Un futuro sempre diverso, più o meno prossimo, in cui i limiti degli esseri umani sono stati superati grazie all’invenzione di nuove tecnologie. La trasposizione contemporanea del mito di Dedalo e Icaro che, per scappare dal palazzo di Cnosso, costruiscono due paia d’ali e si lanciano in volo.
Ecco cos’è Black mirror, serie televisiva britannica prodotta da Charlie Brooker iniziata nel 2011 ed arrivata in italia l’anno seguente. Come ci suggerisce il titolo, traducibile appunto come Schermo nero, la serie è incentrata sulle sfide e i problemi generati dall’uso delle nuove tecnologie, alcune già esistenti, altre che si immagina esisteranno in futuro.
Effetti collaterali
Il tema centrale sono, insomma, i cosiddetti effetti collaterali: immaginiamo di voler fare qualcosa che per nostra natura ci è impossibile: prima o poi, tra dieci o mille anni, esisterà probabilmente la tecnologia adatta a riuscirci. Ma così come le ali di cera di Icaro si sciolgono al sole, lasciandolo in caduta libera verso l’ignoto, così ogni altra creazione umana resta nient’altro che uno specchio della nostra imperfezione. Episodio dopo episodio, con personaggi sempre nuovi e ambientazioni differenti, Black mirror ci ricorda chi siamo, che cosa vogliamo e di cosa abbiamo paura.
Dopo l’acquisto dei diritti della serie nel 2015 da parte di Netflix, la piattaforma ha rilasciato due stagioni da sei episodi ciascuna, una nel 2016 e l’ultima, la quarta stagione, nel 2017. Ci soffermiamo a parlare di quest’ultima in quanto, non solo è la più recente, ma anche in generale la più criticata tra le quattro.
Gli episodi
Gli episodi sono sei e, come al solito, non c’è alcuna connessione tra uno e l’altro. Durano all’incirca cinquanta minuti ciascuno e si possono vedere senza un ordine particolare (nonostante sia ovviamente preferibile mantenere quello scelto dalla produzione).
USS. Callister:
Robert Daly è il capitano di un’astronave spaziale, guida l’equipaggio alla vittoria missione dopo missione con coraggio e grande dedizione. Le cose si complicano però quando a bordo della nave sale una nuova recluta. Forse, dopotutto, le cose non sono davvero come sembrano. Una nuova storia sul tema della digitalizzazione della coscienza, tanto amato da Brooker (quanto dai fans della serie).
Arkangel:
Per ogni madre, quella di perdere il proprio bambino è una paura ricorrente. Grazie ad un nuovo dispositivo sperimentale, diventa possibile controllare ogni movimento dei propri figli, e non solo. Questo episodio, in cui la regia è affidata a Jodie Foster, racconta la differenza sottilissima che troviamo tra l’istinto materno e la mania di controllo.
Crocodile:
Un’investigatrice assicurativa sta cercando di raccogliere i ricordi di tutti coloro che hanno assistito ad un incidente per capire precisamente com’è andata, mentre Mia, una dei testimoni, vuole tenersi stretto il suo segreto. Viene da chiederci, se i nostri ricordi fossero tutti conservati dentro una sorta di hard disk della mente, ci sentiremmo a nostro agio a mostrarli agli altri?
Hang the DJ:
Un’app di incontri sceglie non solo i partner ideale di ciascuno, ma anche la data di scadenza delle relazioni. Dopo essere stati abbinati dal sistema, Frank e Amy iniziano pian piano a dubitare del suo funzionamento. Una storia a lieto fine che si interroga su quel “quanto può durare?” che tutti conosciamo fin troppo bene.
Metalhead:
Non è una casualità la posizione della puntata più tesa della stagione: dopo una tregua romantica che lascia spazio alla fiducia. In questo episodio, alcuni superstiti in cerca di provviste in un magazzino abbandonato si ritrovano a dover affrontare un nemico spietato e si salvano scappando attraverso una landa desolata.
Black Museum:
Conclude la stagione quest’ambiziosa celebrazione in tre atti di tutto l’universo che è Black Mirror.
Una ragazza in viaggio da sola su una strada deserta decide di visitare un vecchio museo, il quale mette in mostra rari cimeli criminali via via sempre più inquietanti, fino ad arrivare all’attrazione peggiore.
Una stagione diversa dalle altre
I pareri su quest’ultima stagione sono a dir poco discordanti. Alcuni la acclamano come la stagione migliore, in cui i singoli episodi sono sempre più simili a dei film veri e propri, piuttosto che a puntate di una serie televisiva.
Ma sono state fatte anche diverse critiche non meno importanti, che si possono riassumere facilmente in un punto fondamentale: Black Mirror per sua natura gioca con l’adrenalina dello spettatore. E l’adrenalina, si sa, non è mai abbastanza. Il pubblico della serie, che da nazionale è diventata un fenomeno mondiale in pochissimo tempo, si aspetta sempre di più dalle puntate di ogni stagione. Puntate che invece si mantengono allo stesso, seppur ottimo, livello delle precedenti.
Questo continuo ricatto alla produzione porta soltanto effetti negativi: la maggior parte degli episodi della quarta stagione privilegiano eventi e azioni sconvolgenti a sfavore dell’empatia con lo spettatore, che si ritrova a guardare (ed apprezzare, per carità) le storie da fuori. Manca, insomma, quella parte di Black Mirror che ci ha tanto affascinato e fatto innamorare. Non tanto il plot-twist sconvolgente né la situazione estrema, ma la voglia di riflettere e di porsi a fine puntata la domanda «E se dentro a quello schermo nero ci fossi io?».