestico fatto di ninnoli e di una lunga treccia dorata protetta in una teca di vetro come i capelli di una santa. Trasferitosi a Bruges, gioiello delle Fiandre, per immergersi nella sua immobilità cinerea, egli incontra per strada l’attrice Jane Scott, volgare ma fedele imitazione della moglie, che egli abbiglia e acconcia a suo piacere, senza mai riuscire a soddisfare il suo mortale desiderio. Tra riflessioni metafisiche è una città che si staglia come paesaggio idealizzato della sua psiche, Vian si adagia su questa relazione come i cigni sulle acque di Bruges. Portato all’esasperazione dall’insulsa mediocrità del simulacro, Hugues si libererà di quest’ombra offensiva strangolandola con l’aurea capigliatura del suo nobile angelo, durante una floreale e sepolcrale processione i cui canti attutiscono il frastuono di un’anima che se ne va.
Dai toni opalescenti e gemmati di questo piccolo capolavoro, si passa a quelli noir e quasi polizieschi degli “Agatha Christie” valloni, Boileau e Narcejac, che nel loro romanzo trovano un tramite verso il geniale Alfred Hitchcock. In una Parigi ante-guerra, l’ispettore Roger Flavières, dopo essersi congedato a causa della sua acrofobia (ovvero la paura dell’altezza), viene ingaggiato da un vecchio compagno di università, Paul Gévigne, affinché egli ne segua la moglie Madeleine, apparentemente tormentata dalle visioni di uno spirito d’oltretomba. Madeleine sembra infatti perseguitata dall’infera presenza di un’antenata, Pauline Lagerlac, morta suicida, che pare la istighi a porre fine alla sua vita. Dopo averla salvata da un annegamento ed essersene perdutamente innamorato, Flavières non riuscirà a raggiungere Madeleine sulla vetta di un campanile, a causa delle incontrollabili vertigini, dal quale ella si getterà. Dopo la guerra, ormai preda dell’alcolismo, Roger conosce Renée Sourange, la “Madeleine rediviva”, e la costringerà ad emulare la morta senza sapere di averla davanti, inconsapevole del complotto da lei ordito insieme all’amante Gévigne per liberarsi della di lui consorte.
Con i volti e le superbe interpretazioni di James Stewart e Kim Novak, Vertigo riprende il romanzo trasponendolo nella vertiginosa San Francisco, dove nasce l’amore fra John “Scottie” Ferguson e la stregata Madeleine Elster, Judy Barton nel suo al di là da palcoscenico, e sebbene il film rispecchi esattamente il romanzo, il tocco geniale del maestro del cinema non si nasconde agli spettatori attenti, e colpisce per la sua inventiva coloro che ne conoscono l’antenato letterario; se nel romanzo infatti Roger strangola accidentalmente l’amata (reminiscenza simbolista presa da Rodenbach), in Vertigo Kim Novak precipita dallo stesso campanile da cui Scottie credeva di non averla salvata, in un impeto di rimorso e terrore.
Il senso di visione, la distorsione della realtà che si trasfigura in una perfetta messinscena esistenziale, è compatibile se non imprescindibile al senso di vertigine, al turbine fobico di coincidenze che travolgono i protagonisti lasciandoli intontiti come sulle vette di grattacieli vertiginosi. Attraverso un filo sottile che lega indissolubilmente i tre lavori, La donna che visse due volte è un’esperienza in divenire, da scoprire progressivamente, come una meticolosa e quasi archeologica ricerca di reperti funzionali alla costruzione di un’opera unica, indivisibile, che costituisce uno dei più magistrali e ben riusciti lavori di tutti i tempi, in una reinterpretazione che attraversa il tempo e con una metafora di eterno ritorno che si esaurisce in un unico e drammatico addio.